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Geopolitica

Trump: la Crimea resterà alla Russia. Il Cremlino lo elogia

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La penisola di Crimea continuerà a far parte della Russia anche in caso di risoluzione definitiva del conflitto ucraino, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump in un’intervista rilasciata alla rivista TIME, pubblicata venerdì.

 

La Crimea è ufficialmente entrata a far parte della Federazione Russa nel 2014, dopo un referendum che ha fatto seguito a un colpo di stato a Kiev appoggiato dall’Occidente. L’Ucraina e i suoi sostenitori hanno liquidato i risultati del referendum come illegittimi, e Kiev ha continuato a rivendicare la sovranità sulla penisola, promettendo di riprendersela con ogni mezzo necessario.

 

In un’intervista rilasciata per celebrare i suoi primi 100 giorni in carica, Trump ha affermato che la Crimea «è andata ai russi» molto tempo fa e ha lasciato intendere che «tutti capiscono» che l’Ucraina non sarà in grado di riaverla indietro.

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«La Crimea rimarrà con la Russia» in base a un accordo definitivo sul conflitto ucraino, ha proseguito Trump, aggiungendo che persino il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj lo capisce. «È con loro da molto tempo», ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, osservando che la Russia aveva i suoi sottomarini lì «molto prima di qualsiasi periodo di cui stiamo parlando» e che la maggior parte dei crimeani parla russo.

 

Trump ha anche sottolineato che la penisola è stata «donata» alla Russia dall’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, sostenendo che l’intero conflitto è «una guerra di Obama», che «non sarebbe mai dovuta accadere».

 

Da quando è tornato in carica a gennaio, Trump ha fatto pressioni sia su Mosca che su Kiev affinché risolvessero il conflitto. Durante la campagna elettorale dello scorso anno, aveva dichiarato che avrebbe posto fine alle ostilità «entro 24 ore» dal suo ingresso alla Casa Bianca. Il presidente ha tuttavia dichiarato alla rivista TIME di averlo detto «figurativamente», come se fosse un’«esagerazione».

 

 

Di recente, Trump ha manifestato la sua frustrazione per la mancanza di progressi nel raggiungimento di una risoluzione del conflitto ucraino, esprimendo insoddisfazione nei confronti dello Zelens’kyj, affermando di aver trovato la Russia molto più facile da negoziare rispetto al leader ucraino. In un post su Truth Social di questa settimana, il presidente degli Stati Uniti ha criticato l’omologo ucraino per essersi rifiutato persino di prendere in considerazione qualsiasi concessione territoriale.

 

La Russia ha espresso apprezzamento per gli sforzi di pace di Trump e ha ripetutamente indicato la propria disponibilità a negoziare. Tuttavia, i funzionari russi hanno sottolineato che un accordo di pace definitivo deve rispettare le realtà territoriali sul campo e affrontare le cause profonde del conflitto, come le aspirazioni dell’Ucraina alla NATO.

 

Nella sua intervista con TIME, Trump ha riconosciuto che l’Ucraina probabilmente non potrà mai entrare nella NATO, citando le ambizioni di Kiev di entrare nel blocco guidato dagli Stati Uniti come la causa che «ha causato lo scoppio della guerra».

 

«Se non si fosse parlato di questo aspetto, ci sarebbero state molte più probabilità che il conflitto non sarebbe iniziato», ha affermato il biondo del Queens.

 

Dopo poco, è arrivata la reazione di Mosca alle parole del presidente statunitense.

 

Le dichiarazioni di Trump secondo cui l’Ucraina ha perso la Crimea molti anni fa sono in piena sintonia con la posizione di Mosca, ha affermato il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.

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«Ciò corrisponde pienamente alla nostra comprensione e a quanto diciamo da tempo», ha detto Peskov durante una conferenza stampa giovedì.

 

Peskov ha precedentemente osservato che è improbabile che un accordo di pace con l’Ucraina possa essere raggiunto in tempi rapidi, data la natura complessa dei negoziati. Mosca ha sostenuto di essere aperta ai colloqui di pace, ma solo se questi porteranno a una soluzione duratura che affronti le cause profonde del conflitto.

 

Una tregua a breve termine, secondo la Russia, rappresenterebbe solo un’opportunità per i sostenitori occidentali dell’Ucraina.

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Economia

I mercati argentini salgono dopo la vittoria elettorale di Milei, che ringrazia il presidente Trump

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Il presidente argentino Javier Milei ha conquistato una vittoria schiacciante alle elezioni di medio termine del suo Paese, considerate un importante banco di prova per il sostegno alle sue riforme radicali di «terapia d’urto» e alla sua politica economica «a motosega».   Il partito di Milei, La Libertad Avanza, ha ottenuto il 40,8% dei voti a livello nazionale per la camera bassa del Congresso e ha prevalso in sei delle otto province che hanno eletto un terzo del Senato.   L’opposizione di sinistra, rappresentata dai peronisti, ha raccolto il 31,7% dei voti. Sebbene Milei non abbia conquistato la maggioranza assoluta in Congresso, questo risultato complicherà notevolmente gli sforzi dei suoi oppositori per ostacolare il suo programma.   Milei ha implementato un ambizioso piano libertario, caratterizzato da tagli significativi a normative, spesa pubblica, politiche statali e dipartimenti governativi, con l’obiettivo di risollevare l’Argentina da decenni di stagnazione economica.   Il suo approccio ha ricevuto il sostegno del presidente statunitense Donald Trump, che ha offerto supporto finanziario per garantire l’avanzamento delle riforme, soprattutto dopo il recente crollo drammatico del peso argentino.   Durante un incontro alla Casa Bianca con Milei la settimana scorsa, Trump ha promesso un pacchetto di aiuti da 20 miliardi di dollari, con la possibilità di raddoppiarlo in caso di successo alle elezioni di medio termine.   «Se non vince, siamo fuori», ha dichiarato Trump. «Se perde, non saremo generosi con l’Argentina».

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All’inizio di questo mese, il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha stipulato uno swap valutario da 20 miliardi di dollari con la banca centrale argentina per stabilizzare il mercato obbligazionario del Paese in vista delle elezioni. Bessent ha chiarito che il pacchetto di aiuti non va considerato un «salvataggio», ma piuttosto una «Dottrina Monroe economica», richiamando la politica del XIX secolo volta ad affermare la supremazia degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale.   Il segretario del Tesoro USA ha sottolineato che il successo dell’Argentina è nell’interesse degli Stati Uniti, non solo per stabilizzare il Paese, ma anche per renderlo un «faro» per altre nazioni della regione. «Non vogliamo un altro Stato fallito o sotto l’influenza cinese in America Latina», ha affermato Bessent.   Le obbligazioni, la valuta e le azioni argentine hanno registrato un’impennata lunedì mattina, dopo che il partito del presidente Javier Milei ha ottenuto una decisiva vittoria alle elezioni di medio termine. Il risultato è fondamentale per preservare il radicale rilancio economico di Milei in un Paese devastato da decenni di mala gestione socialista che ha distrutto la nazione.   Le riforme del libero mercato e l’aggressivo programma di austerità di Milei hanno già iniziato a raffreddare l’inflazione e a stabilizzare le condizioni finanziarie, segnalando agli investitori che il percorso di ristrutturazione resta intatto.   Milei ha poi ringraziato Trump su X:     «Grazie, Presidente Trump, per la fiducia accordata al popolo argentino. Lei è un grande amico della Repubblica Argentina. Le nostre nazioni non avrebbero mai dovuto smettere di essere alleate. I nostri popoli vogliono vivere in libertà. Contate su di me per lottare per la civiltà occidentale, che è riuscita a far uscire dalla povertà oltre il 90% della popolazione mondiale».

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Geopolitica

Sudan, le Forze di Supporto Rapido rivendicano la cattura del quartier generale dell’esercito

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Le Forze di Supporto Rapido (RSF), milizia paramilitare sudanese, hanno annunciato di aver assunto il controllo del quartier generale dell’esercito nella città di Al-Fashir, devastata dal conflitto.

 

La capitale del Darfur settentrionale è sotto assedio da parte delle milizie da oltre un anno, con le Nazioni Unite che denunciano attacchi sistematici contro i civili, inclusi l’uccisione e la mutilazione di oltre 1.000 bambini.

 

Domenica, un portavoce delle RSF ha dichiarato in un comunicato che il gruppo ha conquistato completamente il comando della Sesta Divisione di Fanteria delle Forze Armate Sudanesi (SAF) dopo «battaglie eroiche caratterizzate da operazioni mirate e assedi strategici».

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«La liberazione… segna una svolta cruciale nelle battaglie condotte dalle nostre valorose forze. Traccia le basi per un nuovo Stato a cui tutti i sudanesi contribuiranno», ha affermato il rappresentante delle RSF.

 

Si ritiene che il quartier generale della Sesta Divisione di fanteria fosse l’ultima roccaforte dell’esercito nel Darfur, dove i combattimenti tra SAF e RSF infuriano da oltre due anni.

 

Da quando ha assediato Al-Fashir nell’aprile 2024, le RSF sono state accusate di attacchi indiscriminati contro i civili, con droni e artiglieria. Secondo le Nazioni Unite, circa 260.000 civili, di cui 130.000 bambini, sono intrappolati in condizioni disperate, isolati dagli aiuti umanitari nella città.

 

Secondo organizzazioni per i diritti umani, all’inizio di questo mese almeno 20 persone sono state uccise in attacchi contro una moschea e l’ospedale saudita, l’ultima struttura medica operativa di Al-Fashir, dopo l’uccisione di circa 100 civili a settembre.

 

Domenica, Tom Fletcher, coordinatore degli aiuti d’emergenza delle Nazioni Unite, si è detto «profondamente allarmato» dalla situazione ad Al-Fashir, chiedendo un cessate il fuoco immediato in tutto il Sudan. Il Fletcher sottolineato che i combattenti continuano ad avanzare in città, bloccando le vie di fuga e lasciando i civili intrappolati, affamati e terrorizzati.

 

Il conflitto tra l’esercito e le RSF, scoppiato a Khartoum nell’aprile 2023, ha generato quella che l’ONU considera una delle peggiori crisi umanitarie al mondo.

 

L’esercito non ha ancora commentato la presunta perdita del quartier generale di Al-Fashir, ma il suo comandante, Abdel Fattah Al-Burhan, ha discusso con l’ambasciatore turco Fatih Yildiz di questioni come gli sforzi per revocare l’assedio alla capitale della regione, secondo una nota ufficiale.

 

Come riportato da Renovatio 21, il comandante delle Forze di supporto rapido (RSF) paramilitari sudanesi, Mohamed Hamdan Dagalo, ha prestato giuramento come capo di un governo rivale del Sudan.

 

Come riportato da Renovatio 21, la RSF aveva annunciato un «governo di pace e unità» parallelo ancora lo scorso febbraio.

 

Le stragi nel Paese non si contano. Due mesi fa si era consumato un orribile massacro a seguito di un attacco aereo ad un mercato. Settimane fa c’era stato un attacco ad un ospedale.

 

Come riportato da Renovatio 21, a fine 2024 le fazioni rivali sudanesi avevano interrotto i negoziati.

 

Il conflitto ha casato già 15 mila morti e 33 mila feriti. Le Nazioni Unite hanno descritto la situazione umanitaria in Sudan come una delle crisi più gravi al mondo. Mesi fa la direttrice esecutiva del Programma Alimentare Mondiale (WFP), Cindy McCain, aveva avvertito che la guerra di 11 mesi «rischia di innescare la più grande crisi alimentare del mondo».

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Gli USA sono stati accusati l’estate scorsa di aver sabotato gli sforzi dell’Egitto per portare la pace in Sudan.

 

Le tensioni in Sudan hanno portato perfino all’attacco all’ambasciata saudita a Karthoum, mentre l’OMS ha parlato di «enorme rischio biologico» riguardo ad un attacco ad un biolaboratorio sudanese.

 

Come riportato da Renovatio 21, il generale Abdel Fattah al-Burhan, leader de facto e capo dell’esercito della nazione africana dilaniata dalla guerra, due mesi fa è stato oggetto di un tentato assassinio via drone.

 

Il Paese è stato svuotato dei suoi seminaristi.

 

La Russia nel frattempo fa ha annunziato l’apertura di una base navale in Sudan.

 

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Geopolitica

Lavrov: falchi europei minano i negoziati tra Russia e Stati Uniti

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L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump sta affrontando pressioni «incredibili» da parte dei «falchi» in Europa e in Ucraina, determinati a far fallire i negoziati con la Russia, ha dichiarato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.   Queste affermazioni sono state rilasciate durante un’intervista al canale YouTube ungherese Ultrahang, trasmessa domenica.   La Russia non intende influenzare né «interferire» nelle «decisioni interne» della leadership statunitense, che sta subendo crescenti pressioni nel contesto degli sforzi di riavvicinamento con Mosca avviati sotto Trump, ha precisato Lavrov.   «Non vogliamo creare difficoltà agli Stati Uniti, che sono sottoposti a una pressione enorme e straordinaria da parte dei “falchi” europei», di Volodymyr Zelens’kyj dell’Ucraina e «di altri che si oppongono a qualsiasi cooperazione tra Stati Uniti e Russia su qualsiasi questione», ha detto Lavrov.

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«Ci sono molte persone poco ragionevoli che cercano di influenzare i politici di Washington, utilizzando ogni mezzo per ostacolare un processo che avrebbe potuto già raggiungere i suoi obiettivi».   Coloro che tentano di sabotare i negoziati tra Washington e Mosca stanno «cercando di distogliere il presidente Trump dalla linea che ha ripetutamente sostenuto in passato», ha aggiunto Lavrov. Il presidente degli Stati Uniti ha più volte dichiarato che il conflitto in Ucraina deve essere risolto in modo definitivo, una posizione ribadita chiaramente durante l’incontro con il suo omologo russo, Vladimir Putin, in Alaska, ha sottolineato il ministro.   «Tutti concordano che il modo migliore per porre fine alla terribile guerra tra Russia e Ucraina sia raggiungere un accordo di pace definitivo, che metta fine al conflitto, e non un semplice cessate il fuoco. Questo è essenziale», ha affermato.   I recenti cambiamenti nella retorica statunitense, «quando ora si parla di “nient’altro che un cessate il fuoco, un cessate il fuoco immediato, lasciando poi che la storia giudichi”, rappresentano un cambiamento molto radicale», ha osservato Lavrov.   «Questo indica anche che gli europei non stanno fermi, non mangiano e cercano di forzare la mano a questa amministrazione».   Mosca ha dichiarato di perseguire una soluzione duratura al conflitto ucraino, piuttosto che una pausa temporanea. Tuttavia, Kiev e i suoi alleati occidentali hanno ripetutamente richiesto un cessate il fuoco immediato, che Mosca considera un’opportunità per l’Ucraina di riorganizzare le sue forze armate e riarmarsi.  

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