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Economia

Tremonti contro Draghi: «è in arrivo la tempesta»

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In un’intervista a Il Giornale, l’ex ministro delle Finanze Giulio Tremonti si è preso una piccola vendetta contro Mario Draghi e l’oligarchia finanziaria contro la quale ha combattuto durante e dopo la crisi finanziaria del 2008.

 

Il Tremonti, uomo di cultura, parte con una citazione scespiriana:

 

«”What’s past is prologue” (ciò che è passato è il prologo, La Tempesta, atto II, ndr). Questo verso di Shakespeare è saggiamente scritto sul frontone degli archivi nazionali di Washington. Da ieri è iniziata la tempesta sul mercato finanziario europeo» annuncia Tremonti.

 

«È evidente nei volumi delle vendite, nel loro oggetto, nella rapidità e nell’azione che viene dal mercato finanziario nel suo insieme. Vista l’intensità di questa tempesta, per comprenderla bisogna capire da dove e da quando arriva. Il prologo era già nel passato. E si può andare anche più indietro dell’ultimo decennio. Seguendo una esoterica traccia della storia».

 

Tremonti, volando sempre ad alta quota, passa quindi da Shakespeare a Goethe e alle leggende alchemiche.

 

«Alchimia: la trasformazione della materia in oro. Leggende che transitano nel Faust di Goethe, che per inciso ha fatto il ministro del Tesoro a Weimar ed è stato così che ha acquisito interesse tanto per il denaro quanto per la sua magia. I biglietti alati voleranno più in alto di quanto l’umana fantasia, per quanto si sforzi, può arrivare».

 

«Nel Faust c’è l’intuizione della carta moneta, che è la via maestra. Ma c’è anche la via storta: il sovrano è disperato, le casse sono vuote, arriva Lucifero. Il sovrano dice: Non ho più denaro neanche per pagare i minatori che cavano l’oro dalla miniera. Lucifero ha la soluzione: Non è necessario che tu estragga l’oro, è sufficiente che tu dica che l’oro c’è. E tutti ti crederanno».

 

La metafora letteraria è altissima e fulminante.

 

Ma si va oltre, descrivendo il destino della globalizzazione da Marx al metaverso passando per Leopardi. Per Tremonti, che cita un suo libro, vi sarebbero tre profezie: «la prima è quella di Marx sulla globalizzazione, che evoca demoni non più controllabili; Leopardi è sulla fine della globalizzazione, come è stato per l’Impero romano quando tutti diventano cittadini romani ma nessuno si sentiva più romano; e infine quella di Goethe, che è il passaggio dal reale a quello che oggi chiameremmo metaverso. Dal cogito al digito ergo sum».

 

Si prosegue con la citazione della Montagna Incantata di Thomas Mann, che secondo il lombardo spiegherebbe un passaggio necessario verso il mondo digitale: «è il dialogo tra il massone Settembrini e il gesuita Naphta. Il denaro sarà imperatore fino alla completa demonizzazione della vita».

 

Altre parole che risuonano assai: la demonizzazione della vita. Quello che noi chiamiamo Cultura Della Morte, Necrocultura.

 

Poi, ecco che a spiegare la situazione monetaria arriva Collodi: «arriviamo a Pinocchio e all’albero degli zecchini d’oro, al gatto e alla volpe. È ancora l’illusione della facile moltiplicazione del denaro. La fine è nella scomparsa del denaro. Compresi i quattro zecchini incautamente affidati».

 

Quindi, l’attacco alla BCE e a Mario Draghi, già vertice di Francoforte.

 

«Nel 2009-2010 si pensa che la crisi della globalizzazione possa trovare una soluzione finanziaria e non strutturale. Il governo Berlusconi propose di adottare un Global legal standard passando dal free al fair trade. L’idea, pure votata dall’OCSE, fu battuta dal Financial stability board, efficacemente presieduto da Mario Draghi. Il quale, sfortunatamente, di stability ne produsse ben poca».

 

«Ed è così che si passa al piano B: la illimitata creazione dal nulla del denaro. È così che in Europa la BCE ha superato i due principi dell’euro: l’inflazione come un plafond e il divieto di finanziare i governi».

 

«È così che si crea la moneta dal nulla e la BCE diventa una specie di bad bank. Quella che poteva essere una tecnica di emergenza, è diventata una lungodegenza. Durata 10 anni, con illusoria e universale soddisfazione. Ed è così che il whatever it takes è diventato un whatever mistakes: son stati commessi tutti gli errori possibili».

 

Come noto, whatever it takes («qualunque cosa costi») è stata una celeberrima frase che significa la garanzia  del salvataggio dell’euro da parte della BCE pronunziata nel 2021 (durante la crisi del debito sovrano europeo) dall’allora governatore Mario Draghi. Con il quale Tremonti ha qualche trascorso diretto.

 

Rammentiamo infatti quando il 5 agosto 2011, il Draghi , assieme al governatore BCE uscente Trichet, scrisse la famosa lettera estiva che destabilizza Tremonti e il governo Berlusconi, e che dà il la alla caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011, sotto l’arma finanziaria dello spread.

 

Vale la pena di ricordare anche il contesto geopolitico: Muhammar Gheddafi, il capo del Paese che riforniva energeticamente l’Italia, era stato trucidato poco prima. Come noto, le conseguenze furono l’installazione di un governo tecnocratico (quello di Mario Monti) e uno tsunami migratorio rinforzato dalla misteriosa venuta di un nuovo papa ultra-immigrazionista, un’ondata non ancora estintosi, nonostante pandemia e crisi totale dei tempi recenti.

 

Ma torniamo alla potente intervista di Tremonti al Giornale.

 

L’ex ministro ha un’immagine precisa in mente.

 

«Due anni fa, all’Eurotower, per il cambio di consegne tra i presidenti, in platea ad applaudire c’erano i Capi di Stato e di governo di tutta Europa. Sarebbe stato difficile vedere De Gasperi o Adenauer, Mitterand o Cossiga correre ad applaudire i banchieri».»

 

Secondo Tremonti, siamo quindi alla fine di una sorta di ciclo cosmico, dove la casta dei banchieri ha soggiogato i popoli e i loro politici.

 

«L’immagine che ci trasferisce tale iconografia è questa: l’asse del potere si è spostato dai popoli e dai governi alla finanza. Oggi il potere dei banchieri viene contestato dal mercato e dalla realtà. È la fine di un decennio. Dieci anni iniziati con l’austerità e passati attraverso la magia, che a un certo momento ha avuto anche l’evoluzione nell’idea del debito buono. E adesso il processo si è fermato».

 

L’ex ministro infine ha una parola sull’inflazione come questione politica e non economica, con la crisi a devastare l’uomo medio, il povero Pinocchio, il cittadino italiano già vessato da tasse, bollette e impoverito in modo irrimediabile.

 

«La crisi è arrivata prima e si svilupperà drammatica nei prossimi mesi, con il forte impatto dell’inflazione sugli strati più bassi della società. Nel dopoguerra la lira fu salvata e l’inflazione, allora detta carovita, fu bloccata da Einaudi. In questo momento è difficile vedere una politica capace di fare lo stesso».

 

 

 

 

 

Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

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Economia

Trump grazia l’ex CEO del gigante delle cripto Binance

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Il presidente statunitense Donald Trump ha concesso la grazia presidenziale a Changpeng Zhao, noto come «CZ», fondatore ed ex amministratore delegato di Binance, la principale piattaforma di scambio di criptovalute a livello globale. Lo riporta il Wall Street Journal.

 

L’annuncio, proveniente dalla Casa Bianca, giunge dopo mesi di vigorose attività di lobbying e rappresenta un cambiamento significativo nella politica americana verso il settore delle criptovalute, con chiare ripercussioni sugli interessi familiari di Trump.

 

La grazia corona una serie di iniziative prolungate da parte di Zhao e della sua azienda per ottenere indulgenza, tra cui il sostegno attivo a World Liberty Financial, la piattaforma crypto associata alla famiglia Trump. Questa iniziativa, promossa dai figli del presidente Eric e Donald Jr., ha registrato un’impennata di valore – valutata in oltre 5 miliardi di dollari di ricchezza teorica – grazie a collaborazioni con entità legate a Binance, come un’intesa da 2 miliardi di dollari con un fondo degli Emirati Arabi Uniti che ha impiegato lo stablecoin USD1 di World Liberty per investimenti azionari.

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Zhao, un tempo tra i leader più influenti nel panorama degli asset digitali, era stato condannato nell’aprile 2024 a quattro mesi di detenzione dopo un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense nel 2023. L’intesa prevedeva un’ammissione di responsabilità per violazioni antiriciclaggio, una sanzione record di 4,3 miliardi di dollari per Binance e una multa personale di 50 milioni per CZ, che aveva lasciato la carica di CEO.

 

Gli inquirenti federali avevano imputato alla piattaforma di aver favorito operazioni illecite con soggetti sanzionati, inclusi gruppi terroristici, e di non aver adottato misure sufficienti contro il riciclaggio di denaro. Il procedimento contro Zhao è stato uno dei casi più rappresentativi della campagna dell’amministrazione Biden contro le grandi exchange crypto, vista da molti come un’eccessiva stretta repressiva.

 

Completata la pena in una prigione federale a bassa sicurezza in California e poi in un centro di reinserimento, Zhao era stato liberato nel settembre 2024. Ci sono voluti quasi dodici mesi di sforzi per ottenere la grazia: all’inizio del 2025, l’azienda ha assunto il lobbista Ches McDowell, legato a Donald Trump Jr., per influenzare i decisori a Washington.

 

Fonti informate indicano che il team di Trump ha colto nel caso di Zhao l’occasione per avviare una «nuova era» nelle normative sulle criptovalute, favorendo l’innovazione anziché la repressione. Numerosi collaboratori del presidente considerano le imputazioni come motivazioni politiche, tipiche della più ampia «guerra alle crypto» promossa da Biden.

 

La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha giustificato la scelta con toni decisi: «il presidente Trump ha esercitato il suo potere costituzionale concedendo la grazia al signor Zhao, perseguitato dall’amministrazione Biden nella sua guerra alle criptovalute». E ha proseguito: «la guerra dell’amministrazione Biden contro le criptovalute è terminata». Interrogato dalla stampa, Trump ha sminuito l’importanza: «Molte persone sostengono che non avesse commesso alcun illecito. L’ho graziato su indicazione di persone affidabili, pur non conoscendolo di persona».

 

La decisione non manca di polemiche. Critici come la senatrice democratica Elizabeth Warren l’hanno bollata come un «evidente conflitto di interessi»: «Prima CZ si dichiara colpevole di riciclaggio, poi sostiene un’impresa crypto di Trump e fa lobbying per la grazia. Oggi Trump ricambia il favore».

 

Binance, che aveva visto prelievi per un miliardo dopo che CZ si era dichiarato colpevole, ha accolto la notizia come «incredibile» e ha espresso gratitudine a Trump per il suo impegno a trasformare gli Stati Uniti nella «capitale mondiale delle crypto».

 

Zhao, azionista di maggioranza di Binance fondata nel 2017, ha scritto sui social: «Profondamente grato per la grazia di oggi e al presidente Trump per aver difeso equità, innovazione e giustizia. Ci impegneremo al massimo per fare dell’America la capitale delle crypto».

 

Questa grazia non è solo una rivalsa personale per CZ, che ora potrebbe riprendere il controllo attivo di Binance, ma un segnale politico netto: l’amministrazione Trump mira a favorire il settore del Bitcoin e delle criptovalute, dissipando le ombre del passato.

 

In un contesto in cui Trump ha già graziato figure come Ross Ulbricht (come aveva promesso in campagna elettorale), ideatore della piattaforma di scambio del dark web Silk Road, il messaggio è inequivocabile: Washington è disposta a puntare sulle criptovalutea anche a costo di controversie.

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Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa la società Trump Media aveva investito 2 miliardi in bitcoini. Il bitcoin in quelle settimane toccava il record di 120.000 dollari.

 

In primavera i figli di Trump con il vicepresidente USA JD Vance avevano presenziato alla conferenza Bitcoin di Las Vegas esaltano le criptovalute. Eric Trump, figlio di Donald, ha avuto a dichiarare che con cripto e blockchain in dieci anni potremmo assistere all’estinzione degli istituti bancari.

 

Trump – che ha nominato le criptovalute come riserva strategica nazionale – aveva ospitato, sotto gli auspici del suo zar per l’AI e le crypto Davis Sacks, un grande evento per le monete elettroniche alla Casa Bianca praticamente appena insediatosi. Tra i primi decreti esecutivi firmati da Trump vi è quello che vieta le CBDC, cioè le valute digitali delle Banche centrali.

 

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Immagine di Web Summit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Picco del prezzo del petrolio dopo le sanzioni statunitensi alla Russia

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I prezzi del petrolio sono aumentati notevolmente in seguito all’annuncio da parte degli Stati Uniti di sanzioni contro i colossi russi Rosneft e Lukoil.   I future sul greggio Brent, benchmark globale, sono saliti di oltre il 5% a 65,99 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate (WTI) statunitense è salito del 5,6% a 61,79 dollari giovedì.   Nonostante i prezzi siano leggermente scesi nelle prime contrattazioni di venerdì, entrambi i benchmark sono rimasti sulla buona strada per un aumento settimanale del 7%, il più grande dall’inizio di giugno.   La Casa Bianca ha descritto le ultime sanzioni come un passo per «incoraggiare Mosca ad accettare un cessate il fuoco». La Russia afferma di rimanere aperta alla diplomazia, ma insiste sul fatto che qualsiasi accordo di pace debba affrontare le cause profonde del conflitto. Ha accusato Kiev e i suoi sostenitori occidentali di rifiutarsi di negoziare in buona fede e di minare gli sforzi di pace attraverso le sanzioni.

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Secondo quanto riportato dai media, che citano fonti commerciali, le sanzioni hanno spinto le principali compagnie petrolifere statali cinesi a sospendere gli acquisti di greggio russo via mare a breve termine. Fonti del settore hanno inoltre avvertito che le raffinerie in India, il maggiore acquirente di petrolio russo via mare, e in Turchia, il terzo, potrebbero ridurre le importazioni nelle prossime settimane.   «I flussi verso l’India sono a rischio in particolare… le sfide per le raffinerie cinesi sarebbero più contenute, considerando la diversificazione delle fonti di greggio e la disponibilità delle scorte», ha detto a Reuters Janiv Shah, vicepresidente dell’analisi dei mercati petroliferi presso Rystad Energy.   Si prevede che le misure avranno ripercussioni sul mercato, poiché gli acquirenti di greggio russo cercheranno alternative finché non ci sarà chiarezza sull’applicazione delle misure, ha dichiarato al Wall Street Journal Richard Bronze, responsabile geopolitica di Energy Aspects. Bronze prevede che il Brent potrebbe avvicinarsi ai 70 dollari al barile nei prossimi giorni. «Solo la decisione di fare questo annuncio provocherà un’onda d’urto notevole sul mercato», ha affermato.   La Russia ha da tempo avvertito che le sanzioni sono illegali e si ritorcono contro chi le impone. Commentando le nuove restrizioni giovedì, il presidente Vladimir Putin le ha definite una «mossa ostile», ma ha affermato che non avrebbero avuto un impatto significativo sull’economia russa. Ha aggiunto che le sanzioni rappresentano un altro tentativo di Washington di fare pressione su Mosca, sottolineando che «nessun Paese che si rispetti agisce mai sotto pressione».  

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Economia

La Volkswagen affronta la crisi dei chip dopo chel’Olanda ha sequestrato la fabbrica cinese

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La principale casa automobilistica tedesca, Volkswagen, rischia di sospendere la produzione in un importante stabilimento a causa della carenza di semiconduttori, provocata dal sequestro di un produttore di chip di proprietà cinese da parte dei Paesi Bassi. Lo riporta il tabloide tedesco Bild, citando fonti anonime.

 

A fine settembre, il governo olandese ha preso il controllo dello stabilimento Nexperia di Nimega, adducendo problemi legati alla proprietà intellettuale e alla sicurezza. La settimana scorsa, il New York Times, dopo aver esaminato documenti di un tribunale di Amsterdam, ha rivelato che la decisione è stata influenzata dalle pressioni di funzionari statunitensi.

 

Wingtech, la società madre di Nexperia, è stata inserita nella lista nera di Washington nel 2024, nell’ambito della guerra commerciale con la Cina.

 

All’inizio di ottobre, Pechino ha reagito vietando a Nexperia l’esportazione di chip finiti dalla Cina, componenti essenziali per le centraline elettroniche dei veicoli Volkswagen.

 

Mercoledì la Bild ha riferito che Volkswagen, proprietaria anche di Skoda, Seat, Audi, Porsche, Lamborghini e Bentley, non sembra avere attualmente alternative ai chip di Nexperia. Fonti interne hanno indicato che, a causa della carenza di semiconduttori, la produzione nello stabilimento di Volsburgo potrebbe essere interrotta a partire da mercoledì prossimo, iniziando con la Volkswagen Golf e poi estendendosi ad altri modelli.

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Se la situazione non dovesse migliorare, la sospensione della produzione potrebbe riguardare anche gli stabilimenti di Emden, Hannover, Zwickau e altri, secondo una fonte informata.

 

Secondo il rapporto, Volkswagen ha avviato negoziati con le autorità tedesche per un programma di riduzione dell’orario di lavoro, sostenuto dallo Stato, per decine di migliaia di dipendenti.

 

Bild ha avvertito che la crisi dei chip potrebbe colpire anche altre case automobilistiche tedesche. Rappresentanti di BMW e Mercedes hanno dichiarato al giornale di stare monitorando la situazione. L’industria automobilistica tedesca è già in difficoltà a causa degli elevati costi energetici, legati alle sanzioni dell’UE contro la Russia per il conflitto in Ucraina, e all’aumento dei dazi americani.

 

Un portavoce dello stabilimento Volkswagen di Zwickau ha definito «errato» il rapporto di Bild, secondo quanto riferito all’agenzia AFP. Tuttavia, una lettera interna visionata dalla stampa ha ammesso che «non si possono escludere ripercussioni sulla produzione a breve termine» a causa della carenza di semiconduttori.

 

La tensione nelle relazioni Washington-Pechino, in ispecie con riguardo i microchip – che costituiscono, almeno per il momento, lo «scudo» contro l’invasione di Taiwan da parte dell’Esercito di Liberazione del Popolo della Repubblica Popolare Cinese – tocca sempre più apertamente non solo Cina e USA, ma l’intera economia mondiale, con effetti devastanti sull’Europa, che non è riuscita, nonostante i tentativi, di crearsi una sua autonomia sovrana sulla produzione di questo componente essenziale.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso era emerso che le fabbriche di semiconduttori con tecnologia avanzata olandese presenti a Taiwan potrebbero essere spente da remoto nel caso di invasione dell’isola da parte di Pechino. In particolare si tratterebbe delle fabbriche del colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che impiega tecnologie ultraviolette di estrema precisione (chiamate in gergo EUV) fornite da un’azienda olandese, la ASML. Tali macchine, grandi come un autobus e dal costo di circa 217 milioni di dollari cadauna, utilizzano onde luminose ad alta frequenza per stampare i chip più avanzati al mondo.

 

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Immagine di Michael Barera via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

 

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