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Politica

Trump pronto a perdonare Hunter Biden

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che potrebbe prendere in considerazione la grazia per Hunter Biden se venisse rieletto a novembre.

 

Hunter Biden è stato dichiarato colpevole a giugno di tre reati gravi in ​​un processo federale sulle armi, tra cui la menzogna sul suo uso di droghe illecite quando ha fatto domanda per acquistare un’arma da fuoco. Biden rischia fino a 25 anni di prigione, con la sentenza che verrà stabilita in un’udienza programmata per novembre.

 

Il mese scorso, il 53enne si è anche dichiarato colpevole di nove accuse fiscali federali e rischia potenzialmente altri 17 anni di prigione.

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Dopo il verdetto, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato di rispettare il processo giudiziario e di essere «soddisfatto» del fatto che suo figlio abbia ricevuto un giusto processo. Ha anche osservato che «non farà nulla» per aiutare suo figlio e ha escluso di scagionarlo.

 

Giovedì, durante un’intervista con il conduttore radiofonico conservatore Hugh Hewitt, è stato chiesto a Trump se avrebbe graziato Hunter Biden.

 

L’ex presidente ha risposto affermando che «non l’avrebbe tolto dai libri», nonostante il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti abbia avviato molteplici azioni legali contro di lui, che Trump ha descritto come una forma di ritorsione da parte dei suoi oppositori politici. All’inizio di quest’anno, una giuria di Manhattan ha dichiarato il candidato repubblicano colpevole di 34 capi d’imputazione per reati gravi relativi al presunto pagamento di denaro per il silenzio alla pornostar Stormy Daniels e al suo ruolo nelle rivolte di Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

 

L’ex presidente ha ricordato che, a differenza dei suoi avversari, si era astenuto dal perseguire la sua rivale Hillary Clinton dopo le elezioni del 2016, nonostante i suoi sostenitori glielo avessero chiesto. «Avrei potuto andare contro Hillary», ha detto Trump, notando che alla fine ha deciso di non farlo perché pensava che «avrebbe fatto una brutta figura».

 

Trump ha osservato, tuttavia, che Hunter Biden è stato «un cattivo ragazzo» e che «tutto quello che dovevi fare era vedere il portatile dall’inferno». Allo stesso tempo, ha sottolineato che l’intera storia che ruota attorno al figlio del presidente degli Stati Uniti è «molto negativa per il nostro Paese».

 

Nel 2020, il contenuto del portatile personale di Hunter Biden, che avrebbe smarrito in un negozio di riparazioni del Delaware, è trapelato online, mostrando immagini del rampollo che si droga (sembra piacergli il crack, le cui pene per il consumo furono severamente alzate per volontà politica del padre anni fa) o fa sesso con prostitute (immagini finite anche in un’audizione del Congresso USA grazie alla deputata Marjory Taylor-Greene) e implicando la famiglia Biden in molteplici schemi di corruzione estera. Da allora, i funzionari dell’Intelligence statunitense hanno cercato di denunciare lo scandalo come «disinformazione russa», nonostante il contenuto del portatile sia stato verificato come autentico.

 

Di recente è emerso che lo Hunter avrebbe ricevuto danaro da un oligarca romeno.

 

Come riportato da Renovatio 21, la famiglia Biden era stata accusata al Congresso USA di aver preso mazzette dalla Russia. La Commissione di supervisione della Camera afferma di aver identificato 20 milioni di dollari in pagamenti da fonti estere alla società di Hunter Biden, che descrivono come una copertura per vendere l’accesso al «network Biden» mentre suo padre era vicepresidente di Barack Obama dal 2009 al 2017.

 

In particolare danari sarebbero arrivati dall’oligarca russa Yelena Baturina, vedova del controverso sindaco di Mosca Yurij Luzhkov, a Rosemont Seneca Thornton, una società di comodo gestita da Hunter Biden e dal suo socio in affari Devon Archer. Dei 3,5 milioni di dollari trasferiti dalla Baturina, 1 milione di dollari è stato trasferito direttamente ad Archer, mentre il resto è stato utilizzato per avviare Rosemont Seneca Bohai, un nuovo account utilizzato per ricevere più finanziamenti dall’estero, ha affermato la Commissione camerale.

 

Accuse per il giro di corruzione dei Biden in Ucraina sono arrivate da Igor Shokin, il procuratore di Stato che a Kiev che investigava, tra le altre cose, sul colosso gasiero Burisma, che aveva assunto nel board l’inesperto Hunter Biden. Il vicepresidente Joe Biden si è vantato in pubblico di averlo fatto licenziare durante un suo breve viaggio diplomatico, in cui praticò estorsione nei confronti di presidente e premier ucraini.

 

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Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate Viktor Medvedchuk, un politico ucraino e del partito Piattaforma di Opposizione – Per la Vita, ora in esilio in Russia dopo essere stato arrestato dal regime Zelens’kyj e scambiato con Mosca, ha accusato Kiev di essere la «mangiatoia» per la corruzione del clan Biden.

 

Renovatio 21 aveva segnalato una pista kazaka ancora a inizio 2022 quando il Kazakistan fu oggetto di disordini, e riaffiorò una foto dei Biden con oligarchi di Astana, ripubblicata da organizzazioni locale anti-corruzione che chiedono la restituzione dei miliardi dei corrotti, politica poi abbracciata dall’attuale presidente Tokaev.

 

Un’altra parte consistente della corruzione del clan Biden riguarderebbe la Cina, con affari che comprendono anche investimenti in centrali atomiche, con legami con personaggi legati all’Intelligence della Repubblica Popolare così come, si è ipotizzato, il network interno di Xi Jinpingo.

 

Sull’origine del capitale del fondo internazionale di Hunter Biden fece un’ammissione un professore pechinese ad una conferenza pubblica appena dopo le elezioni 2020.

 

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«Ora vediamo che Biden è stato eletto. L’élite tradizionale, l’élite politica, l’establishment sono molto vicini a Wall Street, giusto? Trump ha detto che il figlio di Biden ha una sorta di fondo globale. Lo avete sentito? Chi lo ha aiutato a mettere in piedi il fondo?» dice Di Dongsheng, un professore all’Università Renmin di Pechino, nel discorso finito in TV.

 

Si tratta, ad ogni modo, solo della punta dell’iceberg di un giro di «truffe» dei Biden che il senatore del Wisconsin Ron Johnson ha definito «sconvolgente».

 

Come riportato da Renovatio 21, la costante presenza in questi giorni di Hunter vicino al padre anche in riunioni in cui non dovrebbe stare potrebbe indicare il fatto che, forse per tentare di salvare il salvabile prima della defenestrazione del padre, l’uomo sia penetrato nella stanza dei bottoni.

 

Nel frattempo, Mosca ha avviato un’indagine su una società ucraina collegata a Hunter Biden che sarebbe stata utilizzata per attacchi terroristici in Russia.

 

Nel marzo 2022 quotidiano britannico Daily Mail aveva ottenuto messaggi di posta elettronica che confermavano, almeno in parte, accuse russe secondo cui il figlio di Joe Biden, Hunter, è coinvolto nel finanziamento di laboratori di armi biologiche in Ucraina.

 

Come riportato da Renovatio 21, poco dopo lo scoppio dello scandalo, Wikipedia avrebbe rimosso la voce per Rosemont Seneca Partners, la società di investimento collegata a Hunter Biden e ai suoi presunti traffici in Ucraina.

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Politica

Steve Bannon: «Ben Shapiro è un cancro». E il conservatorismo esiste per mantenerti filoisraeliano e stupido

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L’attivista populista ex stratega elettorale del campagna Trump 2020 Steve Bannon è salito sul palco dell’Amfest di Turning Point, l’organizzazione del fu Charie Kirk, e si è scagliato contro l’attivista e podcaster ebreo Ben Shapiro, descrivendolo come «un cancro», dopo chequesti dallo stesso palco aveva attaccato la popolare giornalista televisiva conservatrice Megyn Kelly, il celeberrimo Tucker Carlson (che ha appena vinto il titolo di «antisemita dell’anno») e lo stesso Bannon.   L’apparizione di Bannon è avvenuta un giorno dopo quella di Shapiro, che ha usato il suo discorso per accusare i conservatori di «codardia» per essersi rifiutati di condannare la podcaster Candace Owens e le sue teorie sull’omicidio di Charlie Kirk, del quale era stata stretta collaboratrice ed amica intima.   Lo Shapiro ha criticato in particolare Megyn Kelly, Tucker Carlson e Steve Bannon, accusando quest’ultimo di essere stato un «addetto stampa per Jeffrey Epstein».   Sia la Kelly che il Carlson avevano risposto a tono prima che Bannon avesse la possibilità di farlo lui stesso. La Kelly è stata intervistata da Jack Posobiec durante l’evento e ha affermato: «ho trovato piuttosto divertente che Ben pensi di avere il potere di decidere chi viene scomunicato dal movimento conservatore, il che dimostra una cecità volontaria riguardo alla sua posizione al suo interno».   «Ora, Benji Shapiro era qui ieri sera e diceva, sapete, “È tutta una questione di verità”» ha attaccato Bannon..  

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«Ben, ti conosco da tanto tempo, fratello. Non riesci a gestire la verità. Diciamolo chiaramente, Ben Shapiro è la cosa più lontana dal MAGA. Siamo schietti. È un fervente sostenitore di Trump. È un fervente sostenitore di Trump. Nella primavera del 2016, ha cercato di mettere in difficoltà Breitbart. Ha abbandonato il lavoro, ha fatto un gran parlare di un incidente a Mar-a-Lago con Corey Lewandowski [ex direttore della campagna Trump 2016, ndr]».   «Ha cercato di stornare Donald Trump da Ted Cruz perché odiava Donald Trump. Alle elezioni generali, ha a malapena sostenuto Donald Trump.   «Il primo segnale di quando il presidente Trump verrà rimandato a Mar-a-Lago è che la prima persona a salire sul treno di Ron DeSantis, il treno Israel First, sarà Ben Shapiro» ha accusato il Bannon.   «Shapiro ha definito Breitbart [rivista online determinante per le elezioni 2016, diretta all’epoca da Bannon e dove lo Shapiro lavorava, ndr] “Trump Pravda'”. Quando se n’è andato, l’ha chiamata Trump Pravda, e aveva ragione. Dovevamo esserlo. Non c’era nessun altro sito di notizie che sostenesse il presidente Trump».   «Quando la povera Megyn Kelly si è presentata in quel primo dibattito e ha fatto quelle che ora sembrano domande innocue sulla pagina Facebook di Trump o sul suo feed Twitter riguardo a Rosie O’Donnell e altri, fate in modo che Jack Posobiec le chiedesse come è andata a finire. Abbiamo scatenato i cani. Eravamo dei maniaci. Perché? Il presidente Trump non aveva alcun appoggio. Non aveva alcun appoggio alla Fox. Non aveva alcun appoggio alla National Review [storica rivista del conservatorismo USA, ndr]. E nel 2016, questo lo avrebbe escluso dalla corsa. Quindi dovevamo esserci».   Il Bannon ha quindi accusato lo Shapiro di essere un «cancro» del conservatorismo, prevedendo anche che Shapiro avrebbe tentato di prendere il controllo o eliminare Turning Point USA.   «Ma Ben Shapiro è come un cancro, e quel cancro si diffonde. È un cancro, e metastatizza. Ha cercato di prendere il controllo di Breitbart, e io l’ho cacciato via. Ha cercato di prendere il controllo di David Horowitz, che era il suo mentore. Non chiedetelo a me, chiedete al tizio che è associato a David Horowitz cosa ci facesse lì. Ha cercato di prenderne il controllo» ha tuonato il Bannone.   «E ricordate quanto vi dico: farà una mossa su Turning Point, perché è sempre stato geloso di Charlie Kirk. Invidioso di Charlie Kirk».   «Non si tratta di libertà di parola. Non si tratta di deplatforming. Si tratta di politica di potere e di ciò in cui Charlie Kirk credeva profondamente: che l’America prende decisioni per l’America, e che gli americani prendono decisioni per l’America. Questo era Charlie Kirk» ha concluso Bannon.   Lo Shapiro, ebreo con perenne kippah sul capo, uscì da Breitbart per mettere in piedi un enorme conglomerato mediatico sedicente conservatore, il Daily Wire, ingaggiando a suon di diecine di milioni di dollari star come la stessa Owens e i cattolici Michael Knowles e Matt Walsh. Non ci è mai stato chiaro da dove provenisse l’improvvisa grande disponibilità economica per l’impresa dello Shapiro, ma alcuni sospettano che in campo ci fossero le forze economiche filoisraeliani che stiamo vedendo ora all’opera con l’acquisto di TikTok, CBS, CNN e Warner Bros da parte della ultramiliardaria famiglia filosionista degli Ellisoni.   Certo fu di particolare persuasione vedere un altro idolo dei conservatori degli ultimi anni, il fragile psicologo canadese Jordan Peterson, riemergere dopo un anno di assenza (era, ovviamente all’insaputa dei fan adoranti, divenuto dipendente degli psicofarmaci, facendo il giro del mondo in cerca di una cura) ad un pranzo in Israele con Shapiro – di cui divenne dipendente al Daily Wire – e il premier israeliano Benjamino Netanyahu, un pasto filmato in un ristorante dove alla faccia della naturalezza delle immagini, è facile sospettare, le persone nei tavoli sullo sfondo sono parte di un grande set cinematografico fatto per portare ancora una volta i conservatori americani verso l’appoggio indiscriminato di Israele.   Il Peterson, campione online di una nuova generazione di conservatori, disse a Netanyahu salutandolo alla fine dell’incontro «give’em hell», «dagli l’inferno». Giudicando quanto accaduto poco dopo a Gaza, non si può dire che Netanyahu non lo abbia ascoltato, come peraltro notato dallo storico italoisraeliano Ariele Toaff, che in un sentito messaggio postato sui social descriveva la tragedia palestinese parlando proprio dell’inferno.

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Di fatto, lo Shapiro, come altri prima di lui, ha la funzione semplice di tenere il conservatorismo americano attaccato alla causa israeliana, accecando l’opinione pubblica rispetto a tanti temi che potrebbero compromettere il rapporto con lo Stato Ebraico: la storia della nave USS Liberty (attaccata sanguinariamente nel 1967 dagli israeliani in quello che pareva un false flag organizzato perché gli USA dichiarassero guerra all’Egitto), il trattamento dei cristiani in Israele, l’influenza della lobby ebraica su politica e media americani.   Il sionismo e il conservatorismo americano sono da dirsi inestricabilmente legati, e categorie fittizie sino al ridicolo come quella di «giudeocristianesimo», «valori giudaico-cristiani», di cui abbiamo sentito riempersi la bocca solo una ventina di anni fa da filosofi presidenti del Senato italiano così come dalle alte sfere del papato, sono state create solo per mantenere in piedi questo inganno.   Come riassume lo studioso americano E. Michael Jones: «il conservatorismo esiste per tenerti stupido». Il lavoro di Ben Shapiro è tutto qui.  

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Politica

Trump manda gli auguri di Natale alla «feccia della sinistra radicale»

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Quest’anno, negli auguri di Natale, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha preso di mira quella che ha definito la «feccia della sinistra radicale», attaccando con durezza i suoi avversari politici.

 

Almeno dal 2013, Trump ha mantenuto l’abitudine di rivolgere gli auguri natalizi anche a coloro che ha variamente chiamato «i miei tanti nemici» e «odiatori e perdenti».

 

«Buon Natale a tutti, compresa la feccia della sinistra radicale che sta facendo tutto il possibile per distruggere il nostro Paese, ma sta fallendo miseramente», ha scritto nel messaggio pubblicato giovedì su Truth Social. Trump ha poi proseguito elogiando i risultati ottenuti nel primo anno del suo secondo mandato presidenziale.

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La vigilia di Natale, durante la tradizionale telefonata ai bambini in cui il presidente segue gli spostamenti di Babbo Natale insieme al Comando di difesa aerospaziale nordamericano, Trump ha inserito riferimenti politici nelle sue battute.

 

«Vogliamo assicurarci che Babbo Natale si comporti bene. Babbo Natale è una brava persona», ha detto in una telefonata a dei bambini dell’Oklahoma. «Vogliamo assicurarci che non si infiltri, che non stiamo introducendo nel nostro Paese un Babbo Natale cattivo». Il riferimento è al NORAD Santa tracker, un programma annuale di intrattenimento natalizio che viene organizzato sin dal 1955 dal North American Aerospace Defense Command, ente preposto al controllo dello spazio aereo, che mostra gli spostamenti di Santa Claus nel mondo ad ogni vigilia..

 

La sicurezza delle frontiere e l’applicazione rigorosa delle espulsioni per gli immigrati irregolari rappresentano una delle priorità politiche del secondo mandato di Trump e sono al centro di forti polemiche. I critici accusano la sua amministrazione di violare la legge nelle procedure di rimpatrio degli immigrati clandestini.

 

Come riportato da Renovatio 21, il presidente USA aveva usato la stessa parola («scum», cioè «feccia») per riferirsi a Boko Haram, gruppo terrorista affiliato all’ISIS, oggetto di un attacco missilistico a Natale.

 

Riguardo alla materia fecale, mesi fa il presidente aveva pubblicato un video generato dall’Intelligenza Artificiale dove a bordo di un caccia militare scaricava tonnellate di escrementi addosso alla manifestazione della sinistra radicale «No Kings».

 

 

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Il capo dell’opposizione in Bangladesh torna dopo 17 anni di esilio

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Tarique Rahman, presidente ad interim del Partito Nazionalista del Bangladesh (BNP), che si trovava all’opposizione durante il governo dell’ex primo ministro Sheikh Hasina, è rientrato a Dhaka dopo quasi 17 anni di esilio.   Giovedì mattina Rahman è atterrato nella capitale bangladese, dove è stato accolto da una folla imponente; le misure di sicurezza sono state portate a livelli mai visti prima, vista la recente ondata di violenza e l’illegalità diffusa nel Paese.   Dal palco, il sessantunenne Rahman ha invitato all’unità tra le diverse comunità e forze politiche, ribadendo l’obiettivo di costruire un Bangladesh sicuro.   Entrambi i suoi genitori hanno ricoperto ruoli di vertice nel governo del Paese. Sua madre, l’ex primo ministro Khaleda Zia, è attualmente ricoverata in un ospedale di Dhaka.   Il padre di Tarique, Ziaur Rahman, sesto presidente del Bangladesh, venne assassinato da militari del Paese il 30 maggio 1981. Rahman aveva lasciato la patria nel 2008, definendo la propria fuga una conseguenza di persecuzioni a sfondo politico, e si era stabilito a Londra.   Ora ci si attende che Rahman sia il candidato principale alle prossime elezioni. Il governo ad interim, insediatosi dopo la cacciata dell’ex primo ministro Hasina nell’agosto 2024, ha rinviato per mesi l’annuncio della data elettorale e, sotto la pressione di varie forze politiche, ha infine fissato le urne per il 12 febbraio. Il governo provvisorio è guidato dal premio Nobel Muhammad Yunus.  

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    Alla Lega Awami, il partito di Hasina, è stato vietato di partecipare alle elezioni.   Nelle ultime giornate il Bangladesh è stato teatro di un’ondata di violenza seguita alla morte di Sharif Osman Hadi, uno dei principali leader della rivolta del 2024, ucciso a colpi d’arma da fuoco da aggressori mascherati a Dhaka all’inizio del mese.   In seguito al suo assassinio, manifestanti sono scesi in piazza in tutto il Paese chiedendo l’arresto dei responsabili, intonando slogan anti-indiani e dando vita a sommosse. I dimostranti hanno attaccato e dato alle fiamme le sedi di due importanti quotidiani bengalesi, The Daily Star e Prothom Alo.   Le proteste si sono ulteriormente inasprite quando un operaio di fede indù è stato linciato da una folla e successivamente bruciato a Mymensingh. L’episodio ha acuito le tensioni diplomatiche tra Nuova Delhi e Dhaka, portando entrambi i Paesi a convocare i rispettivi ambasciatori. Mercoledì, a Dhaka, un passante è rimasto ucciso quando una bomba artigianale lanciata da un cavalcavia è esplosa.

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