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Politica

Trump si dice pronto ad andare in galera, mentre la folla UFC lo esalta. Zelens’kyj lo chiama «presidente perdente»

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump afferma di essere «OK» dinanzi alla prospettiva a scontare una potenziale pena in prigione o essere messo agli arresti domiciliari per le sue 34 condanne per falsificazione di documenti aziendali. Qualsiasi punizione, tuttavia, difficilmente sarà presa alla leggera dal pubblico, ha aggiunto.

 

L’ex presidente ha fatto queste osservazioni in un’intervista a Fox News andata in onda domenica. Alla domanda sulle potenziali punizioni, Trump ha detto che è «d’accordo».

 

«L’altro giorno ho visto uno dei miei avvocati in televisione dire: “Oh no, non vuoi fare una cosa del genere al presidente”. Ho detto: “Non implorare nulla”», ha affermato il biondo ex inquilino della Casa Bianca, suggerendo, tuttavia, che le potenziali punizioni avrebbero fatto arrabbiare i suoi sostenitori.

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«Non credo che il pubblico lo sopporterebbe. Non sono sicuro che il pubblico lo sopporterebbe».

 

Trump ha ribadito la sua opinione sul caso contro di lui riguardante i presunti pagamenti «del silenzio» all’attrice a luci rosse Stormy Daniels (che lui definisce «faccia da cavallo») sulla scia delle elezioni del 2016 e i documenti falsificati per nasconderli, liquidandoli come persecuzione politicamente motivata.

 

«La gente lo capisce. È una truffa. E il Partito Repubblicano… sono rimasti uniti in questo. Vedono che si tratta di un’arma del Dipartimento di Giustizia dell’FBI e che viene tutto da Washington», ha detto Donald.

 

Sabato sera l’ex presidente degli Stati Uniti è stato accolto con canti di «noi vogliamo Trump» e «fanculo Joe Biden» durante un evento di arti marziali miste (MMA) del circuito UFC nel New Jersey, al quale The Donald ha partecipato sabato.

 


Dopo la usuale entrata trionfale nel palazzetto tra urla della folla impazzita per lui, l’ex presidente si è seduto insieme al capo dell’UFC Dana White in prima fila per l’evento. L’apparizione di Trump è stata accolta calorosamente dalla folla, con una standing ovation e alcuni sostenitori hanno visto esporre le bandiere di Trump 2024, filmati degli spettacoli dell’incontro.

 

 

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Il coro a sostegno di Trump e con un linguaggio volgare rivolto al presidente Joe Biden, suo avversario nella corsa alle presidenziali del 2024, è stato ascoltato più volte durante la partita.

 

Ad un certo punto, Trump ha salutato i sostenitori con il pugno alzato.

 

 

Nel frattempo, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha avvertito il candidato repubblicano alle presidenziali Donald Trump che potrebbe diventare un «presidente perdente» se insistesse su un accordo di pace con la Russia che preveda concessioni territoriali da parte di Kiev.

 

Trump si è vantato che, se verrà rieletto entro la fine dell’anno, sarà in grado di porre fine al conflitto ucraino entro 24 ore mediando un accordo di pace. Secondo un rapporto del mese scorso del Washington Post che citava addetti ai lavori della campagna di Trump, la sua strategia per raggiungere questo obiettivo prevede di fare pressioni su Kiev affinché rinunci alle sue rivendicazioni sulla Crimea e sul Donbass e li riconosca come parti della Russia.

 

Quando il Guardian ha chiesto di commentare il presunto piano di Trump in un’intervista pubblicata venerdì, lo Zelens’kyj ha avvertito che questa strategia potrebbe avere conseguenze disastrose per l’America e per Trump personalmente.

 

«Vuole essere un presidente perdente più tardi? Immaginiamo cosa succederebbe se Trump diventasse presidente e decidesse di porre fine alla guerra a spese dell’Ucraina… Immaginiamo che dopo questo Putin andrà oltre – allora questo nuovo presidente degli Stati Uniti verrà visto come debole, e questo non parla solo della sua personalità, ma tutto il governo degli Stati Uniti sarà percepito come debole», ha dichiarato il leader di Kiev, aggiungendo che costringendo l’Ucraina ad abbandonare le sue rivendicazioni territoriali, gli Stati Uniti perderebbero l’influenza internazionale e permetterebbero «a Putin di andare avanti, rendendosi conto che gli Stati Uniti non sono più un attore forte».

 

«Allora entreranno nell’arena altri leader autoritari. E questo sarà proprio l’inizio di ciò di cui tutti hanno tanta paura: la Terza Guerra Mondiale», ha affermato apocalitticamente l’ex capo-comico del canale TV 1+1.

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Trump non ha mai ufficialmente dettagliato il suo piano di pace per l’Ucraina – un conflitto che dice di poter far finire in 24 ore – ma ha detto che conosce personalmente sia Zelens’kyj che il presidente russo Vladimir Putin e che può farli accettare un cessate il fuoco se riesce a portarli al tavolo delle trattative.

 

Nel 2022, il leader ucraino ha firmato una legge che vieta i colloqui di pace con la Russia finché Putin resta al potere. Secondo la «formula di pace» dello Zelens’kyj presentata quell’anno, inoltre, i negoziati non possono essere tenuti a meno che le forze russe non si ritirino dai territori che Kiev rivendica come propri e la leadership russa non debba affrontare un tribunale internazionale per presunti crimini di guerra.

 

Come riportato da Renovatio 21, per coincidenza un altro presidente che si starebbe preparando a mandare le sue truppe a combattere i russi, il francese Emanuele Macron, ha dichiarato che «Trump difficilmente vincerà».

 

Specularmente, un leader contrario alla guerra ucraina come Vittorio Orban invece scommette apertamente sul ritorno di Trump al potere, al punto da essere andato a trovarlo nella magione di Mar-a-Lago circa tre mesi fa. Orban ritiene che Trump sia l’unico uomo al mondo che possa mettere fine alla guerra. Un pensiero simile è venuto anche dal luminare della sinistra americana Noam Chomsky.

 

Va notato come la parte trumpiana del Partito Repubblicano USA si è opposta, pure con qualche defezione significativa, all’invio di armi ed aiuti finanziari a Kiev.

 

Lo Zelens’kyj nel tempo è stato attaccato direttamente attaccato dal figlio di Trump, l’irrefrenabile Don jr., che ha dichiarato su Twitter nel 2023: «sta mettendo al bando la Chiesa ortodossa ucraina, mandiamogli altri 100 miliardi senza responsabilità». Il Don jr. si è rivelato attivo nella diffusione di vari meme ironici sull’Ucraina.

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Immagine screenshot da Twitter

 

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Politica

Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

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L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.   Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».   «L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».

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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.   «Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.   Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.   Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.   Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr  
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Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.

 

A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.

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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.

 

Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.

 

Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.

 

Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.

 

Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.

 

Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.

 

Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.

 

L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.

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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.

 

Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.

 

Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.

 

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Il governo francese collassa

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Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.   Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.   Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.

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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.   Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.   La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.   Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.   Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.   Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».

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