Nucleare
Con la guerra in Ucraina Abe riapre alle testate nucleari a Tokyo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
L’ex premier giapponese in un dibattito tv ha sostenuto che alla luce della situazione globale occorrerebbe un accordo con gli Stati Uniti sulla condivisione delle armi atomiche. Contrario l’attuale primo ministro Fumio Kishida, ma è scontro all’interno del partito a cui entrambi appartengono. La protesta degli hibakusha, i sopravvissuti alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki.
In Giappone si infiamma il dibattito sul possesso degli armamenti nucleari.
Lo scorso fine settimana, l’ex primo ministro Shinzo Abe era stato invitato in un programma televisivo per parlare del panorama internazionale e delle minacce per la sicurezza del Giappone alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina.
L’ex primo ministro, osservando che dopo la caduta dell’Unione Sovietica Kiev aveva deciso di rinunciare al proprio arsenale nucleare, ha lasciato intendere che se ciò non fosse avvenuto probabilmente oggi l’Ucraina non avrebbe dovuto fronteggiare l’aggressione di Mosca.
Traendo il parallelo, quindi, Abe ha suggerito che Tokyo dovrebbe interrogarsi sull’opportunità di raggiungere un accordo con gli Stati Uniti per la condivisione dei suoi armamenti nucleari.
«Bisogna capire come viene mantenuta la sicurezza globale. Non dovremmo imporre tabù al dibattito sulle circostanze con cui dobbiamo avere a che fare», ha detto l’ex premier facendo implicito riferimento alle sfide poste dalla crescente assertività cinese e dal programma nucleare della Corea del Nord.
La proposta è stata subito bocciata dall’attuale premier Fumio Kishida, che ha dichiarato inaccettabile l’ipotesi suggerita perché contraddirebbe i tre principi anti-nucleari che fin dagli anni ’60 hanno guidato la politica estera giapponese: no alla produzione, no al possesso e no all’introduzione sul proprio territorio di armi nucleari.
Nonostante la chiusura netta di Kishida, però, il dibattito politico non si è fermato.
Abe ha lasciato la carica di premier nel 2020 ma rimane una voce ancora molto ascoltata all’interno del Partito Liberaldemocratico (LDP), dal momento che ne guida la fazione più numerosa. In particolare, Abe guida l’ala destra del partito, quella tendenzialmente più nazionalista dove i falchi della difesa sono di casa.
L’influenza sul dibattito pubblico di cui gode ancora Abe è ben resa dal turbinio politico seguito alle sue dichiarazioni.
Matsui Ichiro, a capo del partito di opposizione Nippon Ishin no Kai, ha fatto eco ad Abe sostenendo che Tokyo non può condurre la propria politica secondo i principi di un’era passata e annunciando di voler pubblicare delle proprie proposte.
Tamaki Yuichiro, che è a capo del DPP, ha messo in dubbio che una deterrenza nucleare efficace possa funzionare con un’interpretazione troppo rigida dei tre principi non-nucleari
Dell’opposta opinione è invece il Partito Comunista, che ha condannato la posizione dell’ex premier: «i tre principi anti-nucleari non sono solo una politica ma anche una causa nazionale».
Più cauto invece è stato il CDP, il primo partito di opposizione, che ha criticato più che altro la convenienza di aprire un dibattito sul tema di punto in bianco. Komeito, l’unico alleato di governo dell’LDP, ha dichiarato che è essenziale continuare a aderire ai tre principi.
Davanti alla rabbia dei sopravvissuti alle bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki, gli hibakusha, alcuni però hanno compiuto un passo indietro. Le organizzazioni delle vittime hanno convocato il 2 marzo una conferenza per condannare pubblicamente la proposta di portare le armi nucleari in Giappone.
«Alle persone che non hanno vissuto la guerra dobbiamo far capire ad ogni costo quale sia la realtà delle armi nucleari», ha detto un rappresentante degli hibakusha. Il giorno successivo, Nippon Ishin ha infatti rimosso dalle proprie proposte quella di rivedere i tre principi anti-nucleari.
Abe tuttavia continua a non demordere. Ieri, in una riunione della propria fazione, ha reiterato la sua posizione, che rimane condivisa all’interno della destra.
Nonostante il governo a guida LDP si sia espresso contrariamente, la battaglia decisiva rimane comunque quella per l’opinione all’interno del partito a cui sia Kishida che Abe appartengono.
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Nucleare
Stupende immagini della fusione nucleare
Impressionanti immagini giungo dall’azienda britannica Tokamak Energy, che ha scattato ad alta velocità delle foto a colori di ciò che accade dentro, appunto, un tokamak, acronimo russo per «camera toroidale con spire magnetiche», cioè un reattore nucleare a fusione a forma di ciambella.
Vediamo qui una nube rosa di plasma di idrogeno luminoso che raggiunge temperature superiori a quelle del nucleo del Sole, il tutto imprigionato in un potentissimo campo magnetico. Ciò che vediamo è solo la luce visibile proveniente dal bordo del plasma, perché il nucleo del plasma è così caldo che non emette alcuna luce visibile.
Nell’angolo in alto a destra, si può anche assistere allo spettacolo abbagliante dei granuli di litio iniettati nella camera, scrive Futurism. Inizialmente di un rosso brillante, i granuli di litio cadono più in profondità nel plasma, mentre la ionizzazione lo trasforma in un alone sfocato di un verde brillante.
Plasma is better in colour! Watch one of our latest #plasma pulses in our ST40 tokamak, filmed using our new high-speed colour camera at an incredible 16,000 frames per second.
Each pulse lasts around a fifth of a second. What you’re seeing is mostly visible light from the… pic.twitter.com/jWKmcl0tEx
— Tokamak Energy (@TokamakEnergy) October 15, 2025
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«La telecamera a colori è particolarmente utile per esperimenti come questi», ha affermato Laura Zhang, fisica di Tokamak Energy, in una nota. «Ci aiuta a identificare immediatamente se le impurità gassose che stiamo introducendo irradiano nel punto previsto e se le polveri di litio penetrano nel nucleo del plasma».
La fusione nucleare, il processo che da miliardi di anni alimenta le stelle come il nostro Sole, avviene quando l’enorme gravità stellare fa collidere atomi leggeri, come l’idrogeno, in un plasma rovente, generando calore durante la loro unione. Riprodurre questo fenomeno sulla Terra è complesso, poiché manca la gravità stellare che facilita la collisione degli atomi.
Un tokamak risolve parzialmente il problema, usando potenti campi magnetici generati da superconduttori per confinare il plasma, troppo caldo per essere contenuto da materiali solidi. Tuttavia, il combustibile, come gli isotopi di idrogeno (deuterio e trizio), è problematico: il deuterio è raro e si estrae dall’acqua di mare, mentre il trizio, ancora più scarso, va prodotto irradiando il litio, un metallo difficile da reperire. Rispetto alla fissione nucleare, che usa uranio o plutonio, la fusione è più sicura, con radiazioni a breve emivita.
Attualmente, però, i nostri esperimenti di fusione consumano più energia di quanta ne producano, rendendola ancora impraticabile, anche se i progressi sono promettenti per la ricerca scientifica. Recenti studi sulla superconduttività condotti al politecnico bostoniano MIT sembrano indicare che la fusione è tuttavia pienamente possibile. Altre svolte si sarebbero avute a Princeton, in Corea e in Giappone.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina in particolare sembra aver intrapreso la corsa all’ottenimento della tecnologia a fusione atomica, con il primo reattore a fusione-fissione programmato già per il 2030.
Una volta scoperto un processo stabile per ottenere la fusione, potrebbe entrare in giuoco l’Elio-3, una sostanza contenuta in grande abbondanza sulla Luna, dove la Cina, come noto, sta operando diverse missioni spaziali di successo. Da qui potrebbe svilupparsi definitivamente il ramo cosmico dello scacchiere internazionale, la geopolitica spaziale che qualcuno già chiama «astropolitica», e già si prospetta come un possibile teatro di guerra.
La cooperazione mondiale per la fusione era un’idea portata avanti dallo scienziato atomico sovietico Igor Kurchatov. Essa potrebbe quindi passare anche per una collaborazione nello spazio, che ad oggi pare assai difficile.
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Immagine screenshot da Twitter
Nucleare
Conferenza mondiale sulla fusione nucleare in Cina
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Nucleare
«Non c’è vittoria nella guerra nucleare»: parla l’esperto in armamenti del MIT
Alla fine della scorsa settimana, a Berlino si sono tenuti diversi eventi che hanno evidenziato il rischio per la Germania derivante dal dispiegamento di missili a medio raggio e dalla fornitura di tali armi all’Ucraina, considerati come un possibile preludio a una Terza Guerra Mondiale. Lo riporta EIRN.
Uno di questi eventi è stata una presentazione di tre ore, svoltasi il 10 ottobre, tenuta dal professor Ted Postol, rinomato esperto di armi del MIT, organizzata congiuntamente dallo Schiller Institute (ente legato al gruppo Larouche) e dalla Eurasian Society. L’argomento era la minaccia rappresentata dal posizionamento di missili a medio raggio in Germania, accompagnata da un’analisi lucida delle conseguenze di una potenziale guerra nucleare.
Postol ha illustrato l’enorme potenziale distruttivo delle moderne armi nucleari, molto più potenti rispetto a quelle che, nel 1945, causarono tra le 200.000 e le 250.000 vittime in Giappone, confutando l’idea assurda di poter vincere una guerra nucleare, dimostrando che la cosiddetta «vittoria» diventa priva di senso quando il Paese vincitore non ha più sopravvissuti al termine del conflitto.
L’esperto ha quindi smontato il mito della vittoria in una guerra nucleare tattica, spiegando che l’uso di una singola arma nucleare porterebbe, in circa cinque giorni, a una guerra globale che estinguerebbe ogni forma di vita sulla Terra.
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Riflettendo sulla sua esperienza personale nella pianificazione di una guerra nucleare, Postol ha sottolineato il problema della riduzione del tempo di allerta precoce, dovuto al posizionamento avanzato dei missili, e il rischio di una rapida escalation verso l’uso di armi nucleari, per entrambe le parti, a causa del dilemma «usalo o perdilo».
«Nel 1983, si svolse un war game chiamato Able Archer. In quel war game, i vertici americani simularono, da una prospettiva sociale, psicologica e militare, uno scontro tra il Patto di Varsavia e la NATO, con l’uso di armi nucleari (…) È importante comprendere che gran parte di ciò che avvenne in quel gioco fu guidato da imperativi militari. Il problema, ancora una volta, deriva dalla natura delle armi nucleari. Sono così potenti che, quando una parte inizia a usarle, entrambe si sentono obbligate a contrattaccare e a distruggere il più possibile la capacità offensiva del nemico. Non hai scelta una volta che sei in questo gioco. Non puoi dire “basta”. Perché non sai se l’avversario intensificherà il suo attacco prima che tu ti fermi. Questo dà al nemico l’opportunità di aumentare la sua potenza in modo da causarti danni ancora maggiori. Sei quindi costretto a entrare in un ciclo in cui devi colpire il nemico per tenerlo sotto controllo».
Postol ha spiegato che questa dinamica di attacco e contrattacco è centrale nel pensiero militare sulla guerra nucleare, basato sull’erronea convinzione che si possa combattere e vincere, chiarendo che non esiste vittoria, poiché «i livelli di distruzione sono così elevati che entrambe le parti vengono annientate». Ha aggiunto che l’idea di una guerra nucleare paragonabile a un conflitto convenzionale è fuorviante, poiché i danni sono incomparabilmente più devastanti.
Il professore ha anche criticato la politica autolesionista del governo tedesco, che consente il dispiegamento di queste armi sul proprio territorio, rendendo la Germania, senza alcuna valida ragione, un bersaglio per la distruzione nucleare in caso di conflitto, deplorando inoltre il rapido declino del senso di realtà tra i leader politici occidentali, un fattore che di per sé alimenta il rischio di un confronto nucleare, a causa della loro incapacità di comprendere le conseguenze delle proprie scelte politiche.
Come riportato da Renovatio 21, Postol l’anno scorso aveva condannato l’attacco di droni ucraini contro le stazioni di rilevamento per la guerra atomica Armavir (nota come «Lupi dello Zar») e Orsk, nella Russia meridionale e orientale, parlando di una possibile escalation che da lì poteva partire verso la distruzione nucleare pantoclastica.
Si trattava di attacchi ad una componente componente dell’«ombrello nucleare» della Federazione Russa.
«Gli ucraini hanno ora attaccato un secondo radar strategico di allarme rapido nucleare russo critico a Orsk» aveva avvertito Postol. «Questo radar guarda verso l’Oceano Indiano e ha qualche sovrapposizione con i radar del radar già danneggiato di Armavir. I primi indicatori indicano che l’entità dei danni subiti dall’Orsk è probabilmente limitata, ma non si può escludere che il radar non funzioni per il momento a causa dell’attacco».
«Questa è una situazione molto seria. A differenza degli Stati Uniti, i russi non dispongono di sistemi di allarme satellitare spaziali in grado di rilevare attacchi di missili balistici a livello globale. Ciò significa che la copertura radar persa a causa degli attacchi a questi radar riduce notevolmente il tempo di preavviso contro gli attacchi a Mosca dal Mediterraneo e dall’Oceano Indiano».
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«L’estrema pressione temporale sulla leadership russa potrebbe quindi aumentare significativamente le possibilità di un catastrofico incidente nucleare. Il fatto che Blinken e la sua squadra di sicurezza nazionale abbiano dato il via libera al governo ucraino per attaccare siti russi fuori dall’Ucraina, significa che Blinken ha incautamente detto agli ucraini che possono impegnarsi in tali atti che avrebbero conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli Stati Uniti e per l’intero pianeta».
Renovatio 21 rammenta come anche nei discorsi degli strateghi russi sia apparsa, negli scorsi mesi, l’idea di attaccare per primi utilizzando armi atomiche.
Come riportato da Renovatio 21, il noto esperto di relazioni internazionali russo Sergej Karaganov ha scritto interventi molto discussi dove ha parlato apertis verbis della revisione della strategia militare atomica di Mosca, arrivando a ipotizzare la nuclearizzazione di una città europea in risposta al sostegno della guerra ucraina.
Siamo arrivati al punto più prossimo allo sterminio atomico. Mai nella storia, nemmeno nei momenti più caldi della guerra fredda, eravamo giunti così vicino all’abisso pantoclastico, alla prospettiva della distruzione massiva dell’umanità.
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