Geopolitica
Torna l’elettricità in Libano..ma per quanto?

Come hanno riportato le televisioni e i media del mondo intero, il Libano, già fiaccato da una crisi economica, finanziaria e umanitaria senza precedenti è in completa crisi energetica. Manca il carburante necessario a far funzionare le centrali elettriche del paese che già negli ultimi tempi erogavano non più di due ore di elettricità al giorno.
Nemmeno i proprietari dei generatori che, nei momenti di crisi di Electricité du Liban – la compagnia pubblica per l’energia elettrica – forniscono a caro prezzo l’elettricità a cittadini e residenti stranieri possono farci nulla. Il carburante sta finendo anche per loro.
Da ieri sera l’elettricità pubblica è tornata in Libano, grazie ad una donazione dell’esercito che ha fornito allo stato 6.000 kilolitri di gasolio che permetterà ai libanesi di tornare alle due ore di elettricità dei giorni scorsi.
Nel frattempo, un’esplosione ha avuto luogo poche ore fa presso la centrale di Zahrani a 8 chilometri da Sidone, nel sud del Libano. Zahrani e Deir Ammar nel nord del paese sono le due centrali elettriche che si sono fermate sabato per penuria di carburante.
Privo di contatti con il mondo esterno, affamato, al buio e pieno di armi da fuoco – sono davvero dappertutto per la presenza di partiti/milizie e come conseguenza della recente guerra civile – il Libano potrebbe esplodere
Cresce anche la pressione diplomatica dell’Iran affinché il governo libanese faccia una richiesta ufficiale di carburante all’Iran come dichiarato da Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli esteri iraniano in questi giorni a Beirut, sfidando dunque le sanzioni americane che vieterebbero all’Iran di esportare petrolio.
Già a metà settembre Hezbollah aveva letteralmente importato petrolio dall’Iran poi redistribuito a diverse zone del paese tramite la compagnia Al-Amana, legata al partito sciita. Parte del carburante era stato offerto in dono ad ospedali, orfanatrofi e a diverse strutture sanitarie.
La mossa aveva suscitato polemiche e accuse di populismo e di oltraggio alla sovranità del Libano da parte di molti oppositori di Hezbollah mentre alcuni osservatori giudicavano inefficace l’operazione, considerando che la maggior parte del petrolio importato dall’Iran non era mai finito ai libanesi ma era stato contrabbandato in Siria.
In tale situazione di sfacelo che si acuisce sempre più sorgono alcune domande: fino a quanto può durare tutto ciò?
Per quanto tempo una popolazione, come quella libanese, con sacche di grande povertà ma abituata ad uno standard generale di vita piuttosto alto – in alcuni casi superiore a quello di molti europei se consideriamo che i liberi professionisti vengono sottoposti ad una tassazione del 10% – può vivere in queste condizioni?
Per quanto tempo una popolazione già divisa lungo inevitabili fratture comunitarie e religiose acuite dalla guerra civile può resistere nel 2021 senza internet?
Per quanto tempo una popolazione già divisa lungo inevitabili fratture comunitarie e religiose acuite dalla guerra civile (1975-1990) – secondo alcuni non è mai davvero terminata – può resistere nel 2021 senza internet?
L’acuirsi crisi energetica potrebbe infatti avere pesanti ripercussioni sulla tenuta del sistema telefonico e sulle telecomunicazioni del Libano.
Privo di contatti con il mondo esterno, affamato, al buio e pieno di armi da fuoco – sono davvero dappertutto per la presenza di partiti/milizie e come conseguenza della recente guerra civile – il Libano potrebbe esplodere. C’è infatti da stupirsi come nonostante l’attuale situazione, aggravata dall’arrivo del coronavirus, nel 2020 ci sia stato «solo» un aumento dei crimini senza scontri e tensioni su larga scala.
Se lo Stato libanese ormai in cancrena e incapace di gestire un territorio, da sempre terreno di scontro di diverse potenze regionali e mondiali, dovesse davvero crollare, le ripercussioni sulla stabilità del Libano e dell’intera regione mediorientale sarebbe davvero pesanti.
Attualmente, basta davvero un nonnulla, una spallata, per dare fuoco alle polveri.
Nicolò Volpe
Geopolitica
«Li prenderemo la prossima volta» Israele non esclude un altro attacco al Qatar

Israele è determinato a uccidere i leader di Hamas ovunque risiedano e continuerà i suoi sforzi finché non saranno tutti morti, ha dichiarato martedì a Fox News l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter.
In precedenza, attacchi aerei israeliani hanno colpito un edificio residenziale a Doha, in Qatar, prendendo di mira alti esponenti dell’ala politica di Hamas. Il gruppo ha affermato che i suoi funzionari sono sopravvissuti, mentre l’attacco è stato criticato dalla Casa Bianca e condannato dal Qatar.
«Se non li abbiamo presi questa volta, li prenderemo la prossima volta», ha detto il Leiter.
L’ambasciatore ha descritto Hamas come «nemico della civiltà occidentale» e ha sostenuto che le azioni di Israele stavano rimodellando il Medio Oriente in modi che gli Stati «moderati» comprendevano e apprezzavano. «In questo momento, potremmo essere oggetto di qualche critica. Se ne faranno una ragione», ha detto riferendosi ai Paesi arabi.
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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene smantellare Hamas sia un obiettivo legittimo, colpire un alleato degli Stati Uniti mina gli interessi sia americani che israeliani.
Leiter ha osservato che Israele «non ha mai avuto un amico migliore alla Casa Bianca» e che Washington e lo Stato Ebraico sono rimaste unite nel perseguire la distruzione del gruppo militante.
Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito del suo ruolo di mediatore, ha dichiarato che tra le sei persone uccise nell’attacco israeliano c’era anche un agente di sicurezza del Qatar.
L’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, ha denunciato l’attacco come un «crimine atroce» e un «atto di aggressione», mentre il ministero degli Esteri di Doha ha accusato Israele di «terrorismo di Stato».
Israele ha promesso di dare la caccia ai leader di Hamas, ritenuti responsabili del mortale attacco dell’ottobre 2023, lanciato da Gaza verso il sud di Israele. L’ambasciatore ha giurato che i responsabili «non sopravviveranno», ovunque si trovino.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

#Qatar / #Palestine / #Israel 🇶🇦🇵🇸🇮🇱: Israeli Air Forces carried out air strikes to assassinate Senior officials of #HAMAS in the city of #Doha.
Reportedly HAMAS negotiation team was targeted with Air-To-Surface Missiles while discussing the ceasefire in the capital of Qatar. pic.twitter.com/WdWuqY6rXq — War Noir (@war_noir) September 9, 2025
🚨🇮🇱🇶🇦🇵🇸 BREAKING: ISRAEL just AIRSTRIKED Hamas’s negotiation team in DOHA, QATAR pic.twitter.com/cTdA5fT4gP
— Jackson Hinkle 🇺🇸 (@jacksonhinklle) September 9, 2025
BREAKING:
Israeli fighter jets struck Qatar’s capital, Doha. An Israeli airstrike in Doha killed Hamas leader in Gaza, Khalil al-Hayya, and three senior members of the group’s leadership, Al Arabiya reports, citing sources. Al Hadath states those in the targeted building… pic.twitter.com/03rwdUbvZ5 — Visegrád 24 (@visegrad24) September 9, 2025
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NEW: Qatar reserves the right to retaliate for the Israeli attack against Doha, Qatari PM says
“We’ve reached a decisive moment; There should be retaliation from the whole region” pic.twitter.com/dKHnqEHNqN — Ragıp Soylu (@ragipsoylu) September 9, 2025
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Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America». «Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me». Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE». Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio». La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».( @realDonaldTrump – Truth Social Post ) ( Donald J. Trump – Sep 09, 2025, 4:20 PM ET )
This morning, the Trump Administration was notified by the United States Military that Israel was attacking Hamas which, very unfortunately, was located in a section of Doha, the Capital of… pic.twitter.com/axQSlL46gW — Fan Donald J. Trump 🇺🇸 TRUTH POSTS (@TruthTrumpPosts) September 9, 2025
“The president views Qatar as a strong ally and friend of the United States and feels very badly about the location of this attack.”
White House press sec. Karoline Leavitt read a statement after Israel’s strike on Hamas leadership in Doha. https://t.co/X3EkiIHoZ7 pic.twitter.com/OdDyR4QcgF — ABC News (@ABC) September 9, 2025
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Geopolitica
Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».
«Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.
Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.
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Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.
«Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.
Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.
Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.
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