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Geopolitica

Tirana, scontri fra polizia e oppositori iraniani. Una vittima e scambi di accuse

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

I leader MEK denunciano la morte di un uomo e centinaia di feriti nel centro a nord-ovest della capitale che ospita migliaia di esponenti e familiari dei mojahedin del popolo iraniano. Il governo albanese parla di operazione legata a un’inchiesta della magistratura, sequestrati dispositivi elettronici e unità informatiche. Teheran rilancia gli attacchi «all’organizzazione terroristica».

 

 

Un morto, centinaia di feriti alcuni dei quali in gravi condizioni per l’uso di spray al peperoncino e ricoverati all’ospedale di Santa Teresa, decine di computer sequestrati, una ferita aperta che rischia di alimentare ulteriori violenze nel futuro prossimo.

 

È il bilancio, contestato dalle autorità di Tirana, del raid compiuto ieri dalla polizia albanese contro il campo profughi Ashraf-3 alla periferie nord-occidentale della capitale, al cui interno vivono da oltre un decennio migliaia di esponenti e familiari dei mojahedin del popolo iraniano (MEK). Il movimento politico dissidente è fra i più attivi nell’opposizione al regime teocratico degli ayatollah che guida la Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979 ed è dichiarato fuorilegge nel proprio Paese.

 

In una nota il gruppo denuncia «l’assalto improvviso, criminale e repressivo» di oltre un migliaio di agenti di polizia, che hanno causato la morte di Abdul Wahab Farajinejad (Ali Mansherari).

 

Da qui l’appello agli Stati Uniti e all’ONU perché si facciano garanti «della sicurezza e del benessere dei residenti di Ashraf». Un comportamento «fuorilegge», prosegue la denuncia, che «viola in modo flagrante molti trattati internazionali» fra i quali la convenzione sullo status dei rifugiati, la dichiarazione universale sui diritti umani e quella europea dei diritti dell’uomo.

 

Dietro il raid (i cui video sono stati rilanciati sui social) vi sarebbe la responsabilità del «governo albanese» che si mostra connivente, affermano i vertici del Mek, col «fascismo religioso» che detiene il potere a Teheran. «Hanno sfondato molte porte, armadi e attrezzature e hanno attaccato i residenti con gas lacrimogeni e spray al peperoncino. Molti computer – conclude il comunicato – sono stati rotti o portati via» in azioni della polizia albanese che ricordano quelle già avvenute in passato in Iraq fra il 2009 e il 2015 per ordine dell’allora premier Nouri al-Maliki a Camp Ashraf.

 

Il gruppo è sospettato di orchestrare attacchi informatici contro istituzioni straniere. Tuttavia, la polizia ha rifiutato di fornire dettagli sull’indagine e le ragioni alla base del raid, compiuto dietro ordine della magistratura albanese per «violazione» degli accordi relativi alla risistemazione del MEK sul territorio.

 

Al contempo, il ministro albanese degli Interni e i vertici della polizia negano ogni coinvolgimento nella morte dell’ospite del centro denunciata dai Mojahedin. Il titolare del dicastero Bledi Cuci ha dichiarato che la morte di una persona anziana «non ha nulla a che fare» con l’intervento delle forze dell’ordine e definisce «inaccettabile, intollerabile e riprovevole» la reazione all’operazione di polizia.

 

Le forze dell’ordine albanesi parlano di 15 agenti e 21 elementi del MEK feriti, oltre al danneggiamento di diverse auto. A innescare la reazione sarebbe stato il sequestro di server e attrezzature informatiche «illegali» detenuti nel centro: al termine dell’operazione gli agenti avrebbero prelevato 96 unità informatiche e circa fra 50 computer portatili e tablet, aggiungendo che vi sarebbe stato «un tentativo di bruciare alcuni documenti».

 

Inoltre, il raid è parte di una inchiesta della Squadra speciale contro il crimine organizzato e la corruzione (SPAK). «L’ufficio del procuratore ha avviato diversi procedimenti penali, ma non posso dirvi – ha tagliato corto il ministro Cuci – perché gli iraniani del Mek sono sospettati». Egli si è anche rifiutato di confermare legami fra il gruppo e i cyber-attacchi del settembre dello scorso anno all’Albania, all’origine del durissimo scontro diplomatico fra Tirana e Teheran con rottura delle relazioni.

 

Sul raid si registra oggi anche l’intervento di Teheran, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri che non risparmia attacchi a quella che definisce una «organizzazione terroristica». Per Nasser Kan’ani il MEK «costituisce una minaccia alla sicurezza del Paese ospitante» a causa della sua natura «intrinsecamente terroristica».

 

Ed è proprio per questa ragione, prosegue, che il governo iracheno – e altre Nazioni nel mondo – si è «rifiutato» di accoglierli. La Repubblica islamica accusa il gruppo di «omicidi e bombardamenti» in passato contro personalità e civili iraniani, godendo in passato «del sostegno» dell’ex dittatore iracheno Saddam Hussein.

 

Dei quasi 17mila iraniani uccisi in attacchi terroristici dalla rivoluzione islamica, circa 12mila erano «vittime» dei Mojahedin.

 

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

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Geopolitica

Charlie Kirk una volta si era chiesto se se l’Ucraina avrebbe cercato di ucciderlo

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L’attivista conservatore Charlie Kirk, ucciso in un attentato, aveva dichiarato di essere minacciato di morte ogni giorno per le sue posizioni critiche, in particolare contro il sostegno finanziario degli Stati Uniti al conflitto ucraino. Si dice che almeno una minaccia di omicidio, attribuita a un portavoce ucraino, potrebbe essere stata diretta personalmente a lui.

 

Nel 2023, il Centro per il contrasto alla disinformazione di Kiev ha accusato Kirk di promuovere la «propaganda russa». Nel 2024, un sito ucraino aveva incluso Kirk e la sua organizzazione, Turning Point USA, in una lista nera comprendente 386 individui e 76 gruppi americani contrari al finanziamento dell’Ucraina.

 

Il transessuale americano Sarah Ashton-Cirillo, già responsabile della comunicazione in lingua inglese per le Forze di Difesa Territoriali ucraine, aveva dichiarato di voler «dare la caccia» a quelli che aveva definito «propagandisti del Cremlino», annunciando un imminente attacco contro una figura vicina al presidente russo Vladimir Putin.

 

Aveva in seguito minacciato anche giornalisti americani, e dichiarato che «i russi non sono esseri umani».

 

 


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«Proveranno a uccidere Steve Bannon, Tucker Carlson o forse me?» si era chiesto Kirk, citando altre note figure conservatrici dei media americani.

 

«Noi non siamo burattini di Putin né propagandisti russi, eppure il New York Times ci etichetta così, Twitter ci etichetta così», aveva affermato Kirk nel suo programma. «E quella persona, finanziata dal Tesoro degli Stati Uniti, dichiara: vi troveremo e vi uccideremo».

 

La questione se il governo degli Stati Uniti stesse finanziando Ashton-Cirillo è diventata oggetto di dibattito pubblico dopo che la sua dichiarazione è diventata virale, interessando anche l’allora senatore dell’Ohio JD Vance, oggi vicepresidente USA. Il transessuale statunitense fu quindi prontamente rimosso dalle forze armate ucraine.

 

Kirk è stato un critico costante dello Zelens’kyj, descrivendolo come «un bambino ingrato e capriccioso», un «go-go dancer» che non merita nemmeno un dollaro delle tasse americane e «un burattino della CIA che ha guidato il suo popolo verso un massacro inutile».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 

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Mosca critica Israele per l’attacco al Qatar

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La Russia ha condannato l’attacco israeliano alla capitale del Qatar, Doha, definendolo una palese violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, affermando che l’attacco mina gli sforzi per raggiungere un accordo pacifico tra Israele e Hamas, ha affermato mercoledì il Ministero degli Esteri di Mosca.   Martedì Israele ha colpito un edificio residenziale a Doha in un’operazione che ha coinvolto circa 15 aerei da guerra e almeno dieci missili. Il raid, che avrebbe causato la morte di diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya, aveva come obiettivo quello di eliminare l’ala politica del gruppo, secondo le IDF.   Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti a quello che ha definito un tentativo di assassinio dei negoziatori coinvolti nei colloqui per un accordo.   Il ministero degli Esteri russo ha affermato che l’attacco al Qatar, «un Paese che svolge un ruolo chiave di mediazione nei colloqui indiretti tra Hamas e Israele per porre fine alla guerra di Gaza, che dura da quasi due anni, e garantire il rilascio degli ostaggi», non può che essere visto come un tentativo di indebolire gli sforzi di pace internazionali. Mosca ha esortato tutte le parti ad agire responsabilmente e ad astenersi da azioni che potrebbero aggravare ulteriormente il conflitto.

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Mosca ha ribadito la sua posizione, chiedendo un «cessate il fuoco immediato a Gaza» e sollecitando una risoluzione globale della questione palestinese. Il Ministero degli Esteri russo ha affermato che «tali metodi di lotta contro coloro che Israele considera suoi nemici e oppositori meritano la più ferma condanna».   Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito dei suoi sforzi di mediazione, ha affermato che tra le sei persone uccise nell’attacco c’era anche un agente di sicurezza locale.   Il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha condannato l’attacco definendolo un atto di «terrorismo di Stato» e ha avvertito che il suo Paese si riserva il diritto di rispondere. Ha accusato il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu di minare la stabilità regionale e ha affermato che l’incidente ha vanificato gli sforzi di mediazione promossi dagli Stati Uniti.   Israele, che incolpa Hamas per il mortale attacco dell’ottobre 2023 nel sud di Israele, ha promesso di dare la caccia ai leader del gruppo «ovunque si trovino».   Le autorità di Gaza affermano che gli attacchi sferrati da Israele dal 7 ottobre 2023 hanno causato la morte di almeno 64.000 persone. Gli osservatori per i diritti umani hanno accusato Israele di aver commesso un genocidio rendendo l’enclave inabitabile e peggiorando le condizioni di carestia attraverso restrizioni agli aiuti.   Il rapporto tra Russia e Qatar, nato negli anni ’90 da interessi energetici condivisi, è un’alleanza pragmatica tra giganti del gas, con Mosca che vede Doha come partner contro la dominanza USA nel mercato globale. Collaborano in forum come OPEC+ e BRICS+, con scambi per miliardi in LNG e armamenti.  
Il 29 novembre 2011, l’ambasciatore russo in Qatar, Vladimir Titorenko, sarebbe stato aggredito dagli ufficiali di sicurezza e doganali dell’aeroporto del Qatar quando si è rifiutato di sottoporsi alla scansione della sua valigia in aeroporto.
  Le relazioni si inasprirono il 7 febbraio 2012, quando, secondo quanto riferito, dopo che un diplomatico del Qatar aveva avvertito la Russia di perdere il sostegno della Lega Araba in merito all’imminente risoluzione sulla rivolta siriana, a cui Russia e Cina avevano poi posto il veto, la risposta arrivò dura dall’ambasciatore russo all’ONU Vitaly Churkin, che affermò: “Se mi parli in questo modo, oggi non ci sarà nessun Qatar” e si vantò della superiorità militare russa sul Qatar. In seguito, la Russia negò tutte queste accuse.     Il culmine si era avuto nel 2004: l’autobomba che uccise Zelimkhan Yandarbiyev, ex presidente ceceno in esilio a Doha. La Russia negò coinvolgimento, ma due agenti FSB furono arrestati; uno morì in custodia, l’altro estradato. Il Qatar condannò l’attentato come «terrorismo di Stato», sospendendo legami per mesi, ma pragmatismo prevalse: accordi energetici ripresero presto.   Oggi, nonostante frizioni, il sodalizio resiste, bilanciato da interessi economici.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
 
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Geopolitica

«Li prenderemo la prossima volta» Israele non esclude un altro attacco al Qatar

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Israele è determinato a uccidere i leader di Hamas ovunque risiedano e continuerà i suoi sforzi finché non saranno tutti morti, ha dichiarato martedì a Fox News l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter.

 

In precedenza, attacchi aerei israeliani hanno colpito un edificio residenziale a Doha, in Qatar, prendendo di mira alti esponenti dell’ala politica di Hamas. Il gruppo ha affermato che i suoi funzionari sono sopravvissuti, mentre l’attacco è stato criticato dalla Casa Bianca e condannato dal Qatar.

 

«Se non li abbiamo presi questa volta, li prenderemo la prossima volta», ha detto il Leiter.

 

L’ambasciatore ha descritto Hamas come «nemico della civiltà occidentale» e ha sostenuto che le azioni di Israele stavano rimodellando il Medio Oriente in modi che gli Stati «moderati» comprendevano e apprezzavano. «In questo momento, potremmo essere oggetto di qualche critica. Se ne faranno una ragione», ha detto riferendosi ai Paesi arabi.

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene smantellare Hamas sia un obiettivo legittimo, colpire un alleato degli Stati Uniti mina gli interessi sia americani che israeliani.

 

Leiter ha osservato che Israele «non ha mai avuto un amico migliore alla Casa Bianca» e che Washington e lo Stato Ebraico sono rimaste unite nel perseguire la distruzione del gruppo militante.

 

Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito del suo ruolo di mediatore, ha dichiarato che tra le sei persone uccise nell’attacco israeliano c’era anche un agente di sicurezza del Qatar.

 

L’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, ha denunciato l’attacco come un «crimine atroce» e un «atto di aggressione», mentre il ministero degli Esteri di Doha ha accusato Israele di «terrorismo di Stato».

 

Israele ha promesso di dare la caccia ai leader di Hamas, ritenuti responsabili del mortale attacco dell’ottobre 2023, lanciato da Gaza verso il sud di Israele. L’ambasciatore ha giurato che i responsabili «non sopravviveranno», ovunque si trovino.

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