Bioetica
Vaccino Coronavirus fatto con cellule di aborto

Renovatio 21 riprende questo comunicato di Children of God for Life (COG), gruppo che da sempre si oppone all’uso di cellule di feto abortito nei vaccini e nella ricerca medica (e pure commerciale). Il direttore esecutivo di COG, Debi Vinnedge, è stata con noi al convegno di Roma «Fede, Scienza, Coscienza» di marzo 2019 sull’uso di cellule di feto abortito. Qui un resoconto con link ai video, tra cui quello della presentazione della signora Vinnedge.
Nota bene: Renovatio 21 non condivide le posizioni entusiastiche sull’uso di cellule animali (insetto, uovo, lombrico, etc.) perché nutriamo dubbi sulla tecnologia vaccinale in toto, e perché gli effetti dell’inoculazione diretta di tali cellule con il materiale genetico potrebbero ad oggi non essere del tutto conosciuti.
(Clearwater, Florida) Alla luce della pandemia di Covid-19, le aziende farmaceutiche stanno correndo per fornire un vaccino che prevenga un’ulteriore diffusione della malattia.
Moderna, la società che è stata recentemente nominata nei titoli dei giornali per il suo sviluppo del vaccino mRNA-1273 atto a combattere il virus, utilizza cellule fetali abortite
Sfortunatamente, Moderna, la società che è stata recentemente nominata nei titoli dei giornali per il suo sviluppo del vaccino mRNA-1273 atto a combattere il virus, utilizza cellule fetali abortite.
Debi Vinnedge, direttore esecutivo di Children of God for Life, un’organizzazione prolife la cui missione è porre fine all’uso di materiale fetale abortito in vaccini e medicinali, ha affermato che i suoi sospetti sono stati sollevati dopo aver verificato i brevetti di Moderna e, in particolare, l’uso di proteine Spike.
L’idea alla base dell’utilizzo di questa proteina Spike in un vaccino con RNA messaggero (mRNA) è di insegnare al sistema immunitario del paziente a produrre i propri anticorpi proteici per bloccare e distruggere il virus in modo che la persona non venga infettata.
Sfortunatamente, Vinnedge ha detto che il suo cuore si è infranto quando ha scoperto che la proteina Spike era prodotta usando cellule fetali abortite HEK 293.
La proteina Spike utilizzata per il vaccino è stata prodotta usando cellule fetali abortite HEK 293
«È stato dettagliato in diverse pubblicazioni scientifiche – ha affermato – e alla luce della paura e del panico del pubblico, non volevo essere portatrice di cattive notizie».
Vinnedge ha affermato che il pesante fardello di rivelare che la conoscenza l’ha portata a scavare ulteriormente nella ricerca di altre farmaceutiche. È stato allora che scoperto che un’altra nota azienda farmaceutica aveva una soluzione migliore.
Ecco quindi la Sanofi Pasteur, che utilizza la propria piattaforma di DNA ricombinante per produrre un vaccino Covid-19.
Un recente articolo sul Washington Post che cerca di affermare che il divieto del presidente Trump sull’uso del tessuto fetale abortito sta bloccando importanti ricerche e trattamenti per il virus Covid-19. «Quell’accusa è ridicola nella migliore delle ipotesi e nient’altro che una manovra politica»
Secondo i rapporti del Dipartimento delle Autorità di Ricerca e Sviluppo Avanzato Biomedico HHS (BARDA), Sanofi sta usando il DNA della piattaforma di espressione del baculovirus, che viene anche utilizzato nel suo vaccino quadrivalente brevettato Flublok.
Come nella maggior parte dei vaccini contro l’influenza stagionale, la necessità di produrre rapidamente grandi quantità di vaccino è stata un problema per molti anni poiché le aziende farmaceutiche hanno utilizzato uova di gallina per coltivare i loro virus. Ci vogliono diversi mesi e milioni di uova necessarie per produrre i vaccini e così molte aziende hanno iniziato a rivolgersi ad altre linee cellulari per una produzione più rapida.
Una di queste società era la Protein Sciences, la cui piattaforma del DNA ricombinante si basa su cellule di insetti. La loro linea cellulare Sf9 proviene dal lombrico autunnale ed è altamente efficace come mezzo di rapida crescita. È stato usato per diversi anni nella produzione di vaccini antinfluenzali.
Nel 2017, Sanofi Pasteur ha acquistato Protein Sciences e utilizza questa stessa piattaforma per il loro vaccino Covid-19 di recente sviluppo, che consentirà loro la flessibilità necessaria per effettuare rapidamente milioni di dosi di vaccino.
«Questa è una grande notizia per milioni di persone in tutto il mondo che si preoccupano dell’uso di materiale fetale abortito in trattamenti o vaccini salvavita – ha dichiarato Vinnedge – Esiste una moltitudine di opzioni morali più sicure e francamente che utilizzano una tecnologia più moderna».
«È deplorevole che qualcuno voglia sfruttare i resti di bambini abortiti a scopo di lucro, in particolare quando così tante persone si rifiuteranno di usare quei prodotti a causa delle loro convinzioni religiose, morali e favorevoli alla vita?»
Vinnedge ha affermato di essere particolarmente seccata nel vedere un recente articolo sul Washington Post che cerca di affermare che il divieto del presidente Trump sull’uso del tessuto fetale abortito sta bloccando importanti ricerche e trattamenti per il virus Covid-19.
«Quell’accusa è ridicola nella migliore delle ipotesi e nient’altro che una manovra politica», ha dichiarato Vinnedge. «In effetti, abbiamo prodotto trattamenti morali per i pazienti che sono già infetti, in particolare l’idrossiclorochina o il plaquenil. E ci sono trattamenti più promettenti sulla strada per prevenire completamente l’infezione. Il presidente Trump ha fatto un ottimo lavoro nel promuovere la ricerca moralmente responsabile garantendo a tutti gli americani la protezione di cui hanno bisogno».
«È deplorevole che qualcuno voglia sfruttare i resti di bambini abortiti a scopo di lucro, in particolare quando così tante persone si rifiuteranno di usare quei prodotti a causa delle loro convinzioni religiose, morali e favorevoli alla vita?» ha aggiunto. «Apprezziamo gli sforzi di aziende come Sanofi Pasteur che offrono opzioni moralmente accettabili».
Renovatio 21 offre la traduzione di questo comunicato per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
https://youtu.be/gFcioMcP4Ko?t=699
Bioetica
Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età

Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.
Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.
Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.
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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.
Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.
Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.
Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».
«Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».
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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.
Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.
Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata
Bioetica
L’amministrazione Trump condanna la «persecuzione della preghiera silenziosa» fuori dagli abortifici britannici

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Bioetica
L’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z. E molto, molto di più

Statistiche ampiamente condivise in rete questa settimana riportano che circa il 28% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) negli USA è stata abortita nel grembo materno. Lo scrive LifeSite.
Secondo le stime del Guttmacher Institute (il braccio di ricerca e sviluppo del grande abortificio multinazionale Planned Parenthood) sul numero di aborti eseguiti ogni anno negli Stati Uniti dal 1997 al 2011, gli anni di nascita della Generazione Z, circa 19,5 milioni di esseri umani concepiti in quella generazione, sono stati soppressi attraverso l’aborto. Attualmente si stima che negli Stati Uniti ci siano 69,3 milioni di membri della Generazione Z.
I dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che il tasso di aborti tra i bambini della Generazione Z negli Stati Uniti corrisponde quasi alla percentuale stimata di bambini non ancora nati uccisi dall’aborto in tutto il mondo: il 29%, ovvero tre gravidanze su 10.
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Le statistiche di Inghilterra e Galles mostrano tassi di aborto molto simili. «la percentuale di concepimenti che hanno portato all’aborto è stata del 29,7%; si tratta di un aumento rispetto al 26,5% del 2021 e della percentuale più alta mai registrata», ha rilevato un rapporto dell’Office of National Statistics (ONS) basato sui dati del 2022.
Ricordiamo anche che queste statistiche risultano calcolabili pure per realtà apparentemente distanti come il Giappone, con dati nel periodo post-bellico che indicavano l’aborto di circa un terzo dei concepiti, con casi allucinanti di infanticidi – che oggi la Finestra di Overton vuole che chiamiamo «aborti post-natali» – come quello di Miyuki Ishikawa, detta «Oni-sanba», ostetrica che avrebbe ucciso almeno 86 bambini (qualcuno parla di una cifra doppia) affidatile negli anni dell’immediato dopoguerra.
Non si tratta di numeri sconosciuti anche all’Italia, dove per anni le nascite sono state attorno alla cifra di 500 mila, con le interruzioni di gravidanza sopra i 100.000, con un calo sensibile nell’ultimo decennio, in linea tuttavia con il calo delle nascite, specie dopo la pandemia.
Anche in Italia, dunque, abbiamo avuto una percentuale di generazioni spazzate via sopra il 20%, in pratica una piccola guerra condotta contro il Paese stesso, ma legalizzata e pagata dal contribuente – o una serie di bombe atomiche, i cui effetti si misurano in megadeath («megamorte», un milione di individui sterminati).
Come scritto anni fa da Renovatio 21, negli anni l’Italia dell’aborto ha subito una devastazione umana molto superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, con almeno 6-7 megadeath di danno alla popolazione. E parliamo solo delle cifre ufficiali, che non includono gli embrioni distrutti dalle provette, che sono già in numero maggiore di quelli trucidati dall’interruzione volontaria di gravidanza.
Se non volete pensarlo in percentuale, pensatelo così: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.
Come avevamo scritto oramai più di 10 anni fa: «Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa».
Le cifre divenute virali questa settimana non includono mai – perché è un calcolo che i pro-life, specie italiani, non hanno l’intelligenza di fare – quello che qualcuno chiama il ghost number. Proviamo a pensare le cifre americane: e 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società.
Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.
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Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.
L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare.
Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.
L’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la sociologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.
No, non è solo un terzo della Generazione Z ad essere stato cancellato dall’aborto. È molto, molto di più.
Roberto Dal Bosco
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