Intelligence
I servizi segreti tedeschi etichettano l’organizzazione giovanile AfD come «estrema destra» per sorvegliarne i membri
L’Ufficio federale tedesco per la protezione della costituzione (Bundesamt für Verfassungsschutz, di solito detto BfV), che funge da servizio di Intelligence interno del paese, ha classificato l’ala giovanile del partito AfD, Junge Alternative für Deutschland (JA), come «un movimento estremista di destra».
La nuova designazione non solo crea le condizioni per un maggiore monitoraggio e azioni di contrasto contro JA, ma rappresenta anche un colpo al partito AfD nel momento in cui si è avuta, secondo i sondaggi, un’impennata di popolarità.
Il BfV aveva già elencato il gruppo giovanile AfD come un «caso sospetto» nel 2019, e l’agenzia è ora autorizzata a utilizzare tutti gli strumenti di Intelligence per monitorare il JA dopo la sua nuova designazione. Oltre all’uso dei cosiddetti informatori riservati, ciò includerà intercettazioni telefoniche e osservazione segreta, secondo il quotidiano tedesco Die Welt.
Il BfV sostiene quindi che il punto di vista di JA non è compatibile con la costituzione del Paese, nota anche come Grundgesetz, o «Legge fondamentale».
Come scrive Remix News, non è chiaro a quali posizioni specifiche si riferisca il BfV, ma è stato a lungo riportato, anche nei media mainstream, che gli stranieri, in particolare dai Paesi del Medio Oriente e dell’Africa, presentano tassi di criminalità estremamente elevati, soprattutto per reati gravi come omicidio, aggressione, rapina e stupro.
Il BfV afferma inoltre che l’AfD si è ripetutamente espresso in modo antidemocratico. L’agenzia afferma che i membri della JA denigrano «gli oppositori politici, ma anche lo Stato e i suoi rappresentanti in sé». Ciò indicherebbe che JA esprima «un generale disprezzo del sistema democratico della Repubblica federale di Germania».
Secondo i dati del governo stesso, l’AfD è il partito più attaccato in Germania. I suoi membri sono stati oggetto di numerosi attacchi incendiari e gran parte dell’establishment politico, sia di sinistra che di centrodestra, ha chiesto la completa messa al bando del partito. Il partito è stato anche effettivamente bandito dai talk show politici del paese sui canali televisivi ARD e ZDF, che dovrebbero trasmettere una pluralità di punti di vista che riflettano il pubblico tedesco, a causa del loro status di finanziati con fondi pubblici.
Il comitato esecutivo federale della Junge Alternative ha minimizzato l’annuncio del BfV. «La classificazione della cosiddetta tutela costituzionale non ci sorprende», ha annunciato il consiglio del ramo giovanile del partito. La dichiarazione ha sottolineato che i servizi segreti del Paese stanno semplicemente adempiendo alla loro missione di sopprimere l’opposizione del Paese.
«Indipendentemente dal fatto che siano critici della migrazione, critici delle misure contro il coronavirus o sostenitori della pace, ogni forma di autentica opposizione in questo Paese è sistematicamente stigmatizzata da questa autorità», ha avvertito il consiglio di JA. Ora, la JA sta rivedendo le sue opzioni legali alla luce della designazione.
«C’è anche il sospetto che il BfV stia usando la nuova classificazione della JA per influenzare le controversie legali con l’AfD» scrive Remix News.
A gennaio, l’AfD ha fatto appello al tribunale amministrativo superiore di Münster per ribaltare la classificazione del partito, della sua organizzazione giovanile e della sezione del partito «Der Flügel» disciolta dal BfV perché sospettate di estremismo di destra.
Il ministro federale dell’Interno Nancy Faeser (SPD), noto per aver scritto per Antifa Magazine e per le sue affermazioni secondo cui la destra rappresenta la più grande minaccia per la Germania, ha elogiato il BfV per la nuova classificazione del partito come «estremista». «Siamo una democrazia forte e resiliente. Siamo molto risoluti nel difenderci dal razzismo e da altre forme di disumanità», ha affermato La Faeser mercoledì. «Stiamo facendo tutto il possibile per prosciugare il terreno fertile per la violenza estremista di destra».
La Faeser in precedenza aveva affermato che i bambini all’asilo dovrebbero essere informati sui pericoli dell’estremismo di destra.
Come riportato da Renovatio 21, in Germania è stata proposta la confisca delle armi legalmente detenute dai sostenitori di AfD nel land della Turingia. Qui il direttore del servizio di Intelligence regionale Stephan Kramer aveva ammonito l’anno scorso in un’intervista con ZDF (dove lui, a differenza di AfD, può andare in onda) riguardo al fatto che le proteste «legittime» per la crisi energetica potrebbero essere «dirottate dagli estremisti».
Si tratta anche qui, con ogni evidenza di un allargamento del concetto di estremismo da parte delle istituzioni tedesche, che così possono attuare maggiore sorveglianza e vera e propria repressione, addirittura in forma preventiva, come suggeriscono alcuni episodi recenti di arresti piuttosto incongrui.
Le agenzie di Intelligence interne tedesche gestiscono centinaia di account falsi di estremisti di destra sui social media. Questi agents provocateurs telematici possono incitare sia all’odio che alla violenza. È emerso lo scorso agosto che i servizi segreti tedeschi sarebbero pronti a criminalizzare chi critica lo Stato: a gestire questo tipo di operazioni, secondo quanto riportato, sarebbe sempre il BfV.
Lo scorso mese il Bundestag ha respinto istericamente la mozione parlamentare dell’AfD per il comitato investigativo sull’attentato al gasdotto Nord Stream. AfD aveva semplicemente detto che l’accusa che gli USA fossero dietro l’attacco terroristico contenuta nello scoop di Seymour Hersh andrebbe discussa.
Immagine di Metropolico.org via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
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Generale Flynn: valutazione strategica della rivoluzione colorata in America
Renovatio 21 pubblica questo scritto apparso su Substack del generale Michael Flynn.
Il popolo americano ha appena tirato il primo respiro dopo essere sopravvissuto a un tentativo di soffocare la Repubblica attraverso una campagna culturale di ispirazione marxista, condotta in gran parte attraverso l’amministrazione statale, i media, il mondo accademico e gli elementi politicizzati della burocrazia della sicurezza nazionale. La maggior parte dei cittadini non se ne è resa conto appieno mentre accadeva. Molti membri della comunità dell’Intelligence l’hanno accettato passivamente o l’hanno promosso attivamente. Gli architetti di questo progetto non hanno ancora finito, ma il loro impegno è stato danneggiato e ritardato. È solo per grazia di Dio che il Paese è arrivato fino a questo punto.
La versione americana della Rivoluzione Culturale è distinta dal modello maoista che devastò la Cina nel XX secolo. Non si coalizzò attorno a una singola figura rivoluzionaria carismatica. Si diffuse invece lungo le arterie della burocrazia, dell’istruzione superiore, delle strutture aziendali e delle reti di attivisti. La lunga marcia attraverso le istituzioni, come descritta da Antonio Gramsci, divenne il modello operativo. Invece di Guardie Rosse che riempivano le strade agli ordini di un leader supremo identificabile, gli Stati Uniti hanno sperimentato una convergenza coordinata di agenzie, ONG, fondazioni, organi di stampa e fronti di attivisti, tutti promotori dello stesso progetto ideologico sotto etichette diverse.
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Poiché le agenzie federali differiscono notevolmente per dimensioni, missione, cultura e resistenza interna, questa rivoluzione si è sviluppata in modo disomogeneo. Non ha mai raggiunto il dominio totale in un unico colpo decisivo. Al contrario, ha progredito con conquiste frammentarie e ha subito sconfitte frammentarie.
Ovunque il progetto ideologico conquistasse un dipartimento delle risorse umane, un percorso di formazione, un sistema scolastico pubblico o una piattaforma mediatica centrale, incontrava resistenza nei governi statali, nei media indipendenti, nei singoli tribunali e nelle reti di cittadini che si rifiutavano di conformarsi. Questa frammentarietà nell’attuazione ha rallentato il collasso e ha dato al popolo americano il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo e di reagire.
Anche mentre queste battaglie si svolgevano pubblicamente, correnti più oscure si muovevano sotto la superficie. Ora valutiamo che migliaia di dipendenti federali religiosi e conservatori siano stati identificati in modo discreto e indirizzati a un’entità federale poco nota, la Pre-Trial Services Agency. I resoconti e la documentazione iniziale indicano che questa agenzia potrebbe essere stata utilizzata per catalogare individui esclusivamente sulla base di ideologia e convinzioni religiose, con il pretesto del 6 gennaio e della non conformità alle vaccinazioni. L’intenzione sembra essere stata non solo la rimozione amministrativa, ma anche la potenziale criminalizzazione. Questa questione richiede un’indagine immediata e trasparente da parte di qualsiasi futura amministrazione che affermi di prendere sul serio lo stato di diritto.
Per comprendere il contesto più ampio, è necessario definire cosa intendiamo con il concetto di stato sociale. Non ci limitiamo a descrivere i programmi sociali tradizionali. Ci riferiamo invece a una costellazione di gruppi di attivisti professionisti completamente finanziati che si presentano come cause separate ma in realtà formano un unico blocco rivoluzionario. Nell’ultimo decennio, le organizzazioni sotto le insegne dell’antifascismo, della giustizia razziale, del femminismo radicale, dell’aborto su richiesta, di alcune fazioni LGBTQ+, dell’estremismo ambientalista e della difesa del controllo delle armi hanno mostrato una notevole coesione. Condividono donatori, personale, strutture narrative e tattiche di strada. I loro membri si sovrappongono. I loro messaggi sono sincronizzati. Si sostengono rapidamente a vicenda nelle campagne e nelle proteste.
Questi gruppi si presentano come movimenti di base. In realtà, funzionano molto più come una casta rivoluzionaria professionalizzata. Il loro nucleo non è composto da cittadini comuni, ma da attivisti qualificati che considerano l’agitazione un’occupazione a tempo pieno. Sono finanziati da un mix di fondazioni private, ricchi donatori e, in alcuni casi, risorse federali e statali. Fungono da braccio operativo e digitale di un progetto ideologico più ampio il cui obiettivo non è la riforma, ma la trasformazione. Sono uniti da una visione del mondo esplicitamente rivoluzionaria e implicitamente marxista, anche se molti dei loro militanti non usano questo linguaggio.
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All’interno di questa struttura, Diversità, Equità e Inclusione svolgono un ruolo centrale. La DEI non è una moda aziendale innocua. È un sistema di armi culturali e psicologiche. In pratica, la formazione e l’applicazione della DEI operano come un meccanismo di condizionamento comportamentale, utilizzando sensi di colpa, sessioni di lotta e la costante minaccia di punizioni sociali o professionali per riportare gli individui alla normalità. Il linguaggio delle microaggressioni, dei privilegi e dei pregiudizi sistemici funziona come una forma blanda di controllo ideologico. Costringe le persone a monitorare il proprio linguaggio, a mettere in discussione i propri istinti e a sottomettersi a un insieme in continua espansione di parole proibite e rituali obbligatori.
Questa non è inclusione. È conformismo forzato mascherato da virtù. I risultati all’interno delle istituzioni sono paura, silenzio e autocensura. Le persone imparano rapidamente che non si possono porre domande specifiche, affermare certi fatti e riconoscere certe prospettive senza mettere a repentaglio la propria carriera. Questo non è un effetto collaterale accidentale. È il punto. Se riesci a costringere le persone a mentire pubblicamente su realtà evidenti, le possiedi. La DEI è quindi meglio intesa come un’applicazione interna della rieducazione politica, in linea con gli approcci marxisti e neomarxisti al cambiamento culturale.
Redwashing è il termine che usiamo per la cancellazione sistematica di materiale che espone la storia, le tattiche e le conseguenze del marxismo. Quando l’educazione civica e la storia tradizionale americana vengono rimosse dai programmi scolastici e sostituite da narrazioni di risentimento, si prepara il terreno per una nuova ideologia. Quando la storia delle atrocità socialiste viene sepolta o ignorata, intere generazioni perdono la capacità di riconoscere modelli che i loro nonni avrebbero visto immediatamente. Questo non è accaduto per caso. L’istruzione superiore, i media e l’intrattenimento sono diventati i principali obiettivi di questa riscrittura della memoria.
Nel 2020, gli Stati Uniti erano stati sottoposti a decenni di questo rimodellamento culturale. Il Paese era arrivato quell’anno già indebolito e diviso. L’impatto combinato di una pandemia globale, di una campagna d’informazione del Partito Comunista Cinese e di disordini civili senza precedenti aveva portato il Paese a uno stato di esaurimento. Le forze dell’ordine erano sotto organico e demoralizzate. Il sistema sanitario era al limite delle sue capacità. Le scuole di ogni ordine e grado erano chiuse o ridotte a schermi. Le funzioni basilari che contraddistinguono una nazione del primo mondo erano state messe sotto assedio.
Queste condizioni erano ideali per gli attori rivoluzionari che comprendevano il concetto bolscevico della scintilla. Nella Cina di Mao, le brigate giovanili divennero strumenti di caos una volta che l’autorità della polizia fu smantellata e le strutture tradizionali indebolite. Negli Stati Uniti, le politiche che prevedevano il definanziamento e la delegittimazione della polizia, combinate con la protezione politica dei rivoltosi, produssero qualcosa di simile nello spirito. Le rivolte a catena del 2020 non furono un’eruzione spontanea. Furono una fase di condizionamento, progettata per minare la fiducia dell’opinione pubblica, normalizzare la violenza politica da sinistra e preparare il terreno emotivo per una crisi più mirata.
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Quella crisi è scoppiata il 6 gennaio. In questo caso, è essenziale comprendere la dottrina della violenza moderata. Questa tattica cerca di provocare un avversario in un atto disperato o imprudente che può poi essere utilizzato come arma per giustificare una repressione. Per un anno, gli americani hanno visto le loro città bruciare e si sono sentiti dire che si trattava di un evento per lo più pacifico. Poi, in un solo giorno, una protesta sul terreno del Campidoglio è stata presentata come un’insurrezione, una minaccia esistenziale alla “democrazia” e il fondamento morale per una campagna di arresti, sorveglianza e persecuzioni durata anni. Le rivolte della sinistra si sono fermate all’istante. La narrazione è cambiata da un giorno all’altro. Questo brusco cambiamento rivela un disegno, non una coincidenza.
Il 6 gennaio fu il punto di svolta pianificato che permise all’alleanza tra burocrazia e attivisti di dichiarare aperta la caccia agli americani conservatori e religiosi. Divenne la lente attraverso cui ogni dissenso poteva essere etichettato come pericoloso e sleale. Le persone che entrarono al Campidoglio quel giorno, molte delle quali pacifiche e sconcertate, divennero il pretesto per un progetto più ampio volto a rimodellare l’apparato di sicurezza nazionale dall’interno.
Ciò che accadde in seguito andò oltre l’attivismo di strada o la cattura culturale. Entrò nel flusso sanguigno dello Stato di sicurezza nazionale. Le conseguenze del 6 gennaio, il crollo dell’Afghanistan e gli obblighi federali sui vaccini si combinarono in un tentativo senza precedenti di rimodellare la forza lavoro federale attraverso la coercizione, l’intimidazione e la purificazione ideologica. All’interno della CIA e in tutto l’apparato di sicurezza nazionale, la rivoluzione interna raggiunse il suo apice, per poi iniziare a frantumarsi a causa delle sue stesse contraddizioni.
Il collasso sociale non è mai un evento isolato. È un processo.
Michael T. Flynn
Ex generale statunitense, già consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti
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Immagine di Mike Shaheen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha
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Il capo dell’Intelligence iraniana accusa Stati Uniti e Israele di complottare per assassinare Khamenei
Il capo dei servizi segreti iraniani ha accusato Stati Uniti e Israele di aver ordito un complotto per assassinare la Guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei, al fine di destabilizzare l’Iran, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa ISNA.
Sabato il ministro dell’Intelligence Esmail Khatib ha dichiarato che «il nemico cerca di colpire il leader supremo, a volte con tentativi di omicidio, a volte con aggressioni ostili», alludendo esplicitamente a Washington e Tel Aviv. Non è chiaro se si riferisse a un piano specifico, ma tali accuse pubbliche su minacce alla vita di Khamenei erano rare prima della guerra di 12 giorni tra Israele e Iran di giugno.
In quel conflitto, i raid israeliani hanno eliminato diversi alti ufficiali e scienziati nucleari iraniani, culminando in un cessate il fuoco mediato dagli USA il 24 giugno. Il premier Benjamin Netanyahu ha rivendicato gli attacchi come necessari per impedire a Teheran di sviluppare armi nucleari – una linea condivisa da Washington, che il 22 giugno si era unita ai bombardamenti su impianti nucleari iraniani. L’Iran, che nega ambizioni nucleari militari, ha bollato le operazioni come ingiustificate.
Khatib ha ammonito che «chi agisce in questa direzione, consapevolmente o meno, è un agente infiltrato del nemico». Ha poi rivelato che Israele sta affrontando «un’epidemia di infiltrazioni e spionaggio a favore dell’Iran nelle sue istituzioni», citando l’arresto recente di un ufficiale dell’aeronautica israeliana accusato di tradimento per Teheran. Secondo il ministro, l’Iran ha acquisito documenti segreti su programmi nucleari e sicurezza israeliana.
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Per Khatib, questa falla nel controspionaggio israeliano, unita alla «ferma posizione» iraniana durante la guerra, segnala un mutamento negli equilibri di potere regionali.
All’inizio dell’anno Netanyahu aveva smentito voci su un veto opposto dal presidente Donald Trump a un piano israeliano per eliminare Khamenei durante il conflitto, aggiungendo tuttavia che un tale strike «avrebbe posto fine alla guerra». Trump aveva replicato con minacce, definendo Khamenei un «bersaglio facilissimo» e precisando che Washington non lo avrebbe «eliminato, almeno non ora»; in seguito, su Truth Social, ha vantato di aver risparmiato al leader iraniano «una morte molto brutta e ignominiosa».
Come riportato da Renovatio 21, la Guida Suprema della Rivoluzione rispose al presidente americano promettendo «danni irreparabili» agli USA e annunciando che la Repubblica Islamica non avrebbe accettato una pace imposta.
Più tardi sarebbe emerso che lo stesso Trump avrebbe posto un veto al piano israeliano di assassinare l’ayatollah.
Khamenei, 86 anni, guida suprema dell’Iran dal 1989, detiene l’autorità ultima su ogni aspetto dello Stato. A inizio anno aveva definito «né saggio, né intelligente, né onorevole» iniziare dei colloqui con il presidente statunitense.
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Immagine di Mehr News Agency via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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