Geopolitica
Storia segreta dell’ucronazismo

Il tabù dei tabù su giornali, TV e social è l’esistenza, più che mai centrale nelle faccende ucraine di queste ore, di milizie apertamente neonaziste.
Svastiche e crudeltà: i racconti si susseguono dagli anni di Maidan, tanto che gli avversari hanno coniato la parola «ucronazismo».
Si tratta di un fenomeno complesso: vi sono radici storiche di collaborazione con il III Reich, connivenze con servizi segreti occidentali, controintuitivi finanziamenti da parte di oligarchi ebrei.
Le milizie neonaziste ucraina attuali si rifanno a Stepan Bandera (1909-1959), ideologo e leader dell’ultranazionalismo ucraino, collaborazionista del III Reich e considerato da alcuni storici un terrorista e un criminale di guerra, accusato di massacri di polacchi e financo di responsabilità nella tragedia degli ebrei ucraini. Si tratta di una figura assai controversa in Ucraina, perché, nonostante le accuse, nel 2010 il presidente Viktor Yushenko (avversario del filorusso Yanukovic, che gli succederà poco dopo, nonché marito di un ufficiale del Dipartimento di Stato USA) gli conferì il titolo postumo di «Eroe dell’Ucraina», suscitando la condanna non solo della Russia, ma anche dell’Unione Europea, oltre che di organizzazioni polacche ed ebraiche. Il presidente Yanukovic nel 2011 annullò il titolo.
Bandera aveva dichiarato nel 1941 l’Ucraina come Stato, asserendo che avrebbe lavorato con la Germania nazista. Tuttavia, i nazisti lo misero in campo di concentramento, per poi tirarlo fuori nel 1944 mentre le truppe sovietiche avanzavano verso Occidente. Dopo la guerra, Bandera si stabilì nella Germania Ovest, dove continuò a capeggiare l’OUN (l’organizzazione dei nazionalisti ucraini) e dove si dice lavorò anche con i servizi segreti britannici. Fu assassinato da agenti del KGB a Monaco nel 1959.
Ucronazisti, un fenomeno complesso: vi sono radici storiche di collaborazione con il III Reich, connivenze con servizi segreti occidentali, controintuitivi finanziamenti da parte di oligarchi ebrei
Tuttavia, la rete antirussa creata prima, durante e dopo la guerra era troppo preziosa per essere perduta. Non solo gli inglesi se ne interessarono, ma pure, ovviamente, gli americani.
Un documento della CIA dell’agosto 1950, citato dal giornalista investigativo Wayne Madsen in articoli dei tempi di Maidan, rivela che già agli albori della Guerra Fredda, l’Intelligence statunitense (all’epoca chiamata OSS) sfruttò l’Intelligence e la strategia naziste che usarono vari gruppi nazionalisti ucraini durante la Seconda Guerra Mondiale.
«Altri gruppi ucraini identificati dai nazisti e abbracciati dalla CIA includono lo Sluzhba Bezopasnosti o Servizio di sicurezza dell’OUN, il gruppo Bandera, il gruppo Mel’nik, l’unità partigiana Taras Bulba (Borovets) in Galizia, l’esercito rivoluzionario ucraino dell’Ucraina occidentale e Galizia (la cui bandiera rossa e nera è stata reintrodotta dai gruppi finanziati da George Soros durante le attuali proteste in Ucraina), il movimento Hetman, l’Unione per la liberazione dell’Ucraina (che aveva sede a Parigi) e il cosacco nazionale ucraino Movimento (che aveva sede a Berlino). Il leader dell’Unione filo-nazista per la liberazione dell’Ucraina a Parigi si chiamava Levitsky, un ebreo ucraino» scriveva Madsen.
«Il documento dell’intelligence nazista sottolinea anche che molti nazionalisti ucraini, alcuni dei quali sarebbero poi entrati nei ranghi della CIA, furono addestrati nei “campi dell’esercito e della polizia tedeschi a Cracovia, Neuhammer, Brandeburgo e Francoforte-Oder” e furono successivamente “assegnati all’est per la guerra partigiana”».
Madsen racconta come questa rete sovversiva sia stata tenuta in piedi dalla CIA per tutta la guerra fredda, tramite servizi di dezinformatsja come quello del giornale del New Jersey Ukraine Weekly, che nel 1986 riuscì a smerciare sulla prima pagina del New York Post di Murdoch la più incredibile bufala su Chernobyl: «Fosse comuni, 15.000 morti per l’esplosione del sito nucleare», era il sobrio titolo a 9 colonne. Sappiamo invece che durante tutto il 1986 i morti per l’esplosione del reattore 4 sono stati al massimo 31 – per gli effetti a lungo termine, c’è ovviamente una immane guerra di cifre, rinfocolata dalla truffaldina serie TV di qualche anno fa.
L’uomo dietro ai piani americani sull’Ucraina fu per tutta la Guerra Fredda fu il professore di economia ucraino-statunitense della Georgetown University Lev Dobriansky, un nome che torna sempre tra i front della CIA, come l’Istituto Slavo della Marquette University o il Byzantine Slavic Arts Center attivo nella capitale USA.
L’ucrainista Dobriansky chiamava l’URSS «Impero colonialista di Mosca», e fu contrario ad ogni sorta di distensione tra Mosca e Washington. Si oppose al trattato sulla messa al bando delle esplosioni nucleari, alla convenzione consolare USA-URSS, all’Outer Space Treaty delle Nazioni Unite, al trattato di non proliferazione nucleare, perfino agli accordi sulla rotta commerciale Mosca-New York. Dobriansky fu, ça va sans dire, mentore di tanti neocon.
La compagnia di questo signore vale infatti la pena di citarla: «gli accoliti di Dobriansky, acerrimi neoconservatori come Donald Kagan, un ebreo lituano di Kursenai, Lituania, suo figlio Frederick Kagan, un funzionario del neo-conservatore American Enterprise Institute ed ex-consigliere del generale David Petraeus in Afghanistan, e Robert Kagan della Brookings Institution, architetto del Progetto per il Nuovo Secolo Americano (PNAC) ed editorialista del Washington Post. La moglie di Robert Kagan, assistente del segretario di Stato per gli affari europei ed euroasiatici è Victoria Nuland». Tutti oramai la conosciamo, Lady «Fuck the EU» Kagan. Dopo aver fatto disastri nel 2014 (e prima ancora, in Iraq) come sappiamo ora è tornata in pista.
La figlia di Dobrianski, Paula, ha ricoperto ruoli importanti nel Dipartimento di Stato dell’amministrazione Bush jr. Neanche a dirlo, faceva parte della colonna dei neocon.
Nel 2014, emersero squadre come il famoso battaglione Azov, considerato pubblicamente neonazista e composto da estremisti di destra da vari Paesi d’Europa. Nato dagli ultras del Metalist Kharkiv, il Battaglione Azov è ora inquadrato nella Guardia Nazionale Ucraina. È stato detto che molti miliziani Azov sono seguaci di un paganesimo slavo – chiamato Rodnovery – dedito al culto di antichi dei, per i quali avrebbero creato un tempio a Mariupol.
I rapporti pubblicati dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) hanno collegato il battaglione Azov a crimini di guerra come saccheggi di massa, detenzione illegale e tortura.
Un rapporto dell’OHCHR del marzo 2016 affermava che l’organizzazione aveva «raccolto informazioni dettagliate sulla condotta delle ostilità da parte delle forze armate ucraine e del reggimento Azov dentro e intorno a Shyrokyne (31 km a est di Mariupol), dall’estate del 2014 ad oggi. Saccheggio di massa di sono state documentate abitazioni di civili, nonché attacchi ad aree civili tra settembre 2014 e febbraio 2015».
Un altro rapporto dell’OHCHR ha documentato un caso di stupro e tortura: «Un uomo con disabilità mentale è stato oggetto di trattamenti crudeli, stupri e altre forme di violenza sessuale da parte di 8-10 membri dell’Azov e del Donbas (un altro battaglione ucraino) nell’agosto-settembre 2014. La salute della vittima è successivamente peggiorata ed è stata ricoverata in ospedale in un ospedale psichiatrico». Un rapporto del gennaio 2015 affermava che un sostenitore della Repubblica di Donetsk è stato detenuto e torturato con elettricità e waterboarding.
Scrive Wikipedia che «il gruppo ha utilizzato Facebook per reclutare individui di estrema destra da altri paesi europei. Nel 2019, in base alla politica di Facebook per gli individui e le organizzazioni pericolose, il supporto per il gruppo non era consentito, sebbene questo sia stato temporaneamente allentato durante l’invasione russa dell’Ucraina del 2022».
Il Battaglione Aidar è stato invece creato dal Ministero della Difesa ucraino nel 2014 per raccogliere volontari. Due suoi comandanti sono stati eletti alla Rada, il Parlamento ucraino nel 2014, ma non sono stati rieletti nel 2019. Si parlò di legami con il nazismo a causa dell’adesione al battaglione di due del Svenkarnas parti, un partito neonazista svedese. Il motto del battaglione, «s namu Bog», «Dio è con noi», è pure di origine nazista. Nel settembre 2014 Amnesty International ha dichiarato che il Battaglione aveva commesso crimini di guerra, inclusi rapimenti, detenzione illegale, maltrattamenti, furti, estorsioni e possibili esecuzioni. Nell’aprile 2015, il governatore di Luhansk nominato dal governo ucraino Hennadiy Moskal ha dichiarato che il Battaglione Aidar stava «terrorizzando la regione» e ha chiesto al ministero della Difesa ucraino di tenere a freno i suoi membri dopo una serie di furti, tra cui ambulanze e l’acquisizione di una fabbrica di pane.
C’è poi Pravij Sektor («Settore destro»), un partito di estrema destra con una proiezione paramilitare, fattosi notale durante gli scontri di piazza Maidan, e definito da molti neonazista. Pravij Sektor è il gruppo che più esplicitamente si richiama a Bandera e raccoglie i resti dell’OUN Come Aidar, ha vinto un seggio alla Rada nel 2014, ma non nel 2019. Secondo il rapporto del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite del 4 maggio 2016, Pravij Sektor è una delle «milizie potenzialmente violente che hanno agito apparentemente di propria autorità, grazie a un alto livello di tolleranza ufficiale, e con quasi totale impunità, sia nel Donbass regione e nella più ampia Ucraina».
L’insieme di questi miliziani è stato utilizzato in abbondanza negli otto anni di violenza in Donbass. In questo momento a queste formazioni è assegnata la difesa di città strategiche, come Mariupol, difesa dal Battaglione Azov, che in queste ore è sotto l’assedio delle truppe russe.
Accusati di antisemitismo, hanno con probabilità ricevuto armi automatiche provenienti da Israele vendute al governo ucraino, cosa che ha spinto gruppi israeliani per i diritti umani a protestare.
È riportato che vari membri della comunità ebraica ucraina hanno supportato i battaglioni. In particolare, i più ricchi.
«Queste forze sono state finanziate privatamente da oligarchi: il più noto è Igor Kolomojskij, un magnate dell’energia miliardario e allora governatore della regione di Dnipropetrovska» scrive Al Jazeera.
Kolomojskij, già governatore dell’oblast’ di Dnipropetrovsk, networth attorno a 1,8 miliardi di dollari e considerato nel 2019 il terzo uomo più potente d’Ucraina, è presidente della Comunità Ebraica Unita dell’Ucraina, e nel 2010 è stato nominato – con quello che poi sarà definito «un putsch» – presidente del Consiglio Europeo delle ComunitàEbraiche (ECJC). Tuttavia, dopo le veementi proteste degli altri membri del consiglio, dovette lasciare e fondarsi una lega ebraica tutta sua, la European Jewish Union. Si crede che l’oligarca ebreo abbia non solo finanziato il Battaglione Azov, ma anche il Battaglione Aidar, Donbas, Dnepr 1, Dnepr 2 e avrebbe investito 10 milioni di dollari nella creazione del Battaglione Dnipro. Insomma, un gran finanziatore delle milizie.
L’immagine controintuiva di un ebreo che finanzia miliziani nazisti ha creato in Ucraina una sorta di espressione scherzosa, «zhidobandera», cioè giudeobanderista, che veniva stampata su t-shirt dove il simbolo nazionale ucraino del tridente era fuso ad una torah. Vi è una simpatica fotografia del Kolomojskij che ne indossa una.
Master of Ze puppet, Ukrainian oligarch Kolomoisky, known sponsor of neo-nazi Azov battalion. The writing on a t-shirt is “jew-banderist”. pic.twitter.com/cEkzxKGeoU
— Mur Mur Myau (@popoff_alex) April 22, 2019
È del resto un uomo di spirito: ha tre passaporti (ucraino, cipriota, israeliano) e quando gli chiedono come faccia – l’Ucraina è Paese che non ammette la doppia nazionalità – risponde che per Kiev non è possibile avere due passaporto, ma non tre.
Kolomojskij, per inciso, è ritenuto un puparo dietro all’ascesa di Volodymyr Zelens’kyj. È suo il canale TV che ha lanciato l’attuale presidente con la serie Sluha Narodu («Servitore del popolo»), dove interpretava, appunto, un onesto e determinato presidente dell’Ucraina. Una voce ricorrente in queste ore, forse messa in circolo dalla dezinformatsija moscovita, vuole che adesso a difendere personalmente il presidente-attore sia una milizia e non l’esercito.
Non sappiamo se anche l’attuale guardia personale di Zelens’kyj abbia fatto i corsi intensivi organizzati dalla CIA in America dal 2015. Come riportato da Renovatio 21, giornali statunitensi hanno rivelato che gli USA stavano «preparando un’insurrezione» in Ucraina con un programma insegna agli ucraini come «uccidere i russi». «Se i russi invadono, quelli [i diplomati dei programmi della CIA, ndr] saranno la tua milizia, i tuoi leader ribelli», ha detto l’ex alto funzionario dell’Intelligence a Yahoo News. «Alleniamo questi ragazzi ormai da otto anni. Sono davvero dei bravi combattenti. Ecco dove il programma dell’agenzia potrebbe avere un serio impatto».
Nello scoop era sentito anche un ex ammiraglio che si lasciava scappare che «il livello di supporto militare» per un’insurrezione ucraina, dice l’ex ammiraglio USA, «farebbe sembrare i nostri sforzi in Afghanistan contro l’Unione Sovietica insignificanti al confronto». Da nessuna parte, nei racconti dei giornali americani sui «ragazzi» ucraini addestrati in USA, si specificava che essi con grande probabilità fanno parte di battaglioni neonazisti.
Nel suo discorso di apertura del conflitto, il presidente Putin aveva parlato di «denazificazione» dell’Ucraina. Molti non hanno capito. Altri, non informatissimi, hanno riso: per esempio, Maureen Dowd sul New York Times e Antonio Polito sul Corriere della Sera – come si può denazificare un Paese in cui il presidente è un ebreo?
Il lettore di Renovatio 21 ora può rispondere. Coloro che si informano su media mainstream invece non potranno mai.
Roberto Dal Bosco
Immagine di GianlucaAgostini via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0); immagine modificata
Geopolitica
Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.
Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.
L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.
«L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».
L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.
Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».
#Qatar / #Palestine / #Israel 🇶🇦🇵🇸🇮🇱: Israeli Air Forces carried out air strikes to assassinate Senior officials of #HAMAS in the city of #Doha.
Reportedly HAMAS negotiation team was targeted with Air-To-Surface Missiles while discussing the ceasefire in the capital of Qatar. pic.twitter.com/WdWuqY6rXq
— War Noir (@war_noir) September 9, 2025
🚨🇮🇱🇶🇦🇵🇸 BREAKING: ISRAEL just AIRSTRIKED Hamas’s negotiation team in DOHA, QATAR pic.twitter.com/cTdA5fT4gP
— Jackson Hinkle 🇺🇸 (@jacksonhinklle) September 9, 2025
BREAKING:
Israeli fighter jets struck Qatar’s capital, Doha.
An Israeli airstrike in Doha killed Hamas leader in Gaza, Khalil al-Hayya, and three senior members of the group’s leadership, Al Arabiya reports, citing sources.
Al Hadath states those in the targeted building… pic.twitter.com/03rwdUbvZ5
— Visegrád 24 (@visegrad24) September 9, 2025
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L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».
L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».
NEW: Qatar reserves the right to retaliate for the Israeli attack against Doha, Qatari PM says
“We’ve reached a decisive moment; There should be retaliation from the whole region”
— Ragıp Soylu (@ragipsoylu) September 9, 2025
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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.
Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
«Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.
L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».
Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.
( @realDonaldTrump – Truth Social Post )
( Donald J. Trump – Sep 09, 2025, 4:20 PM ET )This morning, the Trump Administration was notified by the United States Military that Israel was attacking Hamas which, very unfortunately, was located in a section of Doha, the Capital of… pic.twitter.com/axQSlL46gW
— Fan Donald J. Trump 🇺🇸 TRUTH POSTS (@TruthTrumpPosts) September 9, 2025
Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».
«Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».
Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».
Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».
La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».
“The president views Qatar as a strong ally and friend of the United States and feels very badly about the location of this attack.”
White House press sec. Karoline Leavitt read a statement after Israel’s strike on Hamas leadership in Doha. https://t.co/X3EkiIHoZ7 pic.twitter.com/OdDyR4QcgF
— ABC News (@ABC) September 9, 2025
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Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo.
L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.
«L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.
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Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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Geopolitica
Museo dell’Olocausto ritira post perché leggibile come filo-Gaza

Un museo dell’Olocausto di Los Angeles ha cancellato un post sui social media contenente uno slogan da tempo associato all’Olocausto, dopo che alcune persone hanno affermato che alludeva alla guerra di Gaza.
Il messaggio, condiviso con i 24.000 follower su Instagram dell’Holocaust Museum di Los Angeles nel fine settimana, mostrava un’immagine di mani e avambracci di diverse tonalità di pelle – tra cui una con un tatuaggio dell’Olocausto – uniti in un cerchio. La didascalia recitava: «Mai più non può significare solo mai più per gli ebrei».
Speechless. No words for this. pic.twitter.com/pc3GRui6G4
— Ryan Grim (@ryangrim) September 6, 2025
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Sebbene inizialmente alcuni abbiano elogiato il post come un riconoscimento delle sofferenze dei palestinesi, esso ha subito suscitato reazioni negative da parte dei gruppi ebraici, spingendone alla sua rimozione.
In seguito il museo ha affermato che il post faceva parte di una campagna pianificata in precedenza «intesa a promuovere l’inclusività e la comunità», non «una dichiarazione politica che riflette la situazione attuale in Medio Oriente».
Sebbene il post non menzionasse Gaza, alcuni commentatori filo-israeliani hanno esortato i donatori a tagliare i finanziamenti all’istituzione. La rimozione del post, a sua volta, ha portato voci filo-palestinesi ad accusare il museo di fare marcia indietro su un principio universale anti-genocidio.
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Il museo di Los Angeles, fondato nel 1961 dai sopravvissuti all’Olocausto, è attualmente chiuso per ristrutturazione fino a giugno 2026. Si è impegnato a «fare meglio» e a garantire che i post futuri siano «progettati in modo più attento».
Si tratta di un caso di fulminea rieducazione infraebraica non dissimile a quello capitato, alle nostre latitudini, allo storico universitario Ariel Toaff, figlio del notissimo rabbino romano Elio Toaff, il cui libro sul sacrificio rituale ebraico fu ritirato rapidamente dalle librerie per uscire in una versione «potata».
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Immagine di Lamoth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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