Intelligenza Artificiale
Google ha venduto strumenti di Intelligenza Artificiale alle IDF dopo l’attacco di Hamas

Google ha collaborato con l’esercito israeliano fin dalle prime settimane della guerra di Gaza, competendo con la rivale Amazon per la fornitura di servizi di intelligenza artificiale. Lo riporta il Washington Post, che cita documenti aziendali di cui avrebbe avuto visione.
L’articolo, pubblicato martedì, afferma che i dipendenti di Google sono stati direttamente coinvolti nel fornire alle Forze di difesa israeliane (IDF) l’accesso agli strumenti di intelligenza artificiale subito dopo l’attacco di Hamas contro Israele dell’ottobre 2023, che ha portato al bombardamento e all’invasione via terra di Gaza da parte di Israele.
A poche settimane dall’inizio della guerra, un dipendente della divisione cloud di Google ha intensificato le richieste delle IDF di accesso alla tecnologia di Intelligenza Artificiale, nonostante gli sforzi pubblici dell’azienda statunitense di prendere le distanze dalle operazioni militari israeliane, ha affermato il WaPo, citando documenti interni.
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Un altro documento ha rivelato che un dipendente aveva avvisato che se Google non avesse fornito l’accesso, l’IDF avrebbe potuto rivolgersi ad Amazon per i servizi di cloud computing.
In un documento datato novembre 2023, un dipendente avrebbe ringraziato un collega per aver gestito la richiesta dell’IDF. Mesi dopo, i documenti mostrano che i dipendenti di Google hanno avanzato ulteriori richieste di accesso agli strumenti di intelligenza artificiale per l’IDF.
L’anno scorso, Google aveva licenziato più di 50 dipendenti che avevano protestato contro il Progetto Nimbus, un contratto di cloud computing da 1,2 miliardi di dollari che Google e Amazon hanno firmato con il governo israeliano nel 2021. Come parte dell’accordo, le aziende rivali hanno costruito data center in Israele e si sono impegnate a fornire software cloud e servizi di archiviazione a vari dipartimenti governativi.
Gli attivisti dietro le proteste hanno affermato che le agenzie militari e di intelligence israeliane violano regolarmente i diritti umani a Gaza. I dipendenti dell’azienda hanno chiesto trasparenza su come viene utilizzato il loro lavoro, temendo che la tecnologia possa contribuire a danneggiare i civili palestinesi.
Secondo il giornale della capitale USA, da anni l’esercito israeliano sta potenziando le sue capacità di intelligenza artificiale, concentrandosi sulla sorveglianza delle immagini e sull’identificazione di potenziali obiettivi.
Il WaPo ha citato un alto funzionario delle IDF, rimasto anonimo, che lo scorso anno ha dichiarato che l’esercito aveva effettuato ingenti investimenti nella tecnologia cloud e in altri sistemi informatici, spesso in partnership con aziende statunitensi.
Gaby Portnoy, a capo della Direzione nazionale per la sicurezza informatica del governo israeliano, ha affermato in una conferenza tenutasi lo scorso anno che il Progetto Nimbus ha supportato direttamente le applicazioni di combattimento delle IDF.
«Grazie al cloud pubblico Nimbus, in combattimento accadono cose fenomenali, che costituiscono una parte significativa della vittoria, e non entrerò nei dettagli», ha affermato secondo quanto riportato dalla testata People and Computers.
Il servizio del WaPo ha affermato che i documenti non mostravano esplicitamente come la tecnologia AI avrebbe potuto essere utilizzata nelle operazioni militari di Israele. Tuttavia, il quotidiano ha osservato che i documenti più recenti del novembre 2024 indicavano che Google aveva continuato a fornire tecnologia AI all’IDF in un momento di crescenti attacchi aerei su Gaza, influenzando potenzialmente il bilancio delle vittime civili.
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Israele è stato accusasto da Amnesty international di praticare un «apartheid automatizzato» ottenuto tramite software di riconoscimento facciale.
De anni fa, un articolo della testata di giornalismo investigativo MintPressNews ha rivelato che centinaia di ex agenti dell’Intelligence militare israeliana hanno acquisito posizioni di influenza in diverse grandi società tecnologiche, tra cui Google, Facebook, Microsoft e Amazon.
Come riportato da Renovatio 21, davanti alle immagini cruente di eliminazione a distanza di persone è stato detto che quello di Gaza rappresenta un «genocidio massivo robotizzato».
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Immagine di Nicodangelo via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
Intelligenza Artificiale
Chatbot ha una relazione con un ragazzo sotto psicofarmaci e gli fa giurare di uccidere il CEO di OpenAI

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Essere genitori
Una percentuale impressionante di adolescenti afferma che parlare con l’AI è meglio che con gli amici nella vita reale

Un sondaggio ha scoperto che oltre la metà degli adolescenti americani utilizza regolarmente dispositivi di Intelligenza artificiale antropomorfa come Character.AI e Replika.
I compagni immaginari AI sono diventati parte integrante della vita degli adolescenti. Il dato sconvolgente vede il 31% degli adolescenti intervistati che ha affermato che le proprie interazioni con i compagni IA erano altrettanto o più soddisfacenti delle conversazioni con gli amici nella vita reale.
Il sondaggio, pubblicato dall’organizzazione no-profit per la responsabilità tecnologica e l’alfabetizzazione digitale Common Sense Media, ha intervistato 1.060 adolescenti di età compresa tra 13 e 17 anni negli Stati Uniti, rilevando che circa tre ragazzi su quattro hanno utilizzato amici di intelligenza artificiale, definiti da Common Sense come strumenti di AI emotiva progettati per assumere una personalità o un carattere specifico, a differenza di un chatbot di assistenza di uso generale come ChatGPT.
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Oltre la metà degli adolescenti intervistati si qualifica come utente abituale di compagni di intelligenza artificiale, il che significa che si collega per parlare con i bot almeno un paio di volte al mese.
Secondo il rapporto, mentre circa il 46% degli adolescenti ha dichiarato di essersi rivolto principalmente a questi bot come strumenti, circa il trentatré percento ha detto di utilizzare i bot di compagnia per «interazioni e relazioni sociali, tra cui esercitazioni di conversazione, supporto emotivo, giochi di ruolo, amicizia o interazioni romantiche».
«La scoperta più sorprendente per me è stata quanto i dispositivi di intelligenza artificiale siano diventati di uso comune tra molti adolescenti», ha affermato il dottor Michael Robb, responsabile della ricerca di Common Sense, in un’intervista con il sito Futurism. «E oltre la metà di loro afferma di usarli più volte al mese, il che è ciò che definirei un utilizzo regolare. Quindi, solo questo mi ha lasciato senza parole».
Queste amicizie virtuali sono state oggetto di un attento esame nei mesi successivi alla presentazione di due distinte cause legali contro Character.AI di Google, per accuse secondo cui l’azienda avrebbe rilasciato una tecnologia negligente e sconsiderata che avrebbe abusato emotivamente e sessualmente di diversi minori, causando danni fisici e psicologici.
Uno dei giovani al centro di queste cause legali, un quattordicenne della Florida di nome Sewell Setzer III, si è suicidato dopo aver interagito a lungo con i bot di Character.AI, con i quali l’adolescente aveva avuto conversazioni intime e sessualmente esplicite.
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Alcuni ricercatori di Common Sense e del laboratorio Brainstorm della Stanford University hanno avvertito che nessun compagno di AI era sicuro per i bambini di età inferiore ai diciotto anni.
«La società è alle prese con l’integrazione degli strumenti di Intelligenza Artificiale in molti aspetti diversi della vita delle persone», ha affermato il Robb. «Penso che molti strumenti vengano sviluppati senza pensare ai bambini, anche se sono utilizzati da utenti di età inferiore ai 18 anni con una certa frequenza… ma, ad oggi, non sono state condotte molte ricerche su cosa rappresenti l’ambiente di supporto dell’intelligenza artificiale per i bambini».
Il caso d’uso più ampiamente segnalato dagli adolescenti è quello dell’intrattenimento, mentre molti altri hanno affermato di utilizzare questi software AI come «strumenti o programmi» anziché come amici, partner o confidenti. Circa l’ottanta percento degli adolescenti in questione ha poi dichiarato di trascorrere più tempo con veri amici umani rispetto a qualsiasi compagno di intelligenza artificiale, e circa la metà degli adolescenti ha espresso scetticismo sull’accuratezza e l’affidabilità dei risultati dei chatbot.
«Non credo che gli adolescenti stiano semplicemente sostituendo le relazioni umane con compagni di intelligenza artificiale; credo che molti adolescenti si stiano avvicinando a loro in modo piuttosto pragmatico», ha chiarito il Robb. «Molti ragazzi dicono di usarli per divertirsi e soddisfare la propria curiosità, e la maggior parte trascorre ancora molto più tempo con veri amici e afferma di trovare le conversazioni umane più appaganti».
«Ma allo stesso tempo si vedono ancora piccoli indizi sotto la superficie che potrebbero essere problematici, soprattutto quando queste cose diventano più radicate nella vita dei bambini», ha proseguito.
Il gruppo più preoccupante del sondaggio potrebbe essere quello degli adolescenti che non trovano l’interazione sociale umana soddisfacente quanto le interazioni con l’intelligenza artificiale. Il ventuno percento dei ragazzi ha fatto sapere che le loro conversazioni con i bot erano altrettanto soddisfacenti delle interazioni umane, e il dieci percento ha detto che erano migliori delle loro esperienze umane.
Circa un terzo dei minorenni ha anche dichiarato di aver scelto di discutere di questioni serie o delicate con i bot invece che con i propri coetanei.
«C’è una buona fetta di utenti adolescenti che sceglie di discutere di questioni serie con l’intelligenza artificiale invece che con persone reali, o di condividere informazioni personali con le piattaforme», ha affermato Robb, i cui risultati, a suo dire, «sollevano preoccupazioni sulla volontà degli adolescenti di condividere le proprie informazioni personali con le aziende di Intelligenza Artificiale».
«I termini di servizio di molte di queste piattaforme garantiscono loro diritti molto ampi, spesso perpetui, sulle informazioni personali condivise dai ragazzi», ha affermato il ricercatore. «Tutto ciò che un adolescente condivide – i suoi dati personali, il suo nome, la sua posizione, le sue fotografie… e anche i pensieri più intimi che vi inserisce – diventa materiale che le aziende possono utilizzare a loro piacimento».
Sebbene la maggior parte di queste piattaforme vieti l’accesso ai minori, queste sono di facile accesso per un ragazzo. Le verifiche dell’età si limitano generalmente a fornire un indirizzo email valido e all’auto-segnalazione della propria data di nascita.
«Dovrebbe esserci una maggiore responsabilità per le piattaforme tecnologiche», ha continuato Robb, aggiungendo che «dovremmo avere una regolamentazione più significativa per regolamentare il modo in cui le piattaforme possono fornire prodotti ai bambini».
Quando si parla dell’uso di dispositivi di intelligenza artificiale da parte degli adolescenti, il peso del vuoto normativo del settore dell’IA ricade pesantemente sui genitori, molti dei quali fanno fatica a tenere il passo con le nuove tecnologie e con ciò che potrebbero significare per i loro figli.
«Non esiste un piano perfetto per i genitori, perché si trovano a dover competere con grandi aziende che investono molto nel far usare questi prodotti ai loro figli. Molti genitori non sanno nemmeno che queste piattaforme esistono… come primo passo, parlatene apertamente, senza giudizi», ha chiosato Robb.
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Come riportato da Renovatio 21, il colosso dei social, Meta, per bocca del suo CEO Mark Zuckerberg ha affermato che più persone dovrebbero connettersi con i chatbot a livello sociale, perché non hanno abbastanza amici nella vita reale.
La recente storia ci insegna che le amicizie virtuali non hanno vita lunga, bensì le finalità, sul lungo periodo, sono ben altre. Il social dello Zuckerberg aveva fatto irruzione nel mondo web con il motto, reso pubblico nel 2008, secondo cui «Facebook ti aiuta a connetterti e condividere con le persone nella tua vita». Una bella trovata che riuscì a far convergere all’interno della piattaforma moltissimi utenti di tutte le età che, nel primo periodo, si divertivano non poco a ritrovare persone sparse per il mondo conosciute in qualche viaggio o in qualche condivisione di esperienza di vita chissà dove.
Questo slogan pare sia un lontano ricordo, tanto che secondo Zuckerberg stesso, lo scopo principale di Facebook «non era più davvero quello di connettersi con gli amici».
«La parte degli amici è andata giù un bel po’», ha detto il CEO di Meta, secondo Business Insider. Invece, dice che la piattaforma si è evoluta lontano da quel modello, diventando «più di un ampio spazio di scoperta e intrattenimento».
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Intelligenza Artificiale
Scuola e Intelligenza Artificiale, le linee guide verso «conseguenze personali e sociali sconosciute» per i nostri figli

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Uso consapevole e responsabile, come la droga
Al malcapitato che si appresta a leggerle, viene subito spiegato nelle prime righe che le linee guida vogliono fornire «un quadro di riferimento strutturato per l’adozione consapevole e responsabile dei sistemi di Intelligenza Artificiale», affinché «diventino uno strumento per rafforzare la competitività del sistema educativo italiano». Dopo di che parte il primo elenco (ne seguiranno vari altri) delle meraviglie che, nell’ambito della propria discrezionalità, ciascuna istituzione scolastica può realizzare con l’IA. Come potevano mancare la consapevolezza e la responsabilità? È questo infatti il mantra numero uno che è stato conficcato nelle teste soprattutto dei genitori/educatori/animatori dei tecnoutenti in erba, per far credere loro che sia giusto dotare il pargolo di protesi elettroniche di ultima generazione e immergerlo nel metaverso, che sia anzi una scelta necessaria per non condannarlo a crescere nel medioevo; con l’unica accortezza, per mostrarsi davvero coscienziosi, di fargli spiegare dall’esperto come affogare in modo consapevole. Un po’ come l’uso consapevole della droga, insomma: drògati, ma fallo con responsabilità. Non è un parallelo stravagante, perché il digitale ottunde i sensi e genera dipendenza, alla stregua della cocaina. Lo diceva a chiare lettere anche la relazione finale dell’indagine conoscitiva promossa dalla VII Commissione permanente del Senato nel 2019 (quindi ancora in era pre-Covid, prima del Piano Scuola 4.0 uscito dal laboratorio della pandemia) intitolata Sull’impatto del digitale negli studenti, con particolare riguardo ai processi di apprendimento e che si può trovare sul sito governativo. È insomma un narcotico dell’intelligenza umana, specie di quella che dovrebbe essere educata a crescere. Privarsi del dispositivo elettronico, infatti, è come subire l’amputazione di un arto, e del resto gli algoritmi sono programmati per adescare l’utente, catturarlo e tenerlo in ostaggio il più a lungo possibile. Poi quella relazione diceva molte altre cose, basandosi su un ricco compendio di letteratura ed esperienza consolidate. Tipo che l’uso-abuso del digitale sta decerebrando le nuove generazioni (proprio così): riduce la neuroplasticità del cervello e frena lo sviluppo delle aree cerebrali responsabili di singole funzioni; fa sì che si inibiscano sul nascere, o si atrofizzino, facoltà cognitive, abilità psicofisiche, attitudini relazionali. Inoltre genera isolamento, danni fisici di varia natura, psicosi assortite. Insomma, un disastro. Tutte conclusioni peraltro che, oltre a radicarsi in una bibliografia ormai sterminata, sono raggiungibili in autonomia da qualunque persona di buon senso che abbia a che fare con un cucciolo d’uomo contemporaneo e con i suoi coetanei. Bastava una mamma sensata qualunque, per arrivarci. In ogni caso, nel tempo in cui invocare la scienza equivale a calare la carta vincente, il fatto di disporre di evidenze pressoché unanimi che certificano il fallimento della didattica digitale e, ancor più, la sua fenomenale dannosità, e al contempo fregarsene completamente per dedicarsi a pompare le sue prestazioni miracolose, bisogna riconoscere che richiede una buona dose di sfrontatezza. Vien da pensare che ci sia sotto una faccenda grossa di bilanciamento di interessi, e che gli interessi dei colossi della tecnologia educativa debbano avere la meglio, per ordine superiore, su quelli della gente comune, dei giovani e della società. Tanto più che il ministero che oggi celebra i prodigi dell’IA con la pecetta (l’additivo cautelare) dell’«uso consapevole», è lo stesso che ieri – dicembre 2023 – mandava in giro sottoforma di circolare la relazione di cui sopra nelle scuole di ogni ordine e grado. Uno strano caso di strabismo istituzionale, passato del tutto sotto silenzio forse per l’abitudine diffusa, divenuta rassegnata assuefazione, di sentir predicare simultaneamente tutto e il contrario di tutto dagli stessi identici predicatori. Pare normale.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Inevitabile tecnolatria
Ma la sensazione più irritante che, scorrendo quelle pagine, assale il lettore non tecnolatra deriva dal fatto che esse danno per presupposto che uno per forza lo sia. Cioè, non è nemmeno lontanamente contemplata l’eventualità che non tutti tutti – nella grande ammucchiata di genitori, studenti, docenti, dirigenti, personale di altro genere – non aspettassero altro che aderire felici all’utilizzo dell’IA nella propria scuola. «L’introduzione dell’IA nelle istituzioni scolastiche rappresenta una grande opportunità, che richiede un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti». Lo hanno deciso loro. Qualcuno è stato consultato? No. Si è registrata approvazione unanime? No. Ma entra in gioco qui un altro tic verbale e mentale (il mantra numero due) appiccicato ad arte al fenomeno della IA: la sua pretesa inevitabilità. Il progresso non si può scansare, va cavalcato per una questione di destino invincibile, qualunque esso sia. Una species del suggestivo genus «there is no alternative» (TINA) coniato, al tempo, dalla lady d’oltremanica. Non ha quindi senso manifestare contrarietà verso qualcosa di ineluttabile: tanto vale buttarcisi a pesce, forti dell’illusione indotta di essere più scafati degli altri e di essere in grado di governare la macchina. Siccome però in questa fattispecie specifica abbiamo visto che si va incontro a rischi e danni certi, severi e documentati, con l’aggravante che ad esserne travolti sono i più indifesi, la dichiarazione di inevitabilità equivale praticamente ad ammettere che abbiamo creato un mostro che ora vive di vita propria e non si può più fermare, o – detta altrimenti – che abbiamo aperto il vaso di Pandora, abbiamo perso il coperchio, ma amen, lasciamolo aperto e restiamo a guardare l’effetto che fa. Niente male come tacita confessione di impotenza per l’uomo del terzo millennio che si crede onnipotente.Iscriviti al canale Telegram
Effetti avversi sconosciuti
Tra l’altro le linee guida in esame non fanno affatto mistero della quantità dei rischi derivanti dalla adozione della IA nelle scuole e nemmeno della loro gravità. Si parla ripetutamente di rischi, così, in scioltezza, quasi come un intercalare. In fondo perché drammatizzare, se siamo di fronte all’inevitabile? I sistemi di IA vengono divisi, ai fini della diversa disciplina applicabile, in due categorie: sistemi ad alto rischio, se presentano una serie di caratteristiche espressamente elencate; sistemi non ad alto rischio tutti gli altri (categoria residuale). È bellissimo però che a un certo punto (p. 30), nel mezzo di un lunghissimo discorso sul trattamento dei dati personali – dove con ammirevole disinvoltura si elenca una serie interminabile e complicatissima di passaggi burocratici prescritti, che è prevedibile porteranno in manicomio più di qualcuno – si dice anche che le istituzioni scolastiche, in qualità di titolari del trattamento, tra gli adempimenti e i sottoadempimenti cui sono obbligate, devono procedere alla «esecuzione di una valutazione di impatto (DPIA)» sulla protezione dei dati personali «volta a individuare i rischi connessi al trattamento di dati». E poco più avanti si spiega che «la DPIA risulta necessaria in considerazione della innovatività dello strumento tecnologico utilizzato nonché del volume potenzialmente elevato dei dati personali trattati» (i grassetti sono nel testo originale). Infatti, continua il testo «il ricorso a tale nuova tecnologia può comportare nuove forme di raccolta e di utilizzo dei dati, magari costituendo un rischio elevato per i diritti e la libertà delle persone. Infatti le conseguenze personali e sociali dell’utilizzo di una nuova tecnologia potrebbero essere sconosciute» (qui il grassetto è nostro). Conseguenze personali e sociali sconosciute. Cioè, un salto nel vuoto, messo nero su bianco nei documenti ufficiali. La popolazione scolastica, composta in buona parte di minorenni, è travolta (ancora una volta) in un mega esperimento di massa condotto (ancora una volta) con prodotti dei quali è nota a priori la dannosità, la quale comunque potrebbe esprimersi in forme ulteriori ancora non note. Sostanze sperimentali – farmaci, droghe e simildroghe – inoculate nel cuore pulsante della società che fu democratica, ad effetto sorpresa: senza nemmeno un bugiardino e, quindi, senza un vero consenso informato possibile.Aiuta Renovatio 21
La partecipazione democratica è una beffa
Nonostante queste premesse, il ministero dà per scontato che tutti insieme appassionatamente partecipino al grande gioco di società apparecchiato in tutte le scuole d’Italia dalle aziende Ed Tech e dall’indotto che ne discende: un’orgia digitale collettiva alla quale nessuno deve sottrarsi. A p. 21 si afferma, sempre in modo assertivo, che «il processo di transizione digitale richiede un coinvolgimento sinergico e sistemico del dirigente scolastico, del direttore dei servizi generali e amministrativi, del personale tecnico, ausiliario, amministrativo, dei docenti, degli studenti, tenendo conto del diverso grado di sviluppo connesso all’età, e delle rispettive rappresentanze di tali categorie di soggetti, delle famiglie, degli organi di indirizzo e di gestione degli aspetti organizzativi in ambito scolastico (ad esempio i Consigli di Istituto)». Insomma, si tratta di allestire un balletto brulicante di ballerini improvvisati che saltellano sulla pelle di incolpevoli scolari tutt’intorno a una grande mangiatoia per predatori privati, più e meno corpulenti ma tutti parimenti affamati. Per non farsi mancare nulla, si suggerisce anche il coinvolgimento di stakeholder «attraverso la costituzione o l’adesione a parternariati, a reti di scuole, oppure stabilendo accordi con startup, università, istituti di ricerca, con approccio di ricerca-azione (…)». Dulcis in fundo, al fine di «facilitare il coinvolgimento di tutti gli attori nel processo di cambiamento», il ministero veste pure i panni del coach motivazionale e consiglia di predisporre un «piano di comunicazione strutturato», perché si sa bene che «una strategia operativa efficace facilita il consenso e motiva i singoli a contribuire al raggiungimento degli obiettivi comuni» (p. 24) e incoraggia «il senso di appartenenza, il clima positivo». Naturalmente per implementare tutta questa giostra, occorre che i docenti acquisiscano particolari «competenze digitali, approccio critico e attenzione a etica e professionalità, da sviluppare attraverso specifici percorsi formativi» (altra miniera d’oro, per i tenutari dei corsi). E così essi potranno finalmente accedere a un repertorio infinito di funzioni sostitutive delle proprie normali mansioni – fa tutto lei, e lo fa meglio di te – e predisporsi felici, in modalità suicidaria, alla soppressione prossima ventura della propria figura professionale. Questa enfasi sulla partecipazione, di interni ed esterni, vuole evidentemente dare una mano di vernice di simil-democrazia sopra un gigantesco apparato industriale – la scuola è la più grande industria al mondo di estrazione dati (cit.) – che con i connotati propri di un’istituzione pubblica, specie se di natura educativa, non ci piglia neanche di striscio. Forse a questo punto si può capire l’irritazione del lettore non conforme, al quale le linee guida si rivolgono come a uno scimunito che passa di là, pronto a farsi trascinare nelle danze dall’animatore del villaggio vacanze.Sostieni Renovatio 21
Il Paese dei Balocchi e il mantra del pensiero critico
Quanto al regno incantato che si spalanca davanti agli studenti, la sua descrizione è lussureggiante. La campagna pubblicitaria del ministero sulle prodezze della IA punta a coprire e far dimenticare tutte le magagne sui pericoli e gli inconvenienti che, al confronto, sono bazzecole. Basti pensare che l’IA (pp. 27 e 28): rende il processo educativo più coinvolgente, crea percorsi formativi su misura in linea con le esigenze individuali, permette di ampliare e diversificare l’offerta formativa adattandola agli interessi di ciascuno, dà supporto nella creazione di materiali didattici personalizzati; favorisce l’approfondimento di argomenti specifici, stimola la curiosità e il desiderio di apprendere e una naturale voglia di scoprire, potenzia le competenze digitali, fa diventare co-creatori attivi di contenuti, nonché futuri leader che definiranno il rapporto di questa tecnologia con la società, supporta nelle attività didattiche orientate nella produzione di contenuti. Ancora: l’IA è un facilitatore della curiosità intellettuale, capace di alimentare la voglia di esplorare, aiuta nella scomposizione di problemi complessi e nella analisi di varie tipologie di informazioni; semplifica l’integrazione delle conoscenze, evidenziando punti di interconnessione tra diverse discipline; individua fonti di approfondimento pertinente, crea simulazioni interattive e ambienti virtuali. Promuove l’autonomia: chatbot o piattaforme di apprendimento personalizzate permettono di ricevere assistenza senza essere vincolati dagli orari scolastici tradizionali, facilitando la gestione autonoma del tempo e delle risorse, approccio che sviluppa capacità di autogestione e competenze trasversali come il pensiero critico e la capacità di problem solving. Aiuta a rimanere coinvolti e motivati rendendo il processo di apprendimento continuo e interattivo e incoraggiando a identificare i propri punti di forza e le aree di miglioramento. Un panegirico che pretende dal lettore un atto di fede, mentre tocca vette spudorate di impostura. Contiene passaggi esemplari da sfruttare nelle lezioni di italiano (ci sono ancora, le lezioni? e l’italiano?) per spiegare il significato dell’ossimoro: l’Intelligenza Artificiale che promuove l’autonomia, facilita la gestione autonoma del tempo e delle risorse, sviluppa capacità di autogestione, il pensiero critico e la capacità di problem solving. Cioè: a delegare alla macchina pensieri, parole e opere, a esternalizzare le funzioni fondamentali in un prolungamento artificiale del corpo, uno conquisterebbe autonomia. Notare, tra l’altro, l’evocazione qua e là del pensiero critico, altra stucchevolissima formuletta magica (mantra numero tre), estratta dal cilindro del prestigiatore come il classico coniglio, per legittimare se stesso da un lato e per nobilitare qualsiasi ciofeca dall’altro. Basta spruzzare in giro, a casissimo, qualche «pensiero critico», e la coscienza va subito a posto, e ci si gode l’applauso assicurato del pubblico pagante. Ma non c’è solo il pensiero critico. Sparse per il testo, tutte le classiche esche per i benpensanti, quelle che piacciono alla gente che piace, sfoderate per il lancio del grande gioco di società a cui siamo tutti chiamati coattivamente a giocare. Ecco infatti che, per raggiungere i traguardi stellari elencati a più riprese nel documento, «è necessario che l’IA supporti la crescita personale e l’acquisizione di competenze autentiche, promuovendo l’apprendimento critico e creativo senza sostituire l’impegno, la riflessione e l’autonomia degli individui». Essa «deve promuovere un’innovazione etica e responsabile», essere utilizzata «in modo trasparente, consapevole e conforme ai valori educativi delle Istituzioni scolastiche italiane»; deve essere sostenibile nel lungo termine e «per traguardare (sic) questo obiettivo deve garantire un equilibrio nei tre pilastri della sostenibilità: sociale, economica e ambientale». In sintesi: l’AI promuove l’autonomia, stimola il pensiero critico, ma per raggiungere questi fantastici obiettivi deve promuovere l’autonomia e stimolare il pensiero critico. Una autolegittimazione tautologica e circolare, formulata per la stessa banda di presunti scimuniti cui si accennava sopra.Aiuta Renovatio 21
Accendere la resistenza
Viene da ridere, sì, ma poi sale la rabbia. L’onda d’urto di tanto delirio si abbatterà sui nostri figli se non ci predisponiamo a difenderli. Che dall’altra parte ci sia un grumo di potere non solo economico, ma soprattutto politico (nel senso che il suo intento egemonico sta nel controllare l’esistenza altrui e pilotarla a proprio uso e consumo) non è forse nemmeno il problema più grande. Il problema più grande è che la gente abbocca, anche se l’imbroglio è così plateale, e si lascia attirare nel girotondo per via di quel «piano di comunicazione strutturato» che funziona alla grande; oppure perché è semplicemente stanca, rassegnata, tanto da lasciarsi persuadere dalla narrazione truffaldina che fa leva sulla parola magica della «inevitabilità». E allora si convince a salire sulla giostra che gira sempre più forte, ma si sente rassicurata dall’essere «consapevole e responsabile», il tranquillante prescrittole dall’impresario circense. L’imposizione dell’IA ai nostri figli – proprio come è stato per l’mRNA – calpestando la Costituzione, uccidendo il diritto e disintegrando il concetto stesso di democrazia, mira dritto dritto al cuore della natura umana per colpire la sua integrità e un po’ alla volta sostituirla. Ma in pochi sembrano farci caso: la maggior parte obbedisce, zitta e mosca, al programma di sottomissione. E invece questo è proprio il momento della responsabilità. Dunque, che la forza sia con noi: con i docenti che non mollano, con i genitori che tengono ai propri figli, con gli scolari capaci di sopravvivere al trattamento loro riservato, e determinati a continuare a farlo per conquistarsi in premio una vita da vivere, e non da subire. Elisabetta FrezzaIscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
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