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Politica

Trump incriminato dal gran giurì di Manhattan: USA in fase Berlusconi

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L’ex presidente americano Trump è stato incriminato da un gran giurì di Manhattan per il presunto pagamento di danaro all’ex porno star Stormy Daniels. Lo riporta il New York Times, che ha fonti in una vicenda di cui non ci sono ancora, da parte della Giustizia, comunicazioni ufficiali. L’accusa infatti è ancora sigillata.

 

L’incriminazione arriva a campagna elettorale per le elezioni presidenziali 2024 praticamente avviata, con Trump che si presenta come vero contendente alla Casa Bianca, avendo ora più di 30 punti di distacco sul rivale «interno» più quotato, il governatore della Florida Ron De Santis, proponendosi quindi come vera minaccia all’establishment democratico.

 

Le accuse esatte emesse dal gran giurì non sono ancora note, ma il NYT si aspetta che vengano annunciate nei prossimi giorni dall’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan. I pubblici ministeri che lavorano per il procuratore distrettuale Alvin L. Bragg chiederanno a Trump di costituirsi per affrontare le accuse – i capi di imputazione sarebbero 34 – in tribunale.

 

Trump la settimana scorsa avrebbe già fatto sapere che vorrà essere ammanettato.

 

Il testimone principale dell’accusa nel caso è l’ex avvocato di Trump Michael Cohen, che ha pagato Stormy Daniels 130mila dollari per farla tacere su una notte di sesso con Trump mentre era ospite ad un evento golfistico. Cohen ha affermato che Trump gli ha ordinato di acquistare il suo silenzio (contrariamente a una lettera del 2018 del suo avvocato che affermava il contrario) e afferma che l’organizzazione Trump ha contribuito a insabbiarlo.

 

Commentatori politici fanno notare che, anche qualora Trump lo avesse fatto, si tratterebbe di misdeamenor, ossia un «reato minore» che il procuratore distrettuale Bragg vuole però innalzare a «felony», ossia reato penale grave. Il procuratore Bragg aveva dapprima rifiutato il caso, come avevano fatto i suoi predecessori, incluso il procuratore Cyrus Vance jr., figlio dell’ex segretario di Stato Cyrus Vance.

 

Si tratta di una vicenda unica: Trump è il primo ex presidente nella storia degli Stati Uniti ad affrontare accuse penali. Non è ancora chiaro cosa potrebbe succedere: i presidenti e gli ex presidenti USA sono protetti dai cosiddetti Secret Services, un ente armato la cui unica funzione è la protezione degli inquilini della Casa Bianca. Cosa succederà, se andassero ad arrestare Trump in casa (come nel caso del raid FBI a Mar-a-Lago), nessuno lo sa. Così come non è chiaro cosa può accadere quando De Santis, governatore della Florida, rifiuterà (come pare) di estradare Trump nella sua Nuova York.

 

Tutta la situazione è per gli USA davvero terra incognita. Tuttavia, non lo è per l’Italia. Silvio Berlusconi, ricordiamo, subì la continua pressione della magistratura per almeno due decadi. Come in America ora, anche in Italia i media mainstream erano tutti a fare un tifo sfegatato per qualsiasi inchiesta contro Berlusconi, da quelle legate al fisco a quelle di sapore ben più boccaccesco della storia di Stormy Daniels, che per il facitore delle «cene eleganti» è davvero robetta (lì Trump ha davvero tanto da imparare).

 

Come in America ora, anche in Italia c’era una grande fetta della popolazione contro il tycoon dato alla politica, che veniva demonizzato sino all’isteria più parossistica – grazie all’industria culturale fatta di giornali, editori, comici che esprimevano fantasie sempre più violente, nella chiara volontà di azzerare il personaggio. In USA chiamano questa forma di psicosi Trump Derangement Syndrome (Sindrome da disturbo Trump), in Italia, forse per mancanza di acume a destra, non abbiamo mai trovato un’espressione così efficace.

 

I ricordi delle storie delle Olgettine, con le forze dell’Ordine che entrano dal contabile per vedere quanti soldi Berlusconi pagava le sue ospiti, ci fa capire che in Italia siamo andati in fondo a questo processo istituzionale di character assasination in cui è incappato Trump. (Per inciso: Trump aveva invitato Berlusconi al ballo di inizio presidenza, nel gennaio 2017. Berlusconi, malgrado sia riconosciuto come una sorta di «maestro», ossia di «precedente» di Trump, non andò: le malelingue dicono che a Silvio Donald non piaccia…  che forse dietro possa esserci una storia di femmine?)

 

L’uso della Giustizia per fini politici l’abbiamo visto, e non ce lo siamo dimenticati – noi. Forse l’attuale governo, fatto di alleati di Berlusconi, forse sì: non vi è una minima vera riforma della magistratura ora in discussione.

 

Tuttavia, in America potrebbero superarci, e mettere Trump in galera con gli assassini, dopo averlo umiliato con le manette e la perp walk, la camminata del reo davanti ai flash dei fotografi portata ad arte da Rudolph Giuliani negli anni Ottanta quando distrusse le famiglie mafiose.

 

Secondo alcuni, potrebbe essere una manovra per scatenare una reazione dei supporter trumpiani – quei MAGA definiti oramai terroristi, attaccati in modo virulento dai discorsi allucinati e minacciosi di Biden – di modo da far scattare la repressione. Esattamente la manovra che fu il 6 gennaio 2021.

 

Come scritto da Renovatio 21, tuttavia, i moti conseguenti all’arresto di Trump potrebbero essere una via per la pace mondiale.

 

 

 

 

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Politica

Brigitta Macron contro le femministe: «stupide stronze»

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La moglie del presidente francese Emmanuel Macron, Brigitte, ha provocato un’ondata di indignazione dopo aver definito le manifestanti femministe «salles connes», cioè «stupide stronze».

 

All’inizio di questa settimana è emerso un video (poi cancellato) in cui la first lady francese, domenica scorsa, chiacchierava in privato nel backstage con l’attore e comico ebreo sefardita Ary Abittan, in passato accusato di stupro. L’artista 51enne era in tournée per la prima volta dopo che i giudici istruttori avevano archiviato il caso per mancanza di prove.

 

La sera precedente, il collettivo femminista Nous Toutes («Tutte noi») aveva fatto irruzione nel suo spettacolo di cabaret: alcune attiviste, con maschere raffiguranti il volto dell’attore e la scritta «stupratore», si erano alzate in mezzo al pubblico gridando «Abittan stupratore» prima di essere accompagnate fuori.

 

Nel video trapelato, Abittan scherza sul fatto di sentirsi ancora nervoso, probabilmente temendo il ritorno delle manifestanti. Si sente chiaramente Brigitte Macron rispondere in tono scherzoso: «Se ci sono delle stupide stronze, le cacceremo via».

 

Martedì un portavoce dell’Eliseo ha spiegato che la first lady stava solo cercando di tranquillizzare l’attore e che il suo commento era diretto unicamente ai metodi radicali usati per interrompere lo spettacolo.

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Nonostante la precisazione, le reazioni sono state immediate e trasversali: politici di tutti gli schieramenti, attivisti e personalità del mondo del cinema hanno condannato le parole.

 

La segretaria nazionale dei Verdi, Marine Tondelier, le ha definite «estremamente gravi»; la senatrice LR Agnès Evren le ha giudicate «profondamente sessiste». Persino l’ex presidente François Hollande ha criticato la scelta lessicale della first lady. L’attrice Judith Godrèche, divenuta simbolo della lotta contro le violenze sessuali nel cinema francese dopo aver denunciato abusi subiti da minorenne, ha chiesto la fine di questi comportamenti nel settore culturale e ha pubblicato un breve messaggio su Instagram contro le dichiarazioni di Brigitte Macron. Il collettivo Nous Toutes ha poi trasformato la frase in un hashtag virale sui social.

 

Brigitta Macron era già finita al centro dell’attenzione nei mesi scorsi per una lunga vicenda giudiziaria legata alle teorie complottiste che la descrivono come transgender. Una sentenza di quest’anno ha condannato e multato le due donne che avevano diffuso la falsa notizia, riaccendendo il dibattito sulle molestie online contro le figure pubbliche.

 

Il caso aveva avuto risonanza internazionale dopo che la commentatrice americana Candace Owens ne aveva ripreso le accuse, per poi dichiarare che i Macron avessero ordinato il suo assassinio.

 

Come riportato da Renovatio 21, Macron aveva chiesto personalmente a Trump di intercedere con la Owens per farla smettere di parlare dell’incredibile teoria per cui la Brigitta sarebbe nata uomo.

 

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Immagine di Mélanie Praquin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Trump: Zelens’kyj deve indire le elezioni

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Il presidente statunitense Donald Trump ha invitato l’Ucraina a convocare elezioni, mettendo in dubbio le autentiche prerogative democratiche del Paese in un’intervista a Politico diffusa martedì.   Trump ha lanciato una nuova provocazione a Volodymyr Zelens’kyj, il cui quinquennio presidenziale è terminato a maggio 2024, ma che ha declinato di indire consultazioni elettorali presidenziali, invocando la legislazione di emergenza bellica.   Lo Zelens’kyj era stato scelto alle urne nel 2019 e, a dicembre 2023, ha annunciato che Kiev non avrebbe proceduto a elezioni presidenziali o legislative fintantoché perdurasse lo stato di guerra. Tale regime è stato decretato in seguito all’acutizzazione dello scontro con la Russia a febbraio 2022 e, da allora, è stato prorogato più volte dall’assemblea nazionale.   Trump ha dichiarato a Politico che la capitale ucraina non può più addurre il perdurante conflitto come pretesto per rinviare il suffragio. «Non si tengono elezioni da molto tempo», ha dichiarato Trump. «Sai, parlano di democrazia, ma poi si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».   Rispondendo a un quesito esplicito sull’opportunità di un voto in Ucraina, Trump ha replicato «è il momento» e ha insistito che si tratta di «un momento importante per indire le elezioni», precisando che, pur «stiano usando la guerra per non indire le elezioni», gli ucraini «dovrebbero avere questa scelta».   Come riportato da Renovatio 21, il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha spesse volte dichiarato di considerare illegittimo il governo di Kiev, sostenendo quindi per cui firmare un accordo di pace con esso non avrebbe vera validità.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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Tentativo di colpo di Stato in Benin

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Un gruppo di militari del Benin, paese dell’Africa occidentale, ha proclamato la propria ascesa al potere attraverso la tv di stato SRTB. Tuttavia, diverse fonti hanno indicato che un assalto alla residenza presidenziale è fallito.

 

I soldati hanno sfruttato la rete televisiva per annunciare la sospensione delle istituzioni nazionali e della Costituzione beninese, ordinando la chiusura di tutte le frontiere aeree, terrestri e marittime. Hanno designato il tenente colonnello Pascal Tigri come presidente del Comitato Militare per la Rifondazione (CMR), «a partire da oggi». In seguito, il segnale del canale è stato tagliato.

 

Il ministro degli Esteri del Benin, Olushegun Adjadi Bakari, ha riferito all’agenzia Reuters che «un piccolo gruppo» di militari ha orchestrato un tentativo di golpe, ma le truppe leali al presidente Patrice Talon sono al lavoro per ristabilire la normalità. «C’è un tentativo in corso, ma la situazione è sotto controllo… La maggior parte dell’esercito rimane fedele e stiamo riprendendo il dominio della faccenda», ha precisato.

 

Il governo ha poco fa diffuso un video in lingua francese per spiegare l’accaduto. A parlare è Sig. Alassane Seidou, ministro dell’Interno e della Pubblica Sicurezza del Paese.

 

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«Cari concittadini, Nelle prime ore del mattino di domenica 7 dicembre 2025, un piccolo gruppo di soldati ha scatenato un ammutinamento con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato e le sue istituzioni. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica».

 

«La loro risposta ha permesso loro di mantenere il controllo della situazione e di sventare la manovra. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica. Pertanto, il Governo invita la popolazione a continuare a svolgere le proprie attività come di consueto».

 

A Cotonou, la principale città del Benin, si sono sentiti spari sin dalle prime ore di domenica, sebbene le voci di un colpo di stato non siano ancora verificate, ha dichiarato Maxim Meletin, portavoce dell’ambasciata russa nel paese africano, all’agenzia African Initiative.

 

«Dalle 7 del mattino, abbiamo rilevato colpi d’arma da fuoco e detonazioni di granate nei dintorni della residenza presidenziale. Stando a indiscrezioni non confermate, militari beninesi si sono presentati alla tv nazionale per proclamare la destituzione del presidente», ha proseguito Meletin.

 

Una fonte vicina a Talon, interpellata da Jeune Afrique, ha raccontato che uomini in divisa hanno provato a irrompere nella residenza presidenziale intorno alle 6 del mattino ora locale, con il capo dello Stato ancora all’interno. L’incursione sarebbe stata sventata dalle guardie di sicurezza, e il presidente sarebbe illeso.

 

Tuttavia, questi dettagli non hanno ricevuto conferme indipendenti da canali ufficiali. Unità dell’esercito fedeli al regime in carica hanno risposto con una controffensiva. Si parla di elicotteri che pattugliano Cotonou, mentre varie zone del centro urbano risultano bloccate.

 

Talon è al timone del Benin dal 2016; il suo secondo e ultimo mandato scadrà nel 2026. La Carta Costituzionale ammette soltanto due quinquenni presidenziali, e le urne per il dopo-Talon sono in programma il 12 gennaio 2026.

 

Nell’agosto 2025, la maggioranza al governo ha sostenuto la corsa alla presidenza del ministro dell’Economia e delle Finanze, Romuald Wadagni.

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