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Economia

Volvo annuncia licenziamenti: mancanza di domanda per l’auto elettrica

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Il produttore di batterie della Volvo Cars, Novo Energy, ha annunciato licenziamenti a Göteborg, diventando così l’ennesima azienda svedese del settore a ridurre le attività. Lo riporta il sito Salon24.

 

Secondo una dichiarazione di Novo Energy, il 30% del personale dovrà dire addio al proprio lavoro in azienda, con i media che riportano che ciò significa la partenza di circa 120 persone. A marzo 2024, l’azienda aveva iniziato la costruzione di un nuovo stabilimento a Torslanda, alla periferia di Goteborg, che avrebbe dovuto impiegare 3.000 persone e sarebbe stato pronto nel 2026.

 

Novo Energy è stata fondata nel 2021 da Volvo Cars e da un altro produttore svedese di celle e sistemi per batterie, Northvolt, che è attualmente in crisi. Lo scorso autunno, ha licenziato 1.600 dipendenti in tre città della Svezia a causa di problemi di produzione e di un calo degli ordini.

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I rappresentanti di Novo Energy hanno annunciato alla fine dell’anno scorso che, a causa del mancato rispetto da parte di Northvolt dell’accordo riguardante il suo contributo finanziario alla società, Volvo Cars ne sarebbe diventata l’unica proprietaria. Secondo quanto riportato dai media, Volvo Cars è ora alla ricerca di un nuovo investitore. Il quotidiano Dagens Nyheter ha anche rivelato nel 2024 che Novo Energy aveva fatto domanda all’agenzia governativa svedese per ottenere finanziamenti per la costruzione dell’impianto a Torslanda.

 

Nel frattempo, scrive Remix News, Volvo Cars ha anche annunciato lo scorso settembre che non avrebbe più cercato di vendere solo auto elettriche entro il 2030 a causa della domanda dei clienti inferiore alle aspettative, sottolineando gli alti prezzi dell’elettricità, lo scarso sviluppo delle infrastrutture di ricarica e il ritiro dei governi di diversi paesi, tra cui la Svezia, dal sovvenzionare l’acquisto di auto elettriche.

 

Nella vicina Norvegia, nove auto nuove su 10 vendute nel 2024 erano elettriche, con un rapporto della Federazione stradale norvegese (OFV) che mostrava vendite record di auto a combustione, meno di 1.000 su 130.000 vendute nel 2024 erano alimentate a gas. Il rapporto affermava anche che solo un’auto su dieci venduta non era alimentata esclusivamente da un motore elettrico.

 

Questo numero include anche i veicoli ibridi, che rappresentavano l’8% di tutte le vendite. Ogni quinta auto elettrica venduta in Norvegia era una Tesla, con Volvo, Volkswagen, Toyota e Skoda molto indietro.

 

In Polonia, secondo i dati dell’Electromobility Counter lanciato dalla Polish Automotive Industry Association e dalla Polish New Mobility Association, alla fine di novembre 2024, sulle strade polacche circolavano 136.404 autovetture elettriche, di cui 70.342 completamente elettriche e 66.062 ibride plug-in. Il numero di veicoli e camion per le consegne elettriche era 7.833.

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Alla fine di novembre 2024, in Polonia erano disponibili al pubblico 8.331 punti di ricarica per veicoli elettrici. Il 30% di questi erano punti di ricarica a corrente continua (CC) veloce e il 70% erano punti a corrente alternata (CA) lenta con una potenza inferiore o uguale a 22 kW.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo scorso anno ha visto un drastico crollo delle auto elettriche venduta in Germania. Secondo alcuni economisti, la produzione di auto non-endotermiche starebbe mettendo a repentaglio l’intero settore industriale tedesco.

 

Negli anni sono stati registrati altri paradossi grotteschi, come lo studio olandese che dimostrava che in realtà le auto elettriche del Paese andavano a combustibile fossile o l’annuncio da parte della California dell’uscita dell’auto a benzina, salvo subito dopo diramare un ordine di non ricariche le auto elettriche a fronte di minaccia di blackout.

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Immagine di G. Edward Johnson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
 

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Cina

La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale

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Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.   Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.   Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.   «Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».   Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.   Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Economia

Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros

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Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.

 

L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.

 

L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.

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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».

 

Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.

 

La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.

 

Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.

 

Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».

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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.

 

L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.

 

Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.

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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0

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Economia

L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo

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Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.   A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.   Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.

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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.   Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.   Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.   Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».  

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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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