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Geopolitica

«L’élite occidentale è fallita. Sono i russi ora i veri europei»: parla il politologo di Mosca Karaganov

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Su Rossiskaja Gazeta, uno dei principali giornali russi, è uscita una lunga, densa intervista all’esperto di relazioni internazionali Sergej Karaganov, presidente onorario del Consiglio russo per la politica estera e di difesa, supervisore accademico presso la Scuola di economia internazionale e affari esteri (HSE) di Mosca, e un ex consigliere del Cremlino.

 

Karaganov è noto ai lettori di Renovatio 21 per i suoi ripetuti appelli riguardo la revisione della strategia militare atomica di Mosca, arrivando a ipotizzare la nuclearizzazione di una città europea in risposta al sostegno della guerra ucraina. Lo studioso, negli anni dopo il muro, era stato vicino a vari pensatoi occidentali come i rockfelleriani Council for Foreign Relations e Commissione Trilaterale.

 

L’intervista è particolarmente significativa perché mostra come la separazione tra Russia ed Europa sia oramai un fatto compiuto anche dal punto di vista intellettuale, con una nuova prospettiva storica ora installata definitivamente nella mente russa: l’Occidente, con il suo mezzo millennio di predazioni globali, è finito; ora la Russia, che pure può avere radici europee, farà da sé.

 

La Russia, dice nell’intervista il Karaganov, deve comprendere chi è veramente: «grande potenza eurasiatica, l’Eurasia settentrionale. Un liberatore di nazioni, un garante della pace e un perno politico-militare della maggioranza mondiale. Questo è il nostro destino».

 

La cornice è quella di un mondo divenuto multipolare ma sempre più pervaso da conflitti ed instabilità, dove la Russia ha però il potere di isolarsi ma anche di incidere sulla storia. Mentre l’Europa, con l’occidente, è perduta.

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L’intervistatore Evgenij Shostakov chiede dapprima a Karaganov se data l’attuale difficile situazione di politica estera sia necessaria una teoria concettualmente diversa della deterrenza contro i nemici della Russia per fermare il crescente confronto in una fase iniziale e per scoraggiare i nostri avversari dall’alimentare i conflitti.

 

«Le élite dell’Europa occidentale – e soprattutto in Germania – sono in uno stato di fallimento storico» risponde Karaganov. «La base principale del loro dominio durato 500 anni è stata la superiorità militare, su cui è stato costruito il dominio economico, politico e culturale dell’Occidente. Ma questo è stato loro tolto di mano. Con l’aiuto di questo vantaggio, hanno manipolato le risorse mondiali a loro favore. Prima hanno saccheggiato le loro colonie, poi hanno fatto lo stesso lo stesso, ma con metodi più sofisticati».

 

«Le élite occidentali di oggi non riescono ad affrontare una serie di problemi crescenti nelle loro società. Questi includono una classe media in contrazione e una crescente disuguaglianza. Quasi tutte le loro iniziative stanno fallendo» continua il Karaganov. «L’Unione Europea, come tutti sanno, si sta lentamente ma inesorabilmente espandendo. Ecco perché la sua classe dirigente è ostile alla Russia ormai da circa 15 anni. Hanno bisogno di un nemico esterno; Josep Borrell l’anno scorso ha definito il mondo attorno al blocco una giungla. In passato, infatti, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato che le sanzioni adottate dall’UE contro la Russia erano necessarie innanzitutto per unire l’Unione europea ed evitare che crollasse».

 

«Le élite tedesche e dell’Europa occidentale hanno un complesso di inferiorità in quella che per loro è una situazione ormai mostruosa, in cui la loro parte del mondo viene conquistata da tutti. Non solo da parte di cinesi e americani, ma anche di tanti altri Paesi. Grazie alla liberazione del mondo da parte della Russia dal “giogo occidentale”, l’Europa occidentale non domina più gli stati del Sud del mondo, o come li chiamo io, i paesi della maggioranza mondiale».

 

«La minaccia che oggi presenta l’Europa occidentale è che il Vecchio Mondo ha perso la paura dei conflitti armati. E questo è molto pericoloso. Allo stesso tempo, l’Europa occidentale, lasciatemelo ricordare, è stata la fonte dei peggiori disastri della storia umana».

 

«Ora in Ucraina si lotta non solo per gli interessi della Russia, per gli interessi della sua sicurezza, ma anche per prevenire un nuovo confronto globale. La minaccia è in crescita. Ciò è dovuto anche ai disperati tentativi di contrattacco dell’Occidente per mantenere il proprio dominio. Le attuali élite dell’Europa occidentale stanno fallendo e perdendo influenza nel mondo in misura molto maggiore rispetto alle loro controparti americane».

 

«La Russia sta combattendo la propria battaglia e la sta combattendo con successo. Stiamo agendo con sufficiente sicurezza per riportare alla sbornia queste élite occidentali, per evitare che scatenino un altro conflitto mondiale disperate per i loro fallimenti. Non dobbiamo dimenticare che i predecessori di questi stessi popoli hanno scatenato due guerre mondiali nell’arco di una generazione nel secolo scorso. Ora, la qualità di queste élite è addirittura inferiore rispetto ad allora.

 

L’intervistatore chiede se lo studioso si riferisca ad una sconfitta di natura spirituale.

 

«Sì, ed è spaventoso» risponde Karaganov. «Dopotutto, anche noi facciamo parte della cultura europea. Ma spero che, attraverso una serie di crisi, forze sane prevalgano su quella parte del continente, diciamo, tra circa 20 anni. E si risveglierà dal suo fallimento, compreso il suo fallimento morale».

 

Dinanzi alla russofobia e alla cancel culture che ad Ovest si abbatte su ciò che è russo, il politologo russo tuttavia rigetta la prospettiva di una simmetrica «cancellazione» dell’Occidente in Russia.

 

«L’Occidente sta chiudendo la cortina di ferro, innanzitutto perché i veri europei siamo noi in Russia. Rimaniamo sani. E vogliono escludere queste forze sane. In secondo luogo, l’Occidente sta chiudendo questo sipario, ancora più strettamente che durante la Guerra Fredda, per mobilitare la propria popolazione per le ostilità. Ma non abbiamo bisogno di uno scontro militare con l’Occidente, quindi faremo affidamento su una politica di contenimento per prevenire il peggio».

 

«Naturalmente non cancelleremo nulla, compresa la nostra storia europea. Sì, abbiamo completato il nostro viaggio europeo. Penso che si sia trascinato un po’, forse per un secolo. Ma senza il vaccino europeo, senza la cultura europea, non saremmo diventati una potenza così grande. Non avremmo avuto Dostoevskij, Tolstoj, Pushkin o Blok».

 

«Manterremo quindi la cultura europea, che l’Occidente del nostro continente sembra voler abbandonare. Ma spero che non si distrugga completamente, a questo proposito. Perché l’Europa occidentale non sta abbandonando solo la cultura russa, ma sta abbandonando anche la propria cultura. Sta cancellando una cultura che è in gran parte basata sull’amore e sui valori cristiani. Sta cancellando la sua storia, distruggendo i suoi monumenti. Tuttavia, non rifiuteremo le nostre radici europee».

 

«Sono sempre stato contrario a guardare all’Occidente con mera schizzinosità. Non dovresti farlo. Allora saremmo come loro. E ora stanno scivolando verso un’inevitabile marcia verso il fascismo. Non abbiamo bisogno di tutti i contagi che si sono verificati e stanno crescendo dall’Europa occidentale. Compreso, ancora una volta, il crescente contagio del fascismo».

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L’intervistato predice quindi un sensibile incremento delle tensioni internazionali per il 2024, e rivela uno effetto non immediatamente visibile della guerra in Ucraina.

 

«Questa tendenza non diventerà una valanga l’anno prossimo. Ma è abbastanza ovvio che aumenterà, perché le placche tettoniche nel sistema mondiale si sono spostate. La Russia è molto più preparata per questo periodo rispetto a qualche anno fa.

 

«L’operazione militare che stiamo conducendo in Ucraina mira, tra le altre cose, a preparare il Paese alla vita nel mondo molto pericoloso del futuro. Stiamo purificando la nostra élite, sbarazzandoci degli elementi corrotti e filo-occidentali. Stiamo rilanciando la nostra economia. Stiamo rianimando il nostro esercito. Stiamo facendo rivivere lo spirito russo. Oggi siamo molto più preparati a difendere i nostri interessi nel mondo rispetto a qualche anno fa. Viviamo in un Paese in ripresa che guarda con coraggio al futuro. L’operazione militare ci sta aiutando a purificarci dagli occidentali e dagli occidentalizzatori, per trovare il nostro nuovo posto nella storia. E infine, rafforzarci militarmente».

 

È prevedibile quindi il ruolo centrale della Russia in questo periodo di guerra che si protrarrà in tutto il globo, dice lo studioso.

 

«Naturalmente siamo entrati in un’era di conflitti prolungati. Ma siamo molto più preparati che mai ad affrontarli. Mi sembra che, perseguendo un percorso volto a contenere l’Occidente e costruendo relazioni con la fraterna Cina, stiamo ora diventando un asse del mondo che può impedire a tutti di scivolare in una catastrofe globale. Ma ciò richiede sforzi per riportare alla sbornia i nostri avversari in Occidente».

 

La Russia ha, sostiene il Karaganov, ancora una volta un ruolo salvifico per l’umanità, chiamati qui «umanità tradizionale». Il nemico, è l’Occidente oramai smarrito e corrotto, portatore di «antivalori».

 

«Siamo entrati in una lotta per salvare il mondo. Forse la missione della Russia è liberare il nostro pianeta dal “giogo occidentale”, salvarlo dalle difficoltà che deriveranno da cambiamenti che già provocano molti attriti. La minaccia deriva in gran parte dal disperato contrattacco dell’Occidente, che si aggrappa al suo dominio di 500 anni, che gli ha permesso di saccheggiare il mondo».

 

«Vediamo che in Occidente sono emersi nuovi valori, inclusa la negazione di tutto ciò che è umano e divino nell’uomo. Le élite occidentali hanno cominciato a coltivare questi antivalori e a sopprimere i valori normali. Quindi abbiamo davanti a noi un periodo difficile, ma spero che preserveremo noi stessi e aiuteremo il mondo a salvare l’umanità tradizionale».

 

«Uno dei tanti problemi che il mondo oggi deve affrontare è, ovviamente, che l’economia globale è in una crisi sistemica a causa della crescita infinita dei consumi. Questo distrugge la natura stessa. L’uomo non è stato creato per consumare; vedere il significato dell’esistenza nell’acquistare cose nuove».

 

Viene quindi domandato se l’Occidente possa salvarsi con un cambio generazionale, anche se, nota l’intervistatore Shostakov «il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock, nata nel 1980, ad esempio, è un membro della nuova generazione, ma le sue opinioni sono più radicali di quelle di altri “falchi” del passato».

 

«Penso che oggi in Occidente abbiamo a che fare con due generazioni di élite che sono già abbastanza degradate. Purtroppo è improbabile che riusciremo a raggiungere un accordo con loro. Tuttavia, continuo a credere che le società e i popoli, compresi quelli dell’Europa occidentale, torneranno ai valori normali. Naturalmente, ciò richiederà un cambiamento nelle generazioni di élite».

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Tuttavia, non c’è da nutrire grandi speranze: «non credo che forze reali, pragmatiche e, ripeto, nazionali possano arrivare al potere nell’Europa occidentale nel prossimo futuro. Quindi credo che se mai si parlerà di un ritorno a relazioni normali tra Russia e Occidente, ci vorranno almeno 20 anni» preconizza Karaganov.

 

«Dobbiamo anche renderci conto che non abbiamo più bisogno dell’Occidente. Abbiamo tratto tutto ciò che potevamo da questo meraviglioso viaggio europeo iniziato da Pietro il Grande. Ora dobbiamo tornare a noi stessi, alle origini della grandezza della Russia. Questo è, ovviamente, lo sviluppo della Siberia. Il suo nuovo sviluppo, che significa raggiungere nuovi orizzonti».

 

«Dobbiamo ricordare che non siamo tanto un Paese europeo quanto eurasiatico. Non mi stancherò mai di ricordarvi che Aleksandr Nevskij trascorse un anno e mezzo viaggiando attraverso l’Asia centrale e poi la Siberia meridionale, diretto a Karakorum, la capitale dell’Impero mongolo. In effetti, fu il primo siberiano russo. Ritornando in Siberia, negli Urali, costruendo nuove strade, nuove industrie, stiamo tornando a noi stessi, alle radici dei nostri 500 anni di grandezza. Fu solo dopo l’apertura della Siberia che la Russia trovò la forza e l’opportunità di diventare una grande potenza».

 

L’intervistatore quindi chiede quanto sia ragionevole dimenticare l’Europa per decenni.

 

«In nessun caso dovremmo dimenticare le antiche pietre sacre dell’Europa di cui parlava Dostoevskij. Fanno parte della nostra autoconsapevolezza. Io stesso amo l’Europa, e Venezia in particolare. Era attraverso questa città che passava la Via della Seta e attraverso di essa passavano le grandi civiltà asiatiche. A quel tempo, tra l’altro, hanno superato la civiltà europea nel loro sviluppo».

 

«Già 150-200 anni fa guardare all’Europa era segno di modernizzazione e progresso. Ma ormai da molto tempo, e ancor più oggi, è un segno di arretratezza intellettuale e morale. Non dovremmo negare le nostre radici europee; dovremmo trattarli con cura. Dopotutto, l’Europa ci ha dato molto. Ma la Russia deve andare avanti. E avanti non significa verso Ovest, ma verso Est e Sud. Lì sta il futuro dell’umanità».

 

«Il Trattato sulle armi offensive strategiche scade nel 2026. Cosa verrà dopo? Dato il nichilismo legale dell’Occidente, possiamo contare su nuovi accordi militari interstatali? Oppure l’umanità è condannata ad una corsa agli armamenti incontrollabile fino all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale e, di conseguenza, di un nuovo status quo?» chiede Rossiskaja Gazeta.

 

«È inutile negoziare con le attuali élite occidentali» risponde Karaganov. «Nei miei scritti esorto l’oligarchia occidentale a sostituire queste persone, perché sono pericolose per se stesse, e spero che prima o poi un simile processo abbia inizio. Perché il gruppo attuale è così profondamente degradato che è impossibile negoziare con loro. Certo, devi parlare con loro».

 

«Dopotutto, ci sono altre minacce oltre alle armi nucleari. C’è la rivoluzione dei droni. Sono emerse armi informatiche. C’è l’Intelligenza Artificiale. Sono apparse armi biologiche che possono anche minacciare l’umanità con problemi terribili. La Russia deve sviluppare una nuova strategia per contenere tutte queste minacce. Ci stiamo lavorando, anche presso il nuovo Istituto di Economia e Strategia Militare Internazionale, e continueremo a farlo con le élite intellettuali dei Paesi a maggioranza mondiale. Questi sono, innanzitutto, i nostri amici cinesi e indiani. Ne discuteremo con i nostri colleghi pakistani e arabi. Finora l’Occidente non ha nulla di costruttivo da offrirci. Ma non chiuderemo i battenti».

 

«Nel prossimo futuro, purtroppo, non potranno esserci seri accordi interstatali sulla limitazione delle armi in linea di principio. Semplicemente perché non sappiamo nemmeno cosa limitare e come limitarlo. Ma dobbiamo sviluppare nuovi approcci e instillare visioni più realistiche nei nostri partner in tutto il mondo» dice l’esperto di relazioni internazionali russo.

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«Non è nemmeno tecnicamente possibile contare su accordi sulla limitazione degli armamenti nei prossimi anni. Sarebbe semplicemente una perdita di tempo. Tuttavia, potrebbe essere possibile condurre alcune trattative pro forma. Ad esempio, cercando di vietare nuove aree della corsa agli armamenti. Sono particolarmente preoccupato per le armi biologiche e per le armi spaziali. Si può fare qualcosa in quelle zone. Ma ciò di cui la Russia ha bisogno ora è sviluppare un nuovo concetto di deterrenza, che avrà aspetti non solo militari ma anche psicologici, politici e morali».

 

Riguardo alla guerra ucraina, Karaganov sostiene che «gli Stati Uniti traggono vantaggio dallo scontro in Ucraina. [Nel frattempo] per le élite dell’Europa occidentale, è l’unico modo per evitare il collasso morale. Ecco perché sosterranno il conflitto in Ucraina per molto tempo a venire».

 

«In una situazione del genere, dobbiamo agire con decisione sia sul terreno che nell’area della deterrenza strategica per raggiungere i nostri obiettivi il prima possibile. Allo stesso tempo, è importante capire che la maggior parte del mondo non combatterà contro l’Occidente. Molti Paesi sono interessati allo sviluppo del commercio e di altre relazioni con esso. Pertanto, la maggioranza mondiale è partner ma non alleata della Russia. Dobbiamo essere duri, ma calcolati. Sono quasi certo che con una giusta politica di contenimento e una politica attiva ai margini dell’Ucraina potremo spezzare la volontà della pericolosa resistenza dell’Occidente».

 

«Nel mondo di oggi ognuno pensa a se stesso. È un meraviglioso mondo multipolare e multicolore. Ciò non significa che tra 20 anni non ci saranno dei blocchi, incluso un blocco filo-russo condizionato. Dobbiamo ritrovare noi stessi, capire chi siamo. Una grande potenza eurasiatica, l’Eurasia settentrionale. Un liberatore di nazioni, un garante della pace e un perno politico-militare della maggioranza mondiale. Questo è il nostro destino».

 

«Siamo preparati in modo unico per questo mondo grazie all’apertura culturale che abbiamo acquisito dalla nostra storia. Siamo religiosamente aperti. Siamo aperti a livello nazionale. Queste sono tutte cose che ora stiamo difendendo» conclude Karaganov, con una nota spirituale.

 

«Ci rendiamo sempre più conto che la cosa più importante per noi è lo spirito russo e la cultura russa. Siamo tutti russi: russi russi, tatari russi, ceceni russi, yakut russi… Penso che stiamo ritrovando noi stessi. Ed entro nel nuovo anno con un senso di elevazione spirituale e ottimismo. La Russia sta rinascendo. È assolutamente ovvio».

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Geopolitica

Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»

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Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.   Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.   Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».   Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».  

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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.   I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.   La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.   Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.   Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.   Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.   La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.   Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.   Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.  

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Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

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Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.

 

Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.

 

Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.

 

Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.

 

 

Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.

 

Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».

 

Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.

 

Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.

 

Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.

 

La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.

 

Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

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Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.   Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.   Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.  

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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.   Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.   Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.   Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

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