Vaccini
Vaccino contro l’aviaria, l’UE prenota 40 milioni
La HERA (Health Emergency Preparedness and Response), il braccio operativo della Commissione Europea, ha siglato un accordo con l’azienda farmaceutica britannica Seqirus per la fornitura di 665.000 dosi di vaccino per uso umano contro l’influenza aviaria.
Secondo un comunicato della Commissione, questi vaccini sono destinati principalmente alle persone maggiormente a rischio di trasmissione, come coloro che lavorano negli allevamenti avicoli e i veterinari.
Il contratto ha una durata di quattro anni e include la possibilità di fornire ulteriori 40 milioni di dosi. «Quando si tratta di influenza aviaria» ha dichiarato all’agenzia Reuters il commissario UE per la Sanità Stella Kyriakides, «monitoriamo attivamente e continuamente la situazione. E domani con i nostri Stati membri, assicureremo l’accesso a 40 milioni di dosi di vaccino per l’influenza aviaria per proteggere i più esposti. Le consegne ai Paesi che hanno necessità immediate sono già in corso».
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Secondo quanto riportato dalla stampa nelle ultime ore, l’accordo – che sarebbe stato firmato da Danimarca, Lettonia, Francia, Cipro, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Slovenia, Grecia e Irlanda, più due Paesi extra Ue ma parte del cosiddetto Spazio Economico Europep (SEE) Islanda e Norvegia – non avrebbe ricevuto l’adesione dell’Italia.
Secondo il quotidiano milanese La Verità, il ministero della Sanità italiano «ha deciso che stavolta interloquirà con le compagnie farmaceutiche per conto proprio».
«Al ministero si saranno ricordati di quelle clausole che costringevano le nazioni a comprare vaccini a mRNA fino al 2026, codicilli dai quali fu maledettamente difficile svincolarsi e contro i quali si scagliò Schillaci, poco dopo essersi insediato al dicastero di lungotevere Ripa».
La posizione dell’Italia avrebbe provocato la reazione dell’ex direttore della Prevenzione al ministero della Salute Gianni Rezza, che avrebbe dichiarato all’ANSA che la mancata partecipazione dell’Italia sarebbe «poco lungimirante», riporta il sito Sanita33. «Non so perché l’Italia non rientri tra i 15 paesi prosegue Rezza ma qualora ci fosse ancora la possibilità, converrebbe che il nostro Paese partecipasse, sarebbe il tempo di farlo. Anche se magari con un numero limitato di dosi, conviene sempre assicurarsi un certo numero di vaccini»
«Anche se al momento non c’è una situazione di allarme, c’è tuttavia una condizione di allerta» prosegue il Rezza. «Inoltre, se ci sono dei lavoratori che sono esposti professionalmente al rischio aviaria, come allevatori e veterinari, perché non fare loro la vaccinazione se c’è la possibilità di avere delle dosi?».
«l’Italia, già un paio di anni fa, ha opzionato il vaccino prepandemico di GSK contro il virus H5n1 dell’influenza aviaria. Si tratta di un vaccino prepandemico che potrebbe essere utilizzato qualora si verificasse un’epidemia, magari cambiandone leggermente la composizione sulla base del ceppo che dovesse risultare emergente. Questo è quindi un vaccino pandemico vero e proprio. L’opzione effettuata implica che, qualora si dovesse verificare un’epidemia, l’Italia ha già pagato anticipatamente per avere dopo la disponibilità del vaccino, quando necessario».
Il vaccino di Seqirus è contro H5n1, tuttavia, conclude il Rezza, «è stato autorizzato per poter essere utilizzato già da ora per le categorie a rischio di esposizione».
Stupisce come la Commissione Von Der Leyen, a mandato praticamente scaduto con le elezioni europee celebrate due giorni fa, continui il suo percorso reiterando procedure già viste in passato, pure con cospicue controversie.
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Come riportato da Renovatio 21 la Procura Europea due mesi fa ha indicato di star indagando sulla Von der Leyen e gli accordi sui vaccini Pfizer.
L’indagine riguarda l’acquisto di quasi due miliardi di dosi di vaccino Pfizer COVID-19 per l’UE al culmine della pandemia di coronavirus. L’accusa sostiene che il capo della UE abbia negoziato l’accordo multimiliardario con l’amministratore delegato del colosso farmaceutico, Albert Bourla, in privato tramite messaggi di testo prima che gli studi clinici sul vaccino fossero completati.
La Von der Leyen si è rifiutata di rivelare il contenuto di quei messaggi, sostenendo di non riuscire a trovarli.
La Von der Leyen, quando era ministro della Difesa tedesco, era incappata in accuse dopo aver «ripulito» il suo cellulare che doveva divenire prova importante all’interno di uno scandalo di appalti militari. La medesima situazione pare esser capitata con i messaggini che si sarebbe scambiata con Albert Bourla, CEO di Pfizer, spariti nel nulla proprio quando le si chiede conto dei contratti per l’iniezione massiva di mRNA nei corpi di centinaia di milioni di europei. (Bourla ha riconosciuto la preparazione del presidente della Commissione sui sieri genici, ma non ha poi avuto il coraggio di presentarsi davanti ai deputati europei, mandando una sua sottoposta a fare l’ammissione sulla mancanza di test di trasmissibilità del COVID dopo il vaccino Pfizer).
L’Ursula è inoltre incappata in ulteriore scandalo famigliare basato riguardo proprio l’mRNA, quando è emerso un conflitto di interessi con il marito, che lavora presso un’azienda di terapia genica, partecipante ad una cordata di aziende-università che dovrebbe intercettare fondi europei.
Il quadro del COVID sembra ripetersi, anche per un’altra notizia che rimbalza da Oltreoceano. L’OMS aveva dato notizia del primo morto per aviaria, in Messico, ma le autorità locali hanno negato risolutamente, dicendo che l’individuo deceduto aveva altre condizioni mediche concorrenti ed era semplicemente risultato positivo all’aviaria: il lettore vede bene che ci troviamo, ancora una volta, dinanzi alla farsa della comorbilità che segnò il biennio pandemico.
Come riportato da Renovatio 21, vi sarebbe anche un’altra possibile analogia con il SARS-nCoV-2: secondo uno studio preprint anche il virus dell’aviaria potrebbe essere stato originato in laboratorio.
Oggi come allora, le principali istituzioni sanitarie (OMS, FDA) sembrano spingere l’acceleratore sulla paura, parlando di un’influenza «10 volte peggiore» del COVID.
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Immagine di European People’s Party via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Intelligence
Il Congresso USA potrebbe costringere le agenzie di spionaggio a declassificare le prove sulle origini del COVID
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Arrivare a vedere le prove
A sei anni dai primi casi di Wuhan, le origini del COVID-19 restano incerte. Sebbene all’inizio di quest’anno l’amministrazione Trump abbia creato una pagina web accattivante sul sito della Casa Bianca intitolata Lab Leak: The True Origins of COVID-19, non ha pubblicato alcuna nuova prova sostanziale che dimostri che il virus sia emerso da un laboratorio e la posizione ufficiale della comunità dell’Intelligence rimane quella secondo cui l’origine del COVID-19 è incerta e controversa. Alcune agenzie propendono ancora per una ricaduta naturale, altre per un incidente di laboratorio, e molte si collocano a metà strada, esprimendo scarsa fiducia nelle proprie valutazioni. Ma la questione non è più solo quale ipotesi vincerà. È se il pubblico avrà mai accesso alle prove e ai dibattiti che hanno plasmato quei giudizi interni. Tali informazioni potrebbero essere utili per elaborare nuove politiche in grado di prevenire la prossima pandemia, affermano alcuni esperti. Delle oltre 200 richieste di accesso ai documenti pubblici presentate negli ultimi sei anni dall’organizzazione statunitense US Right to Know su questo argomento, decine sono ancora aperte presso le agenzie di intelligence statunitensi. Diverse richieste hanno dato luogo a cause legali contro l’FBI, la CIA, la DIA, l’ODNI e il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. Anche quando i giudici ordinano a queste agenzie di consegnare i documenti, molti di questi arrivano sepolti sotto censura. Fino alla scorsa settimana, sette mesi dopo aver richiesto alla DIA la «valutazione più recente» sulle origini del COVID-19, l’agenzia ha prodotto solo 12 pagine. Inizialmente aveva affermato che non esistevano tali documenti. Solo dopo una causa legale ha restituito quelle 12 pagine, 11 delle quali sono così pesantemente censurate che non si riesce quasi a leggere nulla di sostanziale. Lewis Kamb Pubblicato originariamente da US Right to Know. Lewis Kamb è un giornalista investigativo specializzato nell’uso delle leggi sulla libertà di informazione e dei registri pubblici per scoprire illeciti e chiamare i potenti a risponderne.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Vaccini
Il comitato consultivo del CDC vota per porre fine alla raccomandazione di vaccinare i neonati contro l’epatite B
Il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (ACIP) ha deliberato per revocare la raccomandazione storica che imponeva la vaccinazione contro l’epatite B a tutti i neonati subito dopo la nascita. Questa decisione rappresenta un trionfo significativo per la campagna «Make America Healthy Again» promossa dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., mirata a una revisione del calendario vaccinale pediatrico, in un’epoca di crescenti interrogativi sull’impennata dei casi di autismo tra i bambini.
Con 8 voti a favore e 3 contrari, l’ACIP ha indicato che le madri risultate negative al test per l’epatite B possano concordare con il proprio pediatra «quando o se» somministrare il vaccino ai loro neonati. Le direttive per i piccoli nati da madri positive o con status ignoto al virus restano immutate.
Si prevedono ulteriori revisioni alla politica vaccinale nei mesi a venire, mentre il panel valuta l’intero protocollo di immunizzazioni infantili. Diversi oratori intervenuti all’assemblea, e almeno parte degli esperti consultati, sono noti per le loro riserve sul tema dei vaccini.
Kennedy si definisce «pro-sicurezza», non «anti-vaccini», ma i media mainstream – pesantemente influenzati dai contributi pubblicitari delle multinazionali farmaceutiche – hanno ritratto il titolare dell’HHS come un «anti-vaccinista». Tale immagine è lontana dalla realtà, come ha ribadito di recente lo stesso Kennedy: «Credo che i vaccini abbiano salvato milioni di vite e svolgano un ruolo fondamentale nell’assistenza sanitaria».
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Il Ssegretario sta esaminando un potenziale nesso tra il vaccino e l’aumento dei disturbi autistici, evidenziando come il piano vaccinale per l’infanzia sia passato da poche somministrazioni a un ventaglio di decine di dosi.
Il vaccino contro l’epatite B ha provocato danni così estesi nella popolazione americana che nel 1999 ABC News gli dedicò un’inchiesta e il Congresso indisse un’audizione. Eppure, gli specialisti allineati alla narrazione ufficiale hanno negato l’esistenza di legami provati. È sufficiente rammentare che le contestazioni più accese alla riforma vaccinale di RFK Jr. proverranno dai media corporate e dai parlamentari, che dipendono in misura preponderante dai finanziamenti dell’industria farmaceutica.
L’Italia è stata il primo Paese europeo a rendere obbligatoria la vaccinazione per i nuovi nati e per gli adolescenti di 12 anni con la legge 27 maggio 1991, n. 165, entrata in vigore dal 1992.
I giornali riportano che la decisione fu presa dal ministero dove direttore generale e ministro della Sanità stesso ricevettero una tangente di 600 milioni di lire da GlaxoSmihKline, produttrice del vaccino Engerix B contro l’epatite B per i neonati.
In Italia l’obbligo è rimasto per i nati dal 1992 in poi (coorti 1981-2000 anche per la dose adolescenti) fino al 2017, quando la legge Lorenzin (119/2017) lo ha confermato estendendolo a 10 vaccinazioni. Oggi resta obbligatorio 0-15 anni.
Va ricordato che l’epatite B si trasmette per via sessuale o scambio di siringhe tra tossicodipendenti: perché, quindi, vaccinare un neonato per tale morbo?
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Vaccini
Uno studio minimizza il rischio di miocardite nei bambini a causa del vaccino COVID
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Il riassunto dell’articolo ometteva prove del rischio del vaccino
Il disegno dello studio è profondamente compromesso perché i 22 autori hanno costruito un modello complicato per evitare di effettuare un confronto diretto (solo vaccino contro solo malattia). E anche dopo aver falsificato i conti, anche dopo aver preso i dati di quasi 14 milioni di bambini e adolescenti sotto i 18 anni in Inghilterra, hanno ottenuto un risultato che è appena statisticamente significativo, con barre di errore sovrapposte per il rischio da COVID-19 e il rischio da vaccinazione. La situazione peggiora. I risultati, che favorivano marginalmente la vaccinazione, furono annunciati in un riassunto in cima al documento e annunciati alla stampa. Ma nascosta nell’appendice, pubblicata separatamente online, c’è una tabella che mostra una versione più pertinente del confronto. La versione riportata nel riassunto si riferisce a un periodo iniziale in cui il vaccino non era disponibile. L’appendice mostra dati comparabili per il periodo in cui il vaccino era disponibile, limitatamente alle fasce d’età per le quali il vaccino era offerto. Nell’appendice, il rischio di miocardite dovuto alla malattia è la metà di quello associato al vaccino. Ciò contraddice palesemente il riassunto e i titoli dell’articolo – e questa era una risposta alla versione ingannevole della domanda, non a quella più diretta a cui i ricercatori hanno scelto di non rispondere.Sostieni Renovatio 21
Gli autori dello studio hanno posto la domanda sbagliata
La domanda più pertinente è semplice: i bambini vaccinati hanno avuto un’incidenza di miocardite più alta rispetto ai bambini non vaccinati? È una domanda a cui è facile rispondere, dati i dati a cui questi autori (ma non il pubblico) avevano accesso. In pochi minuti, avrebbero potuto calcolare il tasso di miocardite tra i bambini vaccinati e non vaccinati. Tuttavia, se hanno fatto il calcolo, non ne hanno riportato i risultati. Immagino che abbiano fatto il calcolo, ma non gli sia piaciuto quello che hanno visto, quindi non l’abbiano incluso nell’articolo pubblicato. Come ho affermato sopra, credo che gli autori dello studio abbiano «posto la domanda sbagliata». Ciò che intendo dire è che l’articolo confronta il rischio di miocardite da COVID con il rischio derivante dalla vaccinazione. Ma questa non è la domanda più rilevante. Perché? Poiché molte persone si sono vaccinate e poi hanno comunque contratto il COVID, sono state inutilmente esposte a entrambi i rischi. Al contrario, molti bambini che non hanno ricevuto il vaccino non hanno contratto il COVID. Oppure, la loro forma è così lieve che non se ne accorgono nemmeno. Questi bambini hanno evitato entrambi i rischi. Ecco perché confrontare il rischio di miocardite da COVID con il rischio derivante dal vaccino COVID non è la questione pertinente. Non è una questione di «o l’uno o l’altro».Iscriviti al canale Telegram ![]()
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- Gli autori hanno posto una domanda complicata quando una semplice era più pertinente.
- Data questa domanda errata, non hanno effettuato l’analisi più diretta per rispondere.
- Ciononostante, hanno scoperto che il vaccino presentava un rischio di miocardite quasi doppio rispetto alla malattia. Questo risultato era riportato solo nella Tabella S16 dell’Appendice Supplementare, ma non era menzionato da nessuna parte nel corpo dell’articolo, né tantomeno nel riassunto in cima.
- E nonostante ciò hanno fatto annunci importanti al pubblico, sostenendo che il loro studio conferma che i bambini stanno meglio con il vaccino che senza.
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