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Geopolitica

Zelen’skyj toglie la cittadinanza a sacerdoti ortodossi

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Il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha privato della cittadinanza del paese 13 sacerdoti all’interno della canonica Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC), secondo quanto riportato sabato dal quotidiano Levy Bereg, che cita fonti governative.

 

Il decreto presidenziale contro i religiosi sarebbe stato firmato dallo Zelens’kyj a fine dicembre ma non è stato pubblicato ufficialmente, poiché contiene i dati personali dei sacerdoti a cui veniva revocata la cittadinanza.

 

Il giornale ha comunque diffuso un elenco delle persone colpite dal provvedimento del regime di Kiev. Ad esempio, include Ionafan, il metropolita della diocesi di Tulchin nella regione di Vinnytsya, che era stato preso di mira dal servizio di sicurezza ucraino (SBU) lo scorso ottobre.

 

L’agenzia per la sicurezza interna ha accusato il religioso di seminare discordia religiosa e sostenere la Russia, sostenendo di aver sequestrato materiale incriminante, tra cui vari «contenuti filo-russi stampati e letteratura di propaganda».

 

Secondo RT, il decreto includerebbe anche diversi sacerdoti che avevano effettivamente reciso i loro legami con l’Ucraina molto tempo fa, avendo disertato verso la Russia.

 

In particolare, Lazar, metropolita di Simferopol e Crimea, è stato privato della cittadinanza ucraina. La Metropoli di Crimea, che comprende diverse diocesi della Crimea, è stata istituita e si è sottoposta al controllo diretto del Patriarcato di Mosca la scorsa estate, citando il disordine nella Chiesa ucraina e la mancanza di contatti con Kiev.

 

L’UOC, che era stata subordinata al Patriarcato di Mosca, ha dichiarato l’indipendenza all’inizio del conflitto in corso tra Russia e Ucraina. Lo sforzo di prendere le distanze da Mosca, tuttavia, non sembra aver risparmiato l’UOC da un nuovo assalto del governo ucraino.

 

Negli ultimi mesi, i siti UOC sono stati ripetutamente perquisiti dalla SBU per presunti legami con la Russia, mentre Zelens’kyj proclamava apertamente la necessità di salvaguardare l’«indipendenza spirituale» della Nazione da Mosca.

 

L’Ucraina ha vissuto a lungo tensioni religiose, con una serie di entità scismatiche e sedicenti che affermano di essere la vera e unica Chiesa ortodossa del Paese.

 

La Chiesa ortodossa ucraina (OCU), fondata nel 2018 con il coinvolgimento diretto dell’ex presidente ucraino Petr Poroshenko, è diventata la più grande rivale dell’UOC e contesta i siti religiosi che controlla.

 

La «Chiesa ortodossa dell’Ucraina» parrebbe essere favorita anche dalle autorità in carica dell’Ucraina, scrive RT. In realtà, il blitz contro la religione è solo l’ultimo nella cavalcata inarrestabile di Zelen’skyj al potere totale: partiti politici sono stati messi al bando, sindacati sono stati indeboliti, TV e media chiusi d’imperio, e ora la nuova legge dà a Kiev il potere perfino di dare ordini alle grandi aziende tecnologiche americane, che fino adesso, c’è da dire, hanno sempre obbedito.

 

In pratica, la censura a Kiev è già totale – ora si va nel passo successivo, nella vera e propria persecuzione religiosa. Un colmo per il cosiddetto «mondo libero», che nella sua capitale, Washington, ha applaudito e rifornito di armi e centinaia di miliardi l’uomo della repressione religiosa più feroce.

 

Come riportato da Renovatio 21, la UOC è stata cacciata dalla sua cattedrale presso la Lavra (l’Abbazia delle Grotte di Kiev) per questo Natale 2023.

 

Sulla scorta dell’esempio ucraino, lo scorso autunno il Parlamento lettone ha fatto separare da Mosca la chiesa ortodossa del Paese.

 

 

 

 

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Geopolitica

La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco

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Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.

 

Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.

 

«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.

 

Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.

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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.

 

All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.

 

La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.

 

Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.

 

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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Geopolitica

Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset

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La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.   Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.   Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».   Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.

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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».   «Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.   Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.   Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».   «La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.   Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.   Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».  

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Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania

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Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.

 

Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.

 

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.

 

Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)

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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.

 

Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».

 

«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».

 

Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».

 

Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.

 

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