Cina
Truppe cinesi sconfinano in territorio nepalese
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Lo rivela un rapporto del governo del Nepal, che vuole risolvere la questione per vie diplomatiche. L’area interessata confina con il Tibet, ma Pechino nega ogni violazione. L’accusa: le operazioni dei cinesi limitano le attività religiose ed economiche sul versante nepalese. Problemi di sicurezza dietro la mossa della Cina.
Secondo un rapporto del governo nepalese, truppe cinesi hanno sconfinato nel territorio del piccolo Stato himalayano. L’area interessata è il distretto di Humla, alla frontiera con il Tibet, dove la popolazione dipende in larga parte dal commercio con i mercati cinesi.
È la prima volta che le autorità di Kathmandu formulano in modo ufficiale accuse di questo tipo. L’esecutivo non ha però pubblicato il documento, rivelato ieri da BBC News. L’ambasciata cinese nel Nepal nega ogni violazione di confine; il governo nepalese ha dichiarato che la questione sarà affrontata per vie diplomatiche, come già avviene per dispute territoriali con l’India.
È la prima volta che le autorità di Kathmandu formulano in modo ufficiale accuse di questo tipo
Kathmandu ha scelto una linea soft: da anni il Nepal ha rafforzato i legami con Pechino per controbilanciare l’influenza di Delhi.
Dal rapporto delle autorità del Nepal emerge che Forze di sicurezza cinesi si muovono nella zona di Humla. I militari di Pechino vi condurrebbero operazioni di sorveglianza, limitando anche le attività religiose a Lalungjong, sul versante nepalese del confine.
L’area è un punto di ritrovo per i pellegrinaggi al monte Kailash, che si trova in territorio cinese, ma è venerato dai buddisti come dagli indù. Per gli investigatori nepalesi, le azioni delle truppe cinesi ostacolano anche gli spostamenti degli allevatori locali.
Kathmandu sostiene poi che i cinesi abbiano iniziato a costruire una recinzione lungo la frontiera, oltre a una strada e un canale sul lato nepalese.
I cinesi vorrebbero limitare il rischio di infiltrazioni da parte dei rivali indiani, e allo stesso tempo bloccare fughe in Nepal dal Tibet
L’indagine ha smentito però che Pechino abbia realizzato edifici nel distretto di Humla. Nel novembre 2020 parlamentari del Nepali Congress (all’epoca all’opposizione, ora alla guida del governo) avevano già denunciato sconfinamenti cinesi nell’area, sottolineando che Pechino aveva annesso decine di ettari di territorio. Essi sostenevano anche che le forze cinesi avevano costruito nove strutture in calcestruzzo.
Gli estensori del rapporto suggeriscono l’invio di militari nella zona di confine.
Secondo diversi osservatori, l’interesse di Pechino per questo tratto di frontiera si spiega con motivi di sicurezza. I cinesi vorrebbero limitare il rischio di infiltrazioni da parte dei rivali indiani, e allo stesso tempo bloccare fughe in Nepal dal Tibet: al momento 20mila tibetani vivono in territorio nepalese; molti altri lo hanno usato per arrivare in India o altrove. Sono migrati per sfuggire a quella che considerano la repressione cinese delle loro tradizioni religiose e culturali buddiste.
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Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
I test di sicurezza sui trasporti pubblici in Norvegia hanno rivelato che i produttori cinesi possono accedere e controllare a distanza gli autobus elettrici.
Una compagnia di autobus norvegese ha condotto dei test segreti confrontando autobus realizzati da produttori europei e cinesi per scoprire se i veicoli rappresentassero una minaccia per la sicurezza informatica.
Non sono stati segnalati problemi con l’autobus europeo, ma si è scoperto che il veicolo cinese, prodotto da un’azienda chiamata Yutong, poteva essere manipolato a distanza dal produttore.
Questa manipolazione includeva la possibilità di accedere al software, alla diagnostica e al sistema di batterie dell’autobus. Il produttore cinese aveva la possibilità di fermare o immobilizzare il veicolo.
Arild Tjomsland, un accademico che ha collaborato ai test, ha sottolineato i rischi: «l’autobus cinese può essere fermato, spento o ricevere aggiornamenti che possono distruggere la tecnologia di cui l’autobus ha bisogno per funzionare normalmente».
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Tjomsland ha poi aggiunto che, sebbene gli hacker o i fornitori non siano in grado di guidare gli autobus, la capacità di fermarli potrebbe essere utilizzata per interrompere le operazioni o per esercitare un’influenza sul governo norvegese durante una crisi.
Le preoccupazioni sui veicoli cinesi sono diffuse. I think tank hanno lanciato l’allarme: i veicoli elettrici potrebbero essere facilmente «armati» da Pechino.
Le aziende cinesi hanno testato su strada i loro veicoli negli Stati Uniti, raccogliendo dati, tra cui roadmap, che gli esperti ritengono potrebbero rivelarsi di utilità strategica.
I risultati dei test sono stati ora trasmessi ai funzionari del ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni in Norvegia.
La militarizzazione dei prodotti cinesi importati in gran copia non riguarda solo le auto.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa è emerso che sono stati trovati dispositivi «non autorizzati» trovati nascosti nei pannelli solari cinesi che potrebbero «distruggere la rete elettrica».
Una trasmissione giornalistica italiana aveva dimostrato che nottetempo le telecamere cinesi usate persino nei ministeri italiani inviavano dati a server della Repubblica Popolare.
Il lettore di Renovatio 21, ricorderà tutta la querelle attorno al decreto del governo Conte bis, in piena pandemia, chiamato «Cura Italia» (da noi ribattezzato più onestamente «Cina Italia»), che in bozza conteneva concessioni a produttori di IT di 5G cinesi come Huawei che, secondo alcuni, mettevano a rischio la sicurezza del nostro Paese e del blocco cui è affiliato.
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