Economia
Verso il tracollo italiano: crisi energetico-industriale, alcuni aggiornamenti
Con l’arrivo del mese di Luglio è possibile fare un bilancio sulla situazione energetica italiana nella prima metà del 2023. Lo facciamo con il professor Mario Pagliaro, l’accademico europeo già nell’estate del 2021 previde l’arrivo di una crisi dei prezzi energetici senza precedenti per l’Italia e per l’Europa. Da mesi, Renovatio 21 grazie ad una serie di interviste con il professor Pagliaro ha prima anticipato e poi verificato il collasso dei consumi energetici italiani.
Siamo a luglio. I prezzi di gas ed elettricità sono crollati. Ma con essi, al contrario di quanto ci si sarebbe atteso, è collassata anche la produzione industriale. La crisi industriale quasi la vedi camminando lungo le strade interne di tutto il Nord Italia.
Siamo tornati a sentire Pagliaro per analizzare la situazione e guardare al prossimo futuro.
Professore, c’eravamo lasciati con la notizia che i consumi di gas e pure quelli elettrici a marzo fossero crollati nonostante il forte calo dei prezzi. La situazione è cambiata: i consumi sono tornati ad aumentare?
Non è così. A giugno l’Italia ha fatto registrare il minimo storico dei consumi. I dati pubblicati puntualmente da Snam ci dicono che a giugno, l’ultimo mese prima dell’inizio delle ferie distribuite fra luglio e agosto, il consumo industriale di gas naturale è sceso sotto gli 800 milioni di metri cubi (mc), a 766 milioni. Nello stesso mese dello scorso anno, il consumo era stato di 1041 milioni di mc.
È il valore più basso mai consumato in un mese dall’industria italiana: sfondato al ribasso il record di marzo 2023 quando il consumo era stato di 991 milioni di mc.
A questo calo mensile anno-su-anno del 26% dei consumi industriali si aggiunge il dimezzamento dei consumi di gas da parte dell’industria termoelettrica: che a giugno ha bruciato poco più di un miliardo di mc contro i 2,18 miliardi bruciati nelle centrali termoelettriche nel giugno 2022. Un crollo di oltre il 50%.
Se aggiungiamo che anche il consumo di gas da parte delle famiglie e dei comuni per la produzione di acqua calda sanitaria e per scaldare le piscine comunali è sceso dai 982 milioni del Giugno 2022 ai 710 dello scorso mese di giugno, notiamo come anche in questo settore normalmente stabile del mercato del gas si registri un crollo di oltre il 27%.
È stata talmente tanto bassa la domanda di gas in Italia lo scorso giugno che su un totale di 2,84 miliardi di metri cubi immessi in rete, ben 310 milioni sono stati esportati all’estero. C’è poi un ulteriore dato…
Quale?
Che a Tarvisio, proveniente dalla Russia, non entra più gas. Dal gasdotto fino a 3 anni fa più importante per l’Italia a giugno sono entrati appena 2,7 milioni di mc, praticamente nulla. Persino a giugno 2022, quando la guerra durava già da 4 mesi, a Tarvisio erano entrati 644 milioni di mc.
Come faremo dunque ad evitare i black-out con appena 3 rigassificatori e quello di Piombino non ancora operativo?
Non lo sappiamo. Sappiamo che non è possibile sostituire in tempi così brevi gli oltre 29 miliardi di metri cubi importi dalla Russia nel 2021. Persino nel 2022 l’Italia con i consumi ai minimi storici ha importato 11 miliardi di mc dall’ex Unione Sovietica.
Se la quantità si azzera, e continuerà anche in autunno e in inverno il quadro meteorologico freddo che da fine Marzo investe l’intero Paese, non è possibile escludere che si dovrà ricorrere alle misure che erano state predisposte dal precedente governo. Davide Tabarelli lo scorso a ottobre invitava tutti a comprarsi un generatore elettrico per l’inverno. Poi, l’inverno mite e il collasso congiunto dei consumi industriali di gas e di quelli elettrici hanno evitato che ci fossero i blackout programmati. Ma ora, la situazione è cambiata: bisogna riempire un gap di altri 11 miliardi di mc su un totale dei consumi di gas che secondo Snam nel 2023 si assesterà a 68-70 miliardi di mc.
A Maggio ci diceva che il crollo della produzione industriale è dovuto alla fine del Superbonus e al crollo della domanda. Perché la produzione non riparte: si vede un afflusso di turisti stranieri mai visto, sembrerebbe che l’economia internazionale dopotutto sia florida?
Il boom riguarda il flusso di turisti stranieri che vengono in Italia a spendere tanto i guadagni di Borsa degli ultimi 6 mesi, che alimentano i fondi pensione dei Paesi anglosassoni, che i «ristori» ricevuti dai loro governi in oltre 2 anni di restrizioni. In Italia, invece con i salari bassi che non subiscono aumenti e l’inflazione che resta la più alta fra i maggiori Paesi in Europa, la gran parte degli italiani praticamente faranno le vacanze a casa.
E la domanda di beni italiani?
Continua a diminuire, annullando i benefici del calo dei prezzi energetici. L’Italia ha esportato nel primo quadrimestre beni per 207,1 miliardi di euro, registrando – rispetto al primo quadrimestre del 2022 – un calo del -2,9% in termini di volume e un aumento del +5,9% in termini monetari.
In altre parole, il modesto surplus di 5 miliardi della bilancia commerciale nei primi 4 mesi del 2023 è dovuto solo all’aumento generalizzato dei prezzi, cioè all’inflazione.
E le importazioni?
Sono scese, nei primi quattro mesi del 2023, sia in termini monetari (-3,2%) che in volume (-4,1%), per un totale di 201,3 miliardi di euro.
E questo, insieme al forte calo dei consumi energetici, conferma come le aziende italiane tengano fermi o al minimo gli impianti nonostante la significativa diminuzione dei costi energetici: perché le aziende importano dall’estero, e in particolare dalla Cina, i semilavorati che un tempo producevano le aziende dell’IRI. Ne importano di meno perché la domanda, interna ed estera, continua ad essere bassa.
Da aprile, poi, si registra un vero e proprio tracollo della produzione industriale che, grazie ai dati dei consumi energetici, già sappiamo essersi esteso ai mesi di maggio e giugno.
Tracollo in che senso?
In senso letterale: l’indice generale nel comparto manifatturiero ha registrato un calo del 7,2% sullo stesso mese del 2022.
I settori produttivi per eccellenza del manifatturiero sprofondano: industria del legno, della carta e della stampa: -17,2%; fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria: -13,6%; metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo -10,9%; prodotti chimici: -10,9%; apparecchiature elettriche e non: -9,7%; articoli in gomma, materie plastiche, minerali non metalliferi: -8,9%; industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori: -8,6%; attività manifatturiere: -6,7%; industrie alimentari, bevande e tabacco: -5,6%.
È un quadro drammatico che però noi tocchiamo concretamente, qui al Nord. Senta, lei tre anni fa parlando con Renovatio 21 aveva previsto il ritorno dello Stato nella produzione, con la ricostituzione dell’IRI per reindustrializzare l’Italia basandone il nuovo sviluppo industriale sulle nuove tecnologie dell’energia: pensa ancora che sia necessario?
Non esiste alcuna altra strada per l’Italia. Ne abbiamo quasi ogni mese la prova concreta.
Lasci che citi il caso dell’Industria Italiana Autobus, costituita dallo Stato nel 2014, acquisisce nel 2015 due storiche aziende italiane degli autobus, una a Bologna e l’altra in Irpinia. C’erano da salvare dalla disoccupazione oltre 400 dipendenti. Lo scorso marzo, l’azienda a controllo pubblico è stata fra le quattro a fare un’offerta per la fornitura di ben 340 autobus elettrici alla municipalizzata di Milano. Ma senza una produzione italiana della tecnologia chiave della mobilità elettrica, ovvero la batteria al litio, non è possibile avere alcun controllo sui costi di produzione, e dunque sui margini di profitto e sulla capacità di competere. Perché il costo di produzione di un autobus elettrico dipende in larga parte dal costo di produzione delle batterie al litio che poi lo alimenteranno.
Quale alternativa esiste alla produzione di Stato di questa tecnologia quando, ormai a fine 2023, non esiste una sola azienda italiana, francese, o tedesca che le produca?
A parte l’Industria Italiana Autobus, vede altri segnali del ritorno dello Stato nell’economia in Italia e in altri Paesi europei?
Lo Stato ha già nazionalizzato la quarta banca italiana, di cui possiede oltre il 64% del capitale azionario. Ha salvato la ex Ilva, che dallo Stato era stata creata, acquisendo il 38% del capitale sociale e il 50% di diritti di voto, ridenominandola Acciaierie d’Italia. Resta azionista di riferimento dei due maggiori gruppi energetici del Paese, e controlla ciò che resta dell’industria ad alta tecnologia del Paese, ovvero la ex Finmeccanica. Non passa settimana senza che si richieda l’intervento dello Stato per salvare questa o quella impresa.
In altre parole, è già evidente come serva ricostituire l’IRI mettendo ordine nelle partecipazioni statali, e ricostituendo la gloriosa scuola di formazione manageriale dell’Istituto di via Veneto per avviare un piano di reindustrializzazione del Paese senza il quale l’Italia è attesa dalla povertà di massa. Quanto ai cosiddetti «partner» europei, ormai sono anche più avanti dell’Italia, nel ritorno all’economia mista. La Francia ha acquisito il totale controllo di EDF, mantiene il pieno controllo del settore automobilistico, e si avvia a numerose altre nazionalizzazioni.
In Germania, dove il governo ha nazionalizzato Uniper, principale distributore del gas nel Paese, il Fondo di stabilizzazione economica WSF (Wirtschaftsstabilisierungsfonds) è continuamente attivo. Spagna e Portogallo sono di fatto ritornati ai prezzi amministrati dell’energia, e sono i Paesi che, anche a causa del ridotto settore industriale, hanno registrato i tassi più bassi di inflazione.
E tutto questo, con le Borse nazionali ancora relativamente stabili. Possiamo immaginare facilmente cosa avverrà se i corsi azionari delle aziende quotate dovessero subire un tracollo che segua ad esempio quello dei titoli di Stato di tutti i maggiori Paesi.
Economia
Amazon vuole sostituire 600.000 lavoratori con i robot: verso la de-umanizzazione spaziale della produzione
Amazon starebbe implementando strategie di automazione per ridurre la necessità di assumere oltre mezzo milione di lavoratori negli Stati Uniti. Lo riporta il New York Times, che cita interviste e documenti interni, l’azienda punta a utilizzare robot per sostituire più di 600.000 posti di lavoro che dovrebbe altrimenti coprire entro il 2033, pur prevedendo di raddoppiare le vendite di prodotti nello stesso arco temporale.
I documenti rivelano che il team di robotica di Amazon sta lavorando per automatizzare il 75% delle operazioni aziendali, con l’obiettivo di eliminare 160.000 posti di lavoro negli Stati Uniti entro il 2027. Questo permetterebbe di risparmiare circa 30 centesimi per ogni articolo immagazzinato e consegnato, generando un risparmio complessivo di 12,6 miliardi di dollari per l’azienda tra il 2025 e il 2027 grazie all’automazione.
Amazon ha valutato misure per migliorare la propria immagine pubblica vista delle previste critiche legate alla perdita di posti di lavoro, considerando la partecipazione a progetti comunitari ed evitando termini come «automazione» e «IA». Sono stati invece presi in considerazione termini più vaghi come «tecnologia avanzata» e l’uso del termine «cobot» per i robot che collaborano con gli esseri umani.
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Amazon ha comunicato al NYT che ai suoi dirigenti non è stato chiesto di evitare determinati termini quando si parla di robotica e che il coinvolgimento nella comunità non è collegato ai piani di automazione dell’azienda.
«Nessun altro ha lo stesso incentivo di Amazon a trovare il modo di automatizzare. Una volta capito come farlo in modo redditizio, il concetto si estenderà anche ad altri», ha dichiarato al NYT Daron Acemoglu, vincitore del Premio Nobel per l’economia lo scorso anno.
Se Amazon raggiungesse il suo obiettivo di automazione, continua l’Acemoglu, «uno dei maggiori datori di lavoro degli Stati Uniti diventerebbe un distruttore netto di posti di lavoro, non un creatore netto di posti di lavoro».
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa era emerso che i robot stavano per superare in numero gli umani nei magazzini Amazon.
Un’ondata di migliaia di licenziamenti si era avuta tre anni fa, a qui erano seguite «purghe» di lavoratori di tutti i colossi come Google, Microsoft, Facebook.
Come riportato da Renovatio 21, un immane blackout dell’internet si è consumato pochi giorni fa quando i server di AWS (Amazon Web Service), sui cui poggiano miriadi di siti, applicazioni, sistemi sono andati in tilt.
Il padrone di Amazon, Jeff Bezos, ha rivelato in un’intervista a Torino durante un evento con il controverso erede FIAT Jaki Elkann la sua visione di spostare i server nello spazio – un’industria dove opera da decenni con la sua azienda Blue Origin.
Jeff Bezos called AI an “industrial bubble” at Italian Tech Week:
“Investors don’t usually give a team of six people a couple billion dollars with no product, and that’s happening today.”
He added that while bubbles fund both good and bad ideas, society benefits when the… pic.twitter.com/7QTSgT0gh3
— Wall St Engine (@wallstengine) October 3, 2025
Non parliamo tuttavia solo di meri impianti informatici. L’ipotesi di Renovatio 21 è che, oltre robotizzare la manifattura e la distribuzione, Bezos voglia pure de-terrestrizzarla, portandola nello spazio.
Il lavoro, la produzione divengono così de-umanizzati in maniera assoluta. Prospettive a cui i sindacati e gli Stati stessi non pensano in alcuno modo, di cui pure gli accadimenti dell’ora presente sono presagi netti.
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Immagine di Maryland GovPics via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Economia
Il governo olandese sequestra il produttore di chip cinese Nexperia, la Cina risponde con un divieto di esportazione
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Economia
Goldman Sachs avverte che si ripeterà quanto accaduto nel 2008
Goldman Sachs ha inviato una nota ai propri clienti, riprodotta da ZeroHedge, avvertendo di un «evento di coda del credito». Un evento di coda del credito è uno scenario di perdita di credito estrema causato da insolvenze diffuse o concentrate, declassamenti del rating creditizio o gravi dislocazioni di mercato negli spread creditizi.
Potrebbe trattarsi di un’improvvisa ondata di insolvenze aziendali, come nel 2008, di un fallimento di una controparte importante (come Lehman Brothers), di un default sovrano o di un congelamento della liquidità.
Tutti questi casi si sono già verificati negli ultimi trent’anni. I recenti comportamenti e gli avvertimenti delle banche centrali suggeriscono che uno dei primi due casi si sia già verificato.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Goldman Sachs aveva aumentato le probabilità di una recessione negli Stati Uniti portandole al 45%, avvertendo che i nuovi dazi del presidente Donald Trump stanno inasprendo le condizioni finanziarie e pesando sugli investimenti.
La banca, che elogia le potenzialità dell’IA nella sostituzione dei lavoratori, due anni fa era stata accusata di utilizzare danaro del governo cinese per acquistare aziende occidentali.
Immagine di VladLazarenko via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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