Economia
Un’altra banca americana collassa

La First Republic Bank è stata rilevata dalle autorità di regolamentazione e sarà venduta a JPMorgan Chase, ha annunciato lunedì il Dipartimento per la protezione finanziaria e l’innovazione della California (DFPI).
All’inizio di questa settimana, la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), uno dei principali regolatori federali delle istituzioni finanziarie statunitensi, ha chiesto a un certo numero di banche di presentare offerte per il prestatore in difficoltà nel tentativo di assicurarsi un acquirente prima che entrasse in amministrazione controllata. Per domenica è stato fissato il termine per le offerte.
JPMorgan, la più grande banca d’America, «si assumerà tutti i depositi, compresi tutti i depositi non assicurati, e sostanzialmente tutti i beni» di First Republic, secondo una dichiarazione rilasciata dall’autorità di regolamentazione californiana.
Il DFPI ha nominato la Federal Deposit Insurance Corporation come curatore fallimentare della banca con sede a San Francisco, le cui attività totali ammontavano a quasi 229,1 miliardi dollari al 13 aprile 2023, mentre i suoi depositi totali ammontavano a circa 103,9 miliardi.
«I depositi sono assicurati a livello federale dalla FDIC soggetti ai limiti applicabili», si legge nella dichiarazione. In USA i depositi bancari sono normalmente assicurati per legge sino a 250 mila dollari. In Italia, invece, 100 mila euro.
La scorsa settimana, una massiccia svendita ha spazzato via il 75% del valore azionario della banca, in seguito alla rivelazione della perdita di più di 100 miliardi di depositi nel primo trimestre dell’anno in corso. L’istituto di credito con sede a San Francisco ha faticato a rimanere a galla da quando il settore bancario statunitense è stato colpito da una grave crisi.
Il sequestro e l’imminente vendita della First Republic Bank ne fanno il terzo prestatore statunitense a fallire dopo i fallimenti della Silicon Valley Bank e della Signature Bank a marzo. Entrambi sono stati chiusi dalle autorità di regolamentazione a seguito di massicce corse agli sportelli.
A marzo, le principali istituzioni finanziarie statunitensi hanno concordato un’iniezione di 30 miliardi di dollari per il travagliato prestatore regionale. Le azioni di First Republic sono scese del 97% quest’anno.
La fine repentina Silicon Valley Bank ha messo in ginocchio l’intero ecosistema delle startup tecnologiche dell’area attorno a San Francisco, e anche i vari colossi che avevano nella banca, considerata fino ad allora sicura, la loro liquidità. Giornali israeliani hanno rivelato che anche startup dello Stato ebraico sono state colpite, ma alcuni sono riusciti a trasferire anzitempo almeno 1 miliardo di dollari.
Come riportato da Renovatio 21, la banca inglese HSBC ha comprato per una sterlina il ramo britannico della Silicon Valley Bank e ha assunto almeno 40 banchieri di investimento provenienti dal banco andato all’aria.
Come noto, il crollo delle banche americane di febbraio hanno ingenerato un domino nel sistema del credito globale, con la Germania in difficoltà per Deutsche Bank (considerata, ad un certo punto, prossima al crollo) e la Svizzera spinta a fondere su imperativo del governo le due maggiori banche del Paese.
Come riportato da Renovatio 21, vi è l’idea che questo domino bancario alla fine distruggerà l’idea stessa di istituto di deposito: le banche potrebbe essere disrupted, disintermediate, dall’arrivo della moneta digitale che tutti gli Stati, e organizzazioni transnazionali, si apprestano a lanciare.
Immagine di Tdorante10 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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