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Geopolitica

Scontri in Etiopia tra esercito e milizie

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Scontri tra l’esercito etiope e la milizia locale di Fano sono divampati in diverse aree della regione di Amhara, devastata dal conflitto, secondo i media locali mercoledì. Le autorità hanno espresso preoccupazione per «le significative vittime umane».

 

Più di una dozzina di persone sono rimaste ferite quando i combattenti Fano, noti anche come la milizia Amhara, hanno combattuto con le truppe della Forza di Difesa Nazionale Etiope (ENDF) vicino alla città di Debre Tabor martedì e mercoledì, ha riferito l’agenzia Reuters, citando un medico di un ospedale locale e un ufficiale di polizia.

 

Secondo il medico anonimo, l’ospedale ha ricoverato tre persone con ferite gravi e altre dieci con ferite lievi da colpi di arma da fuoco e armi pesanti.

 

Il movimento è stato limitato poiché i combattenti hanno bloccato tutte le strade nella città di Gondar e altrove ad Amhara, dove i combattenti di Fano stanno combattendo contro le forze dell’ENDF, ha riferito il quotidiano locale Addis Standard.

 

Martedì, secondo quanto riferito, la milizia ha preso il controllo di un importante aeroporto nella città di Lalibela, che ospita un sito Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, costringendo i voli a essere cancellati.

 

Yilkal Kefale, presidente di Amhara, ha detto mercoledì ai media che l’attività economica della regione continua a soffrire a causa dei violenti scontri tra forze statali e milizie, oltre alla morte di civili.

 

Una fonte diplomatica anonima ha detto a Reuters che il conflitto è iniziato quando l’ENDF ha lanciato un’operazione per cacciare il gruppo paramilitare da Kobo e da altre città.

 

Amhara sta affrontando pesanti scontri e proteste diffuse da aprile, quando il governo ha ordinato alle forze regionali, compresi i combattenti di Fano, di integrarsi nell’esercito o nella polizia federale.

 

La milizia Amhara ha combattuto al fianco delle truppe federali e degli eserciti eritrei in una guerra civile di due anni nella vicina regione del Tigrè, che ha provocato circa 100.200 morti in battaglia, secondo un rapporto del Peace Research Institute di Oslo (PRIO).

 

Il PRIO ha definito la guerra del Tigray, conclusasi con un accordo di pace nel novembre dello scorso anno, il conflitto più mortale del mondo nel 2022, avendo avuto il maggior numero di vittime legate alla battaglia nei conflitti statali dal 1994.

 

Il portavoce dell’ENDF, il colonnello Getnet Adane, ha avvertito martedì che sarebbe stata intrapresa un’azione contro i gruppi armati che «disturbano la pace del paese nel nome di Fano».

 

Tuttavia, Kefale ha esortato i combattenti a deporre le armi e risolvere i problemi attraverso il dialogo.

 

Nove mesi fa Etiopia e Tigrè avevano firmato un accordo per cessare le ostilità.

 

Come riportato da Renovatio 21, il caos dilagato in Etiopia potrebbe aver avuto determinati padrini geopolitici stranieri e soggetti internazionali che vi hanno lucrato non poco: tutto va considerato nell’ottica dell’enantiodromia su suolo africano tra il vecchio potere USA e quello rampante della Repubblica Popolare Cinese, più interessata che mai a continuare il recente dominio stabilito sul Continente Nero.

 

Il contrasto tra il TPLF e lo Stato etiope aveva portato anche a speciose accuse contro l’attuale direttore dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, già ministro della Salute etiope ed ex dirigente del TPLF, che il capo di Stato maggiore generale Berhanu è arrivato ad accusare addirittura di traffico d’armi.

 

L’Etiopia è altresì interessata da un conflitto strisciante con il vicino Egitto a causa di una diga che Addis Abbeba vuole porre sul Nilo. Secondo alcuni analisti, tale frizione potrebbe sfociare in una vera e propria guerra, la prima che può chiamarsi apertamente come guerra per l’acqua.

 

Come riportato da Renovatio 21, la guerra civile ha avuto come effetto collaterale la quasi cancellazione del cristianesimo dal Tigrè.

 

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CCO via Wikimedia

 

 

 

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Geopolitica

Maduro ha offerto ampie concessioni economiche agli Stati Uniti

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Il Venezuela ha proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Lo riporta il New York Times, citando fonti anonime.

 

Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.

 

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno condotto attacchi al largo delle coste venezuelane contro quelle che hanno definito «imbarcazioni della droga», causando oltre venti morti e rafforzando la propria presenza militare nella regione. Funzionari americani hanno accusato Maduro di legami con reti di narcotraffico, accusa che il presidente venezuelano ha respinto.

 

Caracas ha accusato Washington di perseguire un cambio di regime, un’intenzione smentita dai funzionari statunitensi.

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Secondo fonti anonime di funzionari americani e venezuelani riportate dal NYT, dietro le tensioni pubbliche, Caracas avrebbe presentato un’ampia proposta diplomatica. Questa includeva l’apertura di tutti i progetti petroliferi e auriferi, attuali e futuri, alle aziende americane, l’offerta di contratti preferenziali per le imprese statunitensi, il reindirizzamento delle esportazioni di petrolio dalla Cina agli Stati Uniti e la riduzione degli accordi energetici e minerari con aziende cinesi, iraniane e russe.

 

I colloqui, condotti per mesi tra i principali collaboratori di Maduro e l’inviato statunitense Richard Grenell, miravano a ridurre le tensioni, secondo l’articolo. Sebbene siano stati fatti progressi in ambito economico, le due parti non sono riuscite a trovare un accordo sul futuro politico di Maduro, si legge nel rapporto.

 

Secondo il NYT, il Segretario di Stato americano Marco Rubio sarebbe stato il principale sostenitore della linea dura dell’amministrazione Trump per rimuovere Maduro. Si dice che Rubio sia scettico sull’approccio diplomatico di Grenell e abbia spinto per una posizione più rigida contro Caracas.

 

Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.

 

Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Immagine di Confidencial via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

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Geopolitica

Haaretz: Israele sarà indifendibile se violeremo questo piano di pace

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L’editoriale principale del quotidiano israeliano Haaretz, pubblicato il 10 e l’11 ottobre, lancia un severo monito agli israeliani attratti dai piani del primo ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi sostenitori estremisti per ostacolare gli accordi di pace negoziati.   «Se Israele fosse così sprovveduto da liberare gli ostaggi e poi trovare un pretesto banale per riprendere i combattimenti, consolidando la sua nuova immagine di Stato guerrafondaio che viola ripetutamente gli accordi, le proteste che hanno scosso l’Europa per la reazione di Israele alla flottiglia per Gaza si intensificheranno con una forza doppia e saranno inarrestabili».   L’editoriale, scritto dall’editorialista Carolina Landsmann, ribadisce: «se Israele riprendesse i combattimenti dopo aver recuperato tutti gli ostaggi, compirebbe un autentico suicidio diplomatico. Difendere il Paese diventerebbe impossibile. Nemmeno Trump potrebbe riuscirci».   L’editoriale è stato innescato dalle dichiarazioni del giornalista israeliano Amit Segal, trasmesse sul Canale 12 israeliano, secondo cui «non esiste una fase due, questo è chiaro a tutti, no?». Segal ha escluso qualsiasi soluzione che richiami gli accordi di Oslo, vantandosi che, una volta liberati gli ostaggi, Israele riprenderà a combattere,.   La Landsmann ha replicato che questo gioco è finito: «Il mondo ha compreso la realtà meglio di Israele», e persino i sostenitori di Trump «sono stanchi» di vedere i contribuenti americani finanziare le guerre di Israele. L’editorialista ha riportato le parole di Trump a Netanyahu: «Israele non può combattere contro il mondo, Bibi; non può combattere contro il mondo».  

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Geopolitica

Il Cremlino dice di essere pronto per un accordo sull’Ucraina

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Mosca rimane aperta a una risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina, ma le ostilità proseguiranno finché Kiev continuerà a ostacolare i negoziati, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.

 

Rispondendo al presidente francese Emmanuel Macron, che di recente ha scritto in un post su X che la Russia «dovrà pagare il prezzo» se si rifiutasse di dimostrare disponibilità a negoziare, Peskov, parlando ai giornalisti lunedì, ha sottolineato che Mosca ha sempre favorito una soluzione diplomatica alla crisi. Tuttavia, ha notato che Kiev, sostenuta dai suoi alleati occidentali, continua a respingere tutte le proposte russe.

 

«La Russia è pronta per una soluzione pacifica», ha affermato Peskov, evidenziando che la campagna militare di Mosca continua «a causa della mancanza di alternative». Ha aggiunto che la Russia raggiungerà infine i suoi obiettivi dichiarati, salvaguardando i propri interessi di sicurezza nazionale.

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Le sue dichiarazioni arrivano in vista dell’incontro previsto per venerdì a Washington tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.

 

Peskov ha espresso apprezzamento per gli sforzi diplomatici di Trump volti a risolvere pacificamente il conflitto, auspicando che «l’influenza degli Stati Uniti e le capacità diplomatiche degli inviati del presidente Trump contribuiscano a incoraggiare la parte ucraina a essere più proattiva e preparata al processo di pace».

 

La Russia ha ripetutamente ribadito la propria disponibilità a colloqui di pace con l’Ucraina. Le due parti erano vicine a un accordo a Istanbul all’inizio del 2022, ma, secondo Mosca, Kiev si è ritirata dopo che i suoi sostenitori occidentali l’hanno spinta a continuare il conflitto.

 

Da allora, i funzionari russi hanno sostenuto che né Kiev né i suoi alleati europei sono genuinamente interessati a porre fine alle ostilità, accusandoli di ostacolare i negoziati con condizioni mutevoli e ignorando le proposte russe.

 

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Immagine di A.Savin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic1.0 Generic

 

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