Persecuzioni
I cristiani sempre più perseguitati
La fondazione cattolica di diritto pontificio, Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), ha appena pubblicato il suo rapporto annuale sulla persecuzione dei cristiani nel mondo per l’anno 2021, dal titolo «Perseguitati più che mai – Rapporto sui cristiani perseguitati per la loro fede, 2020-2022».
Il primo dato del rapporto è chiaro: nel 75% dei Paesi studiati, l’oppressione o la persecuzione dei cristiani è aumentata rispetto all’anno precedente.
In Africa, la situazione dei cristiani è peggiorata in tutti i paesi presi in esame, e stanno aumentando le prove di un forte incremento della violenza genocida da parte di attori non statali, compresi i jihadisti.
La grande minaccia: gli islamisti
I cristiani del continente affrontano la minaccia del crescente islamismo. Gruppi come Boko Haram (Nigeria) e lo Stato Islamico della provincia dell’Africa occidentale (ISWAP) stanno ancora cercando di stabilire califfati nella regione del Sahel, con un proprio wali (governatore) e una struttura governativa.
Lo Stato islamico nel Grande Sahara (ISGS) ha regolamentato pesantemente eventi sociali come i matrimoni. Nel giugno 2021, i combattenti dell’ISGS hanno giustiziato cinque civili cristiani, sequestrati a un posto di blocco tra il Mali e il Niger.
In Mozambico, Al-Shabab ha intensificato la sua campagna di terrore, uccidendo cristiani, attaccando villaggi cristiani e bruciando chiese.
Il jihadismo sta scuotendo lo stato di diritto in Nigeria: rapimenti, sacerdoti uccisi e attacchi mortali a chiese sempre più regolari. Tra gennaio 2021 e giugno 2022 sono stati uccisi più di 7.600 cristiani. Il presidente dell’Associazione cristiana del Nigeria, ha affermato che c’era un programma pianificato per «spazzare via il cristianesimo».
Due gravi incidenti hanno fatto notizia a livello internazionale. La prima è la lapidazione e cremazione della 25enne Deborah Samuel nel maggio 2022 per aver condiviso messaggi «blasfemi» su WhatsApp. Ma anche il micidiale attentato alla chiesa di San Francesco Saverio a Owo, nello stato di Ondo, durante la messa della domenica di Pentecoste, che ha provocato almeno 40 morti.
Persecuzioni da parte dei governi
In Sudan, dopo il colpo di stato militare che ha estromesso Omar Al-Bashir che era favorevole all’islamismo, il nuovo governo non ha mostrato segni di miglioramento. Ha fatto imprigionare sacerdoti, ha accusato una coppia di adulterio perché il marito si era convertito al cristianesimo e ha operato arresti per apostasia.
Le truppe eritree ed etiopi hanno attaccato il clero e le chiese nella regione del Tigrè. Le truppe eritree sono accusate di aver condotto una campagna di «pulizia culturale» di natura etnica, e di aver partecipato a massacri di cristiani etiopi, come quello di Aksum, e alla distruzione di antichi monasteri ed edifici religiosi.
In Medio Oriente, la continua migrazione ha acuito la crisi che minaccia la sopravvivenza di tre delle comunità cristiane più antiche e più grandi del mondo, situate in Iraq, Siria e Palestina.
Ci sono segnali che in alcune parti del Medio Oriente la situazione dei cristiani sia peggiore che sotto Daesh (ISIS). Il calo è più marcato in Siria dove, in un decennio, i cristiani sono passati da 1,5 milioni (il 10% della popolazione) nel 2011, a forse 300mila. Dopo le esplosioni del 4 agosto 2020 a Beirut, che hanno colpito il quartiere cristiano, la sopravvivenza a lungo termine della comunità cristiana in Libano è in questione.
In Iraq, la comunità è passata da 300.000 nel 2014 a soli 150.000 nella primavera del 2022. In alcune aree, la comunità non è altro che l’ombra di se stessa. Tuttavia, l’Iraq è l’unico ad aver visto un miglioramento: è stato intrapreso un programma che prevede la ricostruzione di città e villaggi cristiani, case, scuole, chiese e altre strutture pubbliche.
Cristiani visti come cittadini inferiori
Ma la minaccia estremista persiste in tutta la regione. Una ripresa del jihadismo potrebbe infliggere un colpo mortale alla cristianità, perché il numero dei fedeli è diventato molto basso, ma anche perché la loro fiducia è molto fragile: per molti di loro l’attrazione della migrazione è quasi irresistibile.
Questo desiderio di partire è amplificato in un contesto culturale che rimane ostile ai cristiani. Trattati come cittadini di seconda classe, discriminati a scuola e sul posto di lavoro, salari bassi o disoccupazione spingono molti di loro a cercare una vita fuori dal Paese.
Questa minaccia è reale. Quasi 75 anni dopo la costituzione dello Stato di Israele, i cristiani in Cisgiordania sono scesi dal 18% a meno dell’1%. I continui attacchi di frange hanno portato i vertici della Chiesa a parlare di «tentativo sistematico di cacciare la comunità cristiana da Gerusalemme e da altre parti della Terra Santa».
Cala la libertà di praticare la propria religione nei Paesi che aderiscono alla Sharia
In Arabia Saudita e altrove, manca la volontà politica di sostenere gli impegni costituzionali per la libertà religiosa. L’adesione alla Sharia prevale sui requisiti legali riguardanti i diritti di tutti. In questi Paesi i cristiani sono una minoranza silenziosa e invisibile. Questi paesi proibiscono ancora la costruzione di chiese, l’esposizione pubblica di croci e altri simboli cristiani, così come l’importazione di Bibbie e altri testi cristiani.
In Asia, l’autoritarismo di stato è stato il fattore determinante nell’aggravarsi dell’oppressione contro i cristiani in Birmania (Myanmar), Cina, Vietnam e altrove. Nel peggiore dei casi, la libertà di religione e di coscienza viene soffocata, come in Corea del Nord.
Altrove in Asia, il nazionalismo religioso ha portato a una crescente persecuzione dei cristiani in Afghanistan, India e Pakistan in particolare.
Persecuzione di Stato
A vari livelli, da un inasprimento delle limitazioni in Vietnam a un divieto quasi totale in Corea del Nord, l’autoritarismo di stato limita – persino soffoca – la possibilità dei credenti di praticare liberamente il loro culto. I tentativi del governo di regolamentare la pratica della fede sono caratteristici di un certo numero di paesi asiatici.
La Cina continua a vessare e tentare di controllare cristiani e altri gruppi religiosi che non accettano la linea ufficiale del Partito Comunista: è il Paese più restrittivo dal punto di vista religioso.
In Birmania l’esercito ha ripreso i suoi attacchi contro i cristiani, dopo una pausa durante l’amministrazione di Aung San Suu Kyi. Sebbene la giunta in precedenza avesse promosso il buddismo come norma sociale del Paese, ora sta perseguitando pagode e chiese, così come chiunque sia percepito come contrario al colpo di stato del 2021.
Anche il nazionalismo religioso ha svolto un ruolo importante nella repressione. L’Afghanistan è il più grande oppositore, con i talebani che impongono una rigida interpretazione della Sharia alla società. Anche le Maldive applicano rigidamente l’Islam, negando persino la cittadinanza ai non musulmani. In questi due Paesi è praticamente impossibile stimare la popolazione cristiana.
Nello Sri Lanka gruppi nazionalisti hindutva e buddisti hanno preso di mira i cristiani e i loro luoghi di culto, coinvolgendo anche la polizia, arrestando fedeli o interrompendo le funzioni religiose. Le vittorie politiche dei partiti religioso-nazionalisti – Podujana Peramuna in Sri Lanka e Bharatiya Janata Party (BJP) in India – rafforzano e incoraggiano questi atteggiamenti.
In Pakistan, i cristiani e i membri di altre fedi non musulmane sono vulnerabili nella società e corrono un rischio maggiore di molestie, arresti e violenze, inclusi rapimenti, percosse e stupri. Le credenze religiose maggioritarie sono considerate la norma e il Pakistan deve essere uno stato musulmano.
La strumentalizzazione della pandemia contro i cristiani
Durante le restrizioni dovute alla pandemia, la filiale locale del Saylani Welfare International Trust non ha distribuito cibo alle famiglie cristiane povere nel distretto di Korangi a Karachi (Pakistan), poiché le ONG islamiche non hanno aiutato i non musulmani quando l’aiuto è arrivato dalle offerte della Zakat, l’elemosina religiosa dei seguaci dell’Islam.
Le violazioni statali della libertà religiosa durante la pandemia di coronavirus andavano da quelle intenzionali ma draconiane a quelle calcolate e decisamente repressive.
Lo Sri Lanka rientra nella prima categoria: cristiani e musulmani hanno protestato contro l’obbligo della cremazione per chi è morto, o si sospettava che fosse morto, a causa del COVID-19, una misura che andava ben oltre le raccomandazioni dell’OMS e si opponeva alle tradizionali norma di sepoltura delle due comunità.
Nel frattempo, il Vietnam ha usato il coronavirus come pretesto per reprimere i credenti e ha fatto di almeno una comunità cristiana un capro espiatorio per la diffusione del virus a Ho Chi Minh.
Conclusione
Nel periodo in esame, la persecuzione dei cristiani ha continuato ad aggravarsi nei principali Paesi interessati. Il nazionalismo religioso e l’autoritarismo hanno intensificato i problemi dei fedeli, compreso il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, che ha spinto cristiani e altre minoranze a tentare una fuga disperata.
La violenza sistematica e un clima di controllo hanno fatto sì che in paesi così diversi come la Corea del Nord, la Cina, l’India e la Birmania, l’oppressione dei cristiani sia aumentata.
Altrove, l’escalation della violenza – spesso intenzionata a cacciare i cristiani – a fatto subite delle campagne di intimidazione, orchestrate da attori militanti non statali.
L’Africa è particolarmente preoccupante a questo proposito, poiché l’estremismo minaccia comunità cristiane precedentemente forti. In Nigeria e in altri paesi, questa violenza supera chiaramente la soglia del genocidio.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Immagine di All India Christian Council via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Persecuzioni
La Turchia espelle i cristiani perché minacciano la sicurezza nazionale
In Turchia i cristiani vengono espulsi dal Paese con l’accusa di rappresentare una «minaccia alla sicurezza nazionale». Lo riporta LifeSite.
Durante la conferenza sui diritti umani tenutasi a Varsavia il 13 ottobre, Lidia Rieder, esperta legale di Alliance Defending Freedom International, ha denunciato che i cristiani sono nel mirino del governo turco. «Classificare i pacifici residenti cristiani come “minacce alla sicurezza” è un evidente abuso del diritto e un attacco alla libertà religiosa», ha dichiarato le Rieder. «Quando i governi manipolano i sistemi amministrativi o di immigrazione per escludere le persone solo per la loro fede, ciò compromette lo stato di diritto e i principi di tolleranza e coesistenza pacifica che l’OSCE è stata creata per difendere».
La popolazione turca è composta per circa il 99% da musulmani, con meno dell’1% di cristiani. Sotto il governo autoritario di destra di Recep Erdogan, la Turchia riveste un ruolo geopolitico chiave grazie alla sua posizione strategica tra Europa e Medio Oriente. Sebbene membro della NATO, mantiene stretti legami con paesi musulmani come Qatar e Azerbaigian, che di recente, con il supporto di armi turche, hanno costretto oltre 100.000 cristiani a fuggire dal Nagorno-Karabakh verso l’Armenia.
Un comunicato di ADF ha riportato che dal 2020 «più di 200 lavoratori cristiani stranieri e le loro famiglie, circa 350 persone, sono stati espulsi dalla Turchia, molti dei quali residenti da decenni». Il ministero degli Interni ha assegnato a questi individui «codici di sicurezza» come N-82 e G-87, vietandone il rientro e classificandoli come minacce alla sicurezza nazionale.
Un rapporto del 2024 della Freedom of Belief Initiative ha confermato le conclusioni di ADF, indicando i cristiani come la minoranza religiosa più perseguitata in Turchia, con oltre 50 episodi di violenza contro di loro dal 2020.
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Interpellata da Fox News Digital, l’ambasciata turca a Washington ha rimandato a una dichiarazione del Centro per il Contrasto alla Disinformazione del Paese, che il 15 ottobre ha respinto le accuse di Rieder, definendole «infondate e parte di una campagna di disinformazione deliberata». «Il rispetto delle fedi e il pluralismo sono elementi essenziali dell’ordine democratico del nostro Paese», si legge. «La Turchia, come ogni Stato sovrano, può adottare decisioni amministrative sui cittadini stranieri per vari motivi, come violazioni dei visti, disturbi dell’ordine pubblico o mancanza di permessi legali».
Rieder ha citato il caso Wiest contro Turchia, che sarà esaminato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguarda Kenneth Wiest, un cristiano americano residente legalmente in Turchia per oltre trent’anni, a cui è stato negato il rientro nel 2019 senza prove di illeciti.
«I divieti di ingresso e le espulsioni sono sempre più usati per silenziare i lavoratori cristiani stranieri, mentre la formazione teologica rimane fortemente limitata», ha affermato ADF. «Ai seminari protestanti è negato lo status legale, l’educazione biblica è vietata, mentre i corsi di teologia islamica sono permessi sotto supervisione statale. Anche le proprietà ecclesiastiche subiscono restrizioni ingiuste, con comunità come quella protestante di Bursa costrette ad abbandonare luoghi di culto storici».
Come riportato da Renovatio 21, in questi anni la Turchia è stata teatro di attacchi contro chiese, come quello nel quartiere Sariyer di Costantinopoli, ascritto all’ISIS. Vi è inoltre il fenomeno di cristiani uccisi in storie su dispute su terreni. La persecuzione anticristiana è parimenti alimentata dall’islam e dal nazionalismo turco.
Bombe turche hanno distrutto una chiesa assira nel Nord-Est della Siria tre anni fa. Altri luoghi sacri cristiani, come Santa Sofia (convertita all’Islam alla presenza dell’Erdogano) e Chora (dove sono stati coperti affreschi e mosaici, e dove persino il museo diviene luogo di culto musulmano) a Costantinopoli e la cattedrale di Ani sono divenute moschee.
All’inizio di questa settimana, l’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre ha pubblicato il rapporto 2025 sulla persecuzione religiosa globale, evidenziando che 5,4 sugli 8 miliardi di persone del pianeta subiscono discriminazioni per le loro convinzioni religiose. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha espresso preoccupazione martedì, affermando che «uomini e donne meritano ovunque libertà da ogni forma di coercizione in materia di fede».
Come riportato da Renovatio 21, il Parolin ha negato che in Nigeria vi sia in atto una persecuzione di cristiani: quello nigeriano «non è un conflitto religioso, è più un conflitto di tipo sociale, per esempio tra gli allevatori e gli agricoltori», ha dichiarato il segretario di Stato Vaticano, suscitando gli strali di monsignor Carlo Maria Viganò.
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Immagine dalla chiesa di Santa Irene, Costantinopoli
Immagine di Carole Raddato via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Persecuzioni
Ultras rumeni espongono lo striscione «Difendiamo i cristiani nigeriani» durante le qualificazioni ai Mondiali
La persecuzione anticristiana in Nigeria si è aggravata dopo il 1999, quando 12 stati del Nord hanno adottato la sharia. L’ascesa di Boko Haram nel 2009 ha segnato un’ulteriore escalation, con il gruppo noto per il rapimento di centinaia di studentesse nel 2014, di cui 87 risultano ancora disperse. Recentemente, attacchi nel Paese hanno incluso rapimenti e omicidi di sacerdoti e seminaristi cattolici. A luglio, la diocesi di Auchi, nello Stato di Edo, ha riferito che uomini armati hanno attaccato il Seminario Minore dell’Immacolata Concezione, uccidendo una guardia e rapendo tre seminaristi.‘Defend Nigerian Christians’ Fans of the Romanian national football team unfurled a banner before their Worlld Cup Qualifier pic.twitter.com/asTnmvuV1l
— Catholic Arena (@CatholicArena) October 15, 2025
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Persecuzioni
Spagna, l’islamo-sinistra non riesce a imprigionare un prete
In Spagna, un processo senza precedenti mette in luce le crescenti tensioni tra le libertà della Chiesa e l’amministrazione catalana. Padre Custodio Ballester, un sacerdote cattolico di 61 anni di Barcellona, che rischiava tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento per dichiarazioni critiche nei confronti dell’Islam pronunciate nel 2016 e nel 2017, è stato appena assolto.
Non tutte le verità sono belle da dire: padre Ballester, sacerdote dell’arcidiocesi di Barcellona e attualmente coadiutore della parrocchia di San Sebastián de Badalona, lo ha imparato a sue spese. Noto per il suo impegno nelle cause pro-life e per una visione piuttosto tradizionalista della Chiesa, il sacerdote è già stato oggetto di denunce per omelie anti-aborto, tutte respinte.
Fu una pubblicazione del dicembre 2016 ad accendere la miccia: un articolo intitolato «Il dialogo impossibile con l’Islam», pubblicato sulla rivista cattolica Germinans Germinabit. Questo testo rispondeva a una lettera pastorale dell’arcivescovo di Barcellona, il cardinale Juan José Omella, intitolata «Il dialogo necessario con l’Islam», in cui l’autore invitava i cattolici a promuovere la comprensione reciproca di fronte all’aumento delle migrazioni: un’eco religiosa di papa Francesco.
Nel suo saggio, padre Ballester sostiene ad hominem che un vero dialogo interreligioso è impossibile con la dottrina islamica. Cita esempi storici e contemporanei di persecuzione contro i non musulmani in Paesi a maggioranza islamica come Pakistan, Nigeria e Siria.
«L’Islam non ammette il dialogo. O credi, o sei un infedele che deve essere soggiogato in un modo o nell’altro», ha scritto, riferendosi ai versetti del Corano che legittimano la violenza contro i non credenti. Ha chiesto al cardinale Omella: «di quale dialogo stiamo parlando quando ci sono Paesi in cui coloro che non professano l’Islam vengono assassinati?»
Nel 2017, padre Ballester ha ribadito i suoi commenti durante un’intervista online al programma La Ratonera . Accompagnato da Padre Jesús Calvo, un sacerdote ottantenne, il dibattito ha affrontato le minacce che il jihadismo rappresenta per l’Europa. Questi scambi, insieme all’articolo iniziale, sono stati inseriti nel fascicolo dai procuratori di Malaga, dove si trova la piattaforma che ospita il dibattito online.
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Nel marzo 2017 è stata presentata una denuncia dall’associazione di Barcellona Musulmani contro l’Islamofobia, legata ad ambienti di sinistra. Finanziata dal governo regionale catalano, l’organizzazione ha accusato Ballester di promuovere la discriminazione e l’incitamento all’odio contro l’Islam. La procura di Malaga, guidata da una donna che dirige anche un Osservatorio per l’Uguaglianza, ha chiesto una pena esemplare: tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento.
Il processo, inizialmente previsto per settembre 2024, si è finalmente tenuto il 1° ottobre 2025 presso il Tribunale provinciale di Malaga, in udienza pubblica. Dopo circa due settimane, la sentenza è stata emessa: il Tribunale ha stabilito che non sussistevano gli elementi oggettivi del reato, «per quanto spregevole e perverso potesse essere il messaggio», hanno aggiunto i magistrati.
Padre Ballester denuncia un «clima di terrore» progettato per mettere a tacere i dissidenti. «Vogliono dare l’esempio affinché altri si autocensurino», ha confidato a El Debate. Aggiunge di essere fortunato nella sua sfortuna perché, in Pakistan, i suoi commenti potrebbero costargli la pena di morte. Parlando alla Catholic News Agency, ha chiarito: «le mie dichiarazioni non sono mai state discriminatorie o odiose e avevano lo scopo di allertare i fedeli sulle minacce al cristianesimo, senza prendere di mira singoli individui».
I media di destra denunciano la persecuzione ideologica, sottolineando le presunte simpatie dell’associazione querelante per gruppi come i talebani o il regime iraniano, e notano anche che le richieste dell’accusa contrastano con la clemenza nei confronti dei discorsi anticristiani: i giudici si sono recentemente rifiutati di incriminare un comico per commenti che chiedevano di lapidare i sacerdoti o di bombardare la Valle dei Caduti, definendoli «umoristici».
Personaggi come l’eurodeputato Juan Carlos Girauta del partito di destra nazionale Vox sostengono padre Ballester, sottolineando che il suo articolo riecheggia la conferenza di Benedetto XVI del 2006 a Ratisbona su fede e ragione. Una petizione online ha persino raccolto oltre 25.000 firme chiedendo l’archiviazione delle accuse, affermando: «è surreale: gli attacchi alle chiese restano impuniti, ma un sacerdote rischia il carcere per aver messo in guardia contro l’estremismo».
Mentre Vox ha reagito, la gerarchia cattolica spagnola rimane in silenzio. La Conferenza Episcopale Spagnola non ha rilasciato alcuna dichiarazione e l’arcidiocesi di Barcellona ha optato per un «silenzio discreto». A magra consolazione, il cardinale Omella, la cui lettera aveva spinto il sacerdote a rispondere nel 2016, lo avrebbe «rassicurato» in privato: «se finisci in prigione, verrò a trovarti…». Ma padre Ballester è stato infine assolto.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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