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Geopolitica

Ucraina e media occidentali, come ti sciacquo il nazi

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Durante l’ultima settimana di marzo, diversi importanti media occidentali hanno pubblicato articoli sul Battaglione Azov dell’Ucraina, cercando di nascondere quasi un decennio di articoli  precedenti che identificavano chiaramente le simpatie e l’etica nazista del gruppo ora divenuto reggimento inserito nelle Forze Armate Ucraine.

 

Si è trattato di sforzo sincrono,  con pezzi usciti in USA, Germania, Regno Unito  e ovviamente in Italia, dove si era già impegnati da settimane a cantare le gesta dei portatori della svastica, la cui ideologia neonazista è stata apertamente, pateticamente negata dai grandi nomi della TV, mentre sparivano misteriosamente alcuni articoli del 2014 sulla componente nazista di Maidan.

 

Tale sforzo era concertato per trasformare Azov in eroico difensori dell’Ucraina (raffinato pure: i pennivendoli ci hanno raccontato che leggono Kant!) contro i presunti «veri» fascisti, che sarebbero ovviamente i russi, con Putin nel ruolo del nuovo Hitler.

 

Il 27 marzo è stato messo in circolazione un video di dieci minuti, dall’emittente statale britannica BBC in cui il presentatore Ros Atkins ha cercato di sfatare le  «falsità» russe  sui nazisti in Ucraina. L’argomento è il solito: come può l’Ucraina essere  «tenuta in ostaggio»  dai nazisti quando il suo presidente, Volodymyr Zelensky, è ebreo, sostiene Atkins, indicando il suo 73% dei voti, alle ultime elezioni, e dichiarando trionfante che  «nessun gruppo di estrema destra ha alcun potere politico formale in Ucraina».

 

Ovviamente, la BBC ignora – o meglio, finge di ignorare – il tema del «giudeobanderismo», ossia la collusione delle forze neonaziste con l’oligarcato ucraino, come nel caso di Igor Kolojskij, già governatore dell’oblast’ di Dnipro e oligarca di religione ebraica chegiudeobanderismo di estrema destra, oltre che la carriera televisiva e poi politica di Zelens’kyj, la cui serie Servo del popolo, bovinamente ora riproposta alla massima vaccina italiota dalla TV di Cairo, andò in onda proprio sul canale di Kolomjskij 1+1.

 

Tuttavia, ci colpisce, nel discorso della BBC, l’espressione «potere formale», che assomiglia tanto ad una excusatio non petita.

 

Come nota RT, una volta che a sciacquare i nazi è partita la BBC, il resto è seguito.

 

Due giorni dopo, il 29 marzo, il  Financial Times ha pubblicato un articolo che descriveva Azov come  «la chiave dello sforzo di resistenza nazionale» , pur riconoscendo che Azov è stato creato nel 2014  «da volontari con tendenze politiche nazionaliste e spesso di estrema destra»,  il FT si scrollava di dosso i suoi legami nazisti.

 

Quindi, i simboli nazisti usati dall’unità venivano descritti come «ora rivendicati come simboli pagani da alcuni membri del battaglione». Come riportato da Renovatio 21, Azov contiene molti entusiastici cultori del neopaganesimo paleoslavo, detto anche rodnoverismo, al punto che il battaglione aveva eretto a Mariupol’ un tempio del dio del tuono slavo Perun.

 

Nel paganesimo rodnoverico abbondano forme piuttosto simili alle svastiche, chiamate kolovrat.

 

Tuttavia, negare che Azov non faccia uso di simboli letteralmente appartenuti al nazismo è una menzogna evidente.

 

Il simbolo del «Sole Nero» (noto anche come Sonnenrad) risale a un mosaico commissionato negli anni ’30 dal capo delle SS Heinrich Himmler, mentre la runa Wolfsangel sovrapposta – vista nella storia della Germania, mica in Ucraina – è stata utilizzata da diversi reggimenti della Wehrmacht e delle SS , così come dai nazisti olandesi, durante la seconda guerra mondiale.

 

Il Financial Times va oltre. Il giornale economico arriva a dire che Stepan Bandera – il famigerato nazionalista ucraino che cercò di collaborare con la Germania nazista (con alterna fortuna) e che supervisionò l’omicidio di massa di polacchi e russi –  era «un leader nazionalista che si è opposto agli sforzi nazisti e sovietici per impedire l’indipendenza dell’Ucraina».

 

Il 29 marzo entra in campo la CNN: Azov ha una «storia di tendenze neonaziste, che non sono state del tutto estinte dalla sua integrazione nell’esercito ucraino», ma è «una forza combattente efficace». L’ala politica di Azov ha ottenuto appena il 2,15% dei voti nel 2019. E ricordiamoci sempre, mi raccomando, che Zelens’kyj è ebreo, e mai difenderebbe quindi uomini con simboli nazisti.

 

RT nota che la CNN menzionano il fondatore dell’Azov Andryj Biletsky, il quale un tempo avrebbe affermato di voler «guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale». L’emittente russa nota tuttavia che la CNN ha tralasciato la parte che dice che tale crociata sarebbe  «contro gli Untermenschen guidati dai semiti».

 

Poi la CNN cita l’Azov che nega che l’abbia mai detto, e comunque «non hanno nulla a che fare con le sue attività politiche e il partito dei Cropi Nazionale»,  anche se la stessa CNN lo descrive come  «l’ala politica» di Azov.

 

La CNN si perita quindi di far saltar fuori una citazione del 2019 di Arsen Avakov (ministro della polizia nel governo post-Maidan) in cui afferma che le accuse di nazisteria sono «un tentativo deliberato di screditare» lo Azov e l’esercito ucraino tutto. Si tratta di quello stesso Avakov che il rabbino capo dell’Ucraina, Yaakov Bleich,  ha criticato nel novembre 2014, dicendo «continuava «a nominare persone di dubbia reputazione e ideologie contaminate dal fascismo e dall’estremismo di destra».

 

Una menzione la merita il giornale londinese Telegraph, che canta le gesta degli azoviti con prosa febbrile:

 

«Mentre la maggior parte delle forze armate ucraine è stata silenziosamente impegnata nella routine di un estenuante tiro alla fune con la Russia, un battaglione è stato impegnato a pubblicare video e immagini accattivanti che strombazzavano i propri successi. In una fotografia pubblicata questa settimana, un uomo corpulento in uniforme blu scuro giace privo di sensi sul terreno innevato, il fianco destro incrostato di sangue: “Azov ha eliminato un generale maggiore! E della tua spada vivrai!” si legge nella didascalia»

 

Il Telegraph denuncia «l’obiettivo di lunga data dei tentativi di propaganda del Cremlino di diffamare tutti gli ucraini come neonazisti» elogiando «la ben oliata macchina di pubbliche relazioni ben oliata che ha prodotto i video di guerra probabilmente della migliore qualità dell’Ucraina con i droni delle telecamere che catturano perfettamente gli attacchi mentre accadono in tempo reale. Le forze armate ucraine hanno felicemente utilizzato i video di Azov come prova visiva dei contrattacchi del Paese contro l’esercito invasore».

 

Nel pezzo, il fondatore di Azov Andriy Biletsky è descritto come «una figura politica ultranazionalista che aveva avuto problemi con la legge ed è stata coinvolta in vari gruppi che giocavano con i simboli nazisti». Viene quindi mostrata l’immagine di una svastica sul muro di un ufficio Azov a Mariupol, che ammettono sia occupato dai nazisti.

 

Si aggiunge, dulcis in fundo, che «i combattenti Azov nell’est si sono felicemente rimboccati le maniche per mostrare i tatuaggi nazisti ai corrispondenti stranieri».

 

E via: nazishaqquati al volo nonostante i tattoo indelebili.

 

C’è poi il caso Times di Londra  che il 30 marzo manda in stampa un articolo che si apre con l’emozionante descrizione del funerale di un soldato Azov ucciso nei combattimenti fuori Kiev.

 

«Anche loro respingono l'[accusa di far uso di] iconografia nazista come forse radicata nella “fede pagana originale” dell’Ucraina  ,  sebbene ammettano  «il marchio di fabbrica di Azov. il Wolfsangel, era usato anche dalla Germania nazista».

 

«Siamo patrioti ma non nazisti»,  è il virgolettato messo in bocca ad un miliziano. Il Times cita infine un comandante Azov a Mariupol’, che accusa i russi di essere «i veri nazisti del 21° secolo». Una grande fantasia, un concetto non ripetuto da nessun altra parte.

 

Il lavaggio degli ucronazisti contrasta assai con la copertura che di Azov davano le testate occidentali prima del 2022. Nel gennaio 2021, la rivista Time li definiva una milizia che aveva «addestrato e ispirato suprematisti bianchi di tutto il mondo».

 

«Azov è molto più di una milizia. Ha il suo partito politico; due case editrici; campi estivi per bambini; e una forza di vigilanza nota come Milizia Nazionale, che pattuglia le strade delle città ucraine insieme alla polizia»,  ​​afferma l’articolo del Time magazine, rilevando che  «ha anche un’ala militare con almeno due basi di addestramento e un vasto arsenale di armi, da droni e veicoli corazzati a pezzi di artiglieria».

 

Vediamo quindi parafrasate anche le parole del  «capo della sensibilizzazione internazionale» (sic) azovita, che durante un tour del 2019 alla Casa cosacca avrebbe detto che la missione del gruppo era quella di  «formare una coalizione di gruppi di estrema destra in tutto il mondo occidentale, con il massimo obiettivo di prendere il potere in tutta Europa».

 

Sempre Time scrive del passato del Biletskyj, soprannominato Bely Vozhd, cioè «Sovrano Bianco»: «la polizia ucraina trattava da tempo la sua organizzazione, Patriot of Ukraine, come un gruppo terroristico neonazista» afferma l’antica e prestigiosa rivista di Nuova York, dicendo che il loro «manifesto sembrava attingere  la sua narrativa direttamente dall’ideologia nazista».

 

«Persino Bellingcat, un “collettivo di intelligence open source”  che apparentemente funge da canale per l’agenda dell’intelligence britannica, ha sollevato bandiere rosse su Azov» ricorda RT.

 

Nell’ottobre 2019, Bellingcat si lamenta di come i militanti abbiano spinto Zelens’kyj – che, come riportato da Renovatio 21, potrebbe essere in questo stesso momento politicamente, fisicamente e psicologicamente ostaggio di formazioni neonaziste –  a non ritirarsi dal Donbass come richiesto dagli accordi di Minsk. Il lettore nostro ricorderà le parole di uno dei capi dell’estrema destra, ora inabissatosi nell’apparato del potere statale e militare di Kiev, al momento dell’elezione di Zelens’kyj: «Zelen’kyj ha detto nel suo discorso inaugurale che era pronto a perdere ascolti, popolarità, posizione… No, perderà la vita. Sarà appeso a qualche albero del Khreshchatyk, se tradirà l’Ucraina e quelle persone che sono morte durante la Rivoluzione e la Guerra».

 

 

Bellingcat va oltre, e ci aiuta a spiegare quella storia del «potere formale» tirata fuori dalla BBC. Sebbene i  «gruppi di estrema destra» abbiano  «un appoggio popolare trascurabile e un potere elettorale praticamente inesistente», essi «continuano ad avere successo integrandosi nella politica e nella società ucraine». Bingo: qualcuno ci è arrivato. Ci hanno venduto la palla del fatto che, non avendo più nemmeno un seggio a differenza di quelli conquistati nel 2019, le formazioni dell’ultradestra ucraina non hanno potere; ci hanno quindi venduto la seconda palla: una volte entrati nell’esercito, gli elementi neonazi dei battaglioni sono stati purgati.

 

Potrebbe essere vero piuttosto il contrario: i capi neonazisti non hanno più bisogno dei (pochi) seggi ottenibili alla Rada, il Parlamento di Kiev, perché essi sono riusciti ad inserirsi ad un livello più decisivo, cioè nello Stato profondo ucraino – quello che, giocoforza, risponde al Deep State di Washington. E per quanto riguarda l’esercito, possiamo pensare che, al contrario, gli elementi nazisti possono aver contaminato le Forze Armate, garantendo peraltro una radicalizzazione ideologica invitante quando capita di dover andare al fronte.

 

Abbiamo già visto questo giuochino: terroristi, zeloti radicali, nemici del popolo, reietti della Storia… improvvisamente divengono guerriglieri per bene cui dare tutto il nostro supporto.

 

«Questa non è esattamente la prima volta che i media corporativi e statali in Occidente si nascondono dietro un gruppo che fino a poco tempo fa avevano descritto – correttamente – come estremista» scrive RT. «Ad esempio, proprio l’anno scorso, la televisione pubblica statunitense ha cercato di  nascondere  la realtà degli affiliati di Al-Qaeda in Siria –il Fronte Al-Nusra, in seguito ribrandizzato comodamente Hayat Tahrir al-Sham, dimodoché è stato possibile definirla sui giornali e nei corridoi del potere americano «ribelli moderati». Non islamisti, non takfiri, non jihadisti, non terroristi: ma no, sono «ribelli moderati», così come i neonazisti sono divenuti combattenti per la libertà.

 

Qualcosa va scritto anche riguardo alla stampa del Paese più simbolicamente interessato dal cortocircuito neonazista: la Germania.

 

Il sito di notizie in lingua inglese dell’emittente pubblica Deutsche Welle ha pubblicato un articolo sulla Brigata Azov dove si sostiene che mentre le organizzazioni naziste sono fuorilegge in Germania, in Ucraina un tale legge non c’è. DW sente tale Andreas Umland dello Stockholm Center for Eastern European Studies, il quale ammette che le associazioni formate dalla destra in Ucraina sarebbero state descritte come gruppi neonazisti organizzati in Germania.

 

Lo specialista nota che l’Azov ha attirato subito l’attenzione utilizzando il simbolo nazista Wolfsangel come emblema. «Il Wolfsangel ha connotazioni di estrema destra, è un simbolo pagano usato anche dalle SS», assicura. «Ma non è considerato un simbolo fascista dalla popolazione in Ucraina».

 

«Normalmente, consideriamo pericoloso l’estremismo di destra, qualcosa che può portare alla guerra», dice l’esperto svedese, ma in Ucraina è il contrario, assicura.

 

Difficile racapezzarsi.

 

Niente, tuttavia, in confronto a quello che stiamo vedendo in Italia: il Paese dell’ANPI, dell’antifascismo perenne, della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana, dei senatori a vita passati per i lager etc.

 

Il Paese della legge Mancino ora sta fornendo armi a quell’esercito pieno di svastiche e simboletti da mistica del III Reich, nei tatuaggi, nelle mostrine, nelle bandiere. Qualcuno, in realtà si è domandato anche da noi se queste armi non finiscano, per caso, ai neonazisti – ma viene subissato di pernacchie e storielle (la svastica è un antico simbolo indiano…). Di certo, sappiamo che molte della armi che il nostro governo sta mandando non finiscono ai Foreign Fighter, che come abbiamo visto lamentano di essere mandati al fronte praticamente disarmati o con un fucile e dieci colpi in caricatore.

 

Altro che: alla denazificazione virtuale dei giornali di tutto il mondo che stanno dicendo che in Ucraina nessuno è nazista, corrisponde una nazificazione materiale.

 

Armare i nazisti…? A breve sarà il 25 aprile. L’anno passato e il precedente abbiamo riso a quelli che ci parlavano di liberazione mentre eravamo costretti a casa dal lockdown.

 

Quest’anno siamo andati molto più in là: l’umorismo nero di chi magari ci vuole raccontare che la resistenza, in Ucraina, la fanno gli uomini con la svastica.

 

Viviamo tempi incredibili. Non sempre divertentissimi.

 

 

 

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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Orban: l’UE pianifica la guerra con la Russia entro il 2030

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha sostenuto che l’Unione Europea si sta preparando a un confronto bellico con la Russia e mira a raggiungere la piena prontezza entro il 2030. Parlando sabato a un raduno contro la guerra, Orban ha denunciato come il Vecchio Continente stia già procedendo verso uno scontro militare diretto.   Il premier magiaro delineato un iter in quattro tappe che di norma conduce al conflitto: la rottura dei legami diplomatici, l’applicazione di sanzioni, l’interruzione della collaborazione economica e, da ultimo, l’inizio delle ostilità armate. Secondo lui, la maggioranza di questi passaggi è già stata percorsa.   «La posizione ufficiale dell’Unione Europea è che entro il 2030 dovrà essere pronta alla guerra», ha dichiarato, rilevando inoltre che i Paesi europei stanno virando verso un’«economia di guerra». Per Orban, taluni membri dell’UE stanno già riconfigurando i comparti dei trasporti e dell’industria per favorire la fabbricazione di armamenti.   Il premier du Budapest ha ribadito la contrarietà di Budapest al conflitto. «Il compito dell’Ungheria è allo stesso tempo impedire che l’Europa entri in guerra», ha precisato.

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Orban ha più volte manifestato aspre critiche alla linea dell’UE riguardo alla crisi ucraina. L’Ungheria ha sempre respinto le sanzioni nei confronti di Mosca e gli invii di armi a Kiev, invocando invece colloqui di pace in luogo di un inasprimento.   L’allarme riecheggia le recenti uscite del presidente serbo Aleksandar Vucic e del ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, entrambi i quali hanno insinuato che un scontro tra Europa e Russia diventi sempre più verosimile nei prossimi anni.   Malgrado la retorica sempre più bellicosa di certi membri dell’UE e della NATO verso la Russia, nessuno ha apertamente manifestato l’intenzione di impegnarsi in una guerra. La scorsa settimana, il presidente del Comitato Militare NATO, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha confidato al Financial Times che l’Unione sta valutando opzioni per un approccio più ostile nei riguardi di Mosca, inclusa l’ipotesi che un attacco preventivo possa configurarsi come atto difensivo.  

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Scontri lungo il confine tra Thailandia e Cambogia

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Lunedì la Thailandia ha condotto raid aerei in Cambogia, mentre i due vicini del Sud-est asiatico si attribuivano reciprocamente la responsabilità di aver infranto la tregua negoziata dagli Stati Uniti.

 

A luglio, una controversia confinaria protrattasi per oltre cinquant’anni è sfociata in scontri armati tra i due Stati. Il presidente USA Donald Trump, tuttavia, era riuscito a imporre un cessate il fuoco dopo cinque giorni di ostilità.

 

L’esercito thailandese ha riferito che i nuovi episodi di violenza sono emersi domenica, accusando le unità cambogiane di aver sparato contro i soldati di Bangkok nella provincia orientale di Ubon Ratchathani. Un militare thailandese è caduto, mentre altri quattro hanno riportato ferite; in seguito, ulteriori truppe thailandesi sono state bersagliate da artiglieria e droni presso la base di Anupong, ha precisato lo Stato Maggiore.

 

 

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Il portavoce della Royal Thai Air Force, il maresciallo dell’aria Jackkrit Thammavichai, ha comunicato in tarda mattinata di lunedì che i jet F-16 sono stati impiegati per «ridurre le capacità militari della Cambogia al livello minimo necessario per salvaguardare la sicurezza nazionale e proteggere i civili». Il portavoce del ministero della Difesa cambogiano, il tenente generale Maly Socheata, ha replicato domenica sera sostenendo che le truppe thailandesi hanno sferrato vari assalti contro le postazioni di Phnom Penh, utilizzando armi leggere, mortai e carri armati.

 

«Anche la parte thailandese ha accusato falsamente la Cambogia senza alcun fondamento, nonostante le forze cambogiane non abbiano reagito», ha dichiarato. Il dicastero ha altresì smentito le denunce thailandesi su un potenziamento delle truppe lungo il confine.

 

La contesa territoriale affonda le radici nell’epoca coloniale, quando la Francia – che dominò la Cambogia fino al 1953 – delimitò i confini tra i due paesi. Gli scontri di luglio provocarono decine di vittime e oltre 200.000 sfollati da ambo le parti.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Thailandia aveva sospeso la «pace di Trump» quattro settimane fa.

 

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