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San Francisco, nostro futuro: distopia post-apocalittica di zombie tossici e oligarchi tecnomiliardari. E nessuna classe media

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Recenti video circolanti sconvolgono la rete mostrando la situazione disperata in cui si trova attualmente la città di San Francisco.

 

Nel suo intervento sul podcast di Joe Rogan di poche settimane fa, Elon Musk ha parlato di una situazione da «apocalisse zombie» nei dipressi della sede della sua nuova società X, già Twitter. Chi scrive concorda: fuori dal palazzo di Twitter già dieci anni fa si veniva investiti da vampate di odore di orina, con tendopoli e senzatetto impazziti e scatenati. Non osiamo immaginare cosa la situazione sia divenuta ora.

 

La criminalità della città si è aggravata al punto che le grandi catene abbandonano la città, con negozi al dettaglio che hanno chiuso i battenti a causa di una politica assurda in città secondo la quale la polizia non risponde agli episodi di taccheggio al di sotto dei 950 dollari.

 

I criminali sono diventati consapevoli di questa politica e le effrazioni sono aumentate con poche possibilità di ricorso. Il San Francisco Chronicle, uno dei giornali locali, ha pubblicato una mappa dell’ondata di chiusure di negozi, che quest’anno ha incluso i supermercati Target, le farmacie CVS, gli Starbucks e tanti altri.

 

L’impatto è devastante per quanto riguarda le abitazioni: lavorare da casa post-COVID è diventato lo standard anche perché spostare i propri dipendenti in una città così pericolosa è divenuto un rischio e una delicata una responsabilità per le aziende, che preferiscono tenerli al sicuro al vantaggio di averli in ufficio.

 

Un video divenuto virale su TikTok mostra una scena nel quartiere di Tenderloin che raggiunge davvero le vette dei film di distopia zombie.

 

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Altri video emersi in questi mesi mostrano la realtà spaventosa in cui è precipitata la città, un tempo bella e prospera, e ora diventata epicentro di morti da overdosi, che nel 2021 costituivano il triplo delle morti da COVID (che avevano già, come sappiamo, numeri gonfiati).

 

Se nei video vedete delle persone bizzarramente piegate in avanti, non è per la sciatica.

 

 

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Alcuni hanno riportato che i pochi negozi rimasti aperti a San Francisco ora invece degli scaffali hanno delle teche chiuse con il lucchetto, perfino per i rotoli di carta igienica.

 

Come riportato da Renovatio 21, il governo della città, con la sua sindaca diverse dal nome eccezionale – si chiama London Breed – intanto pensa al «reddito di transessualanza», citando 97 diversi generi possibili nel modulo per iscriversi. A niente servono anche notizie inquietanti, ma salutate con calore, nel cuore di molti cittadini, dell’uso di robot killer da parte della polizia di San Francisco.

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Musk ha dichiarato di ritenere responsabile George Soros e la sua furbizia speculativa: ha capito che invece di cambiare le leggi, è più rapido, ed economico, alterarne l’applicazione, e per questo l’ultramiliardario ha finanziato le elezioni di procuratori distrettuali – coloro che decidono se perseguire un crimine o meno – in tante città americane, con l’effetto di creare il caos che stiamo vedendo. Il procuratore di San Francisco firmato Soros era a tal punto incapace di trattare con il crimine da venire pure defenestrato. La situazione della città, tuttavia, non sembra migliorare.

 

A cosa imputare tale disastro?

 

Essenzialmente, alla distruzione della classe media. In questo momento San Francisco è la vera città del futuro: una massa di poveri disperati sotto, e sopra una classe di megamiliardari tecnologici; in mezzo: il niente. San Fran ora è la città del veterano barbone strafatto di fentanil che defeca in mezzo alla strada e al contempo di Mark Zuckerberg, che ha scelto di vivere, nella sua magione protetta da altissimi muri, proprio in città.

 

È così: con una passeggiata di una manciata di minuti si passa dalla foresta tossica di relitti umani su Market Street al concessionario della Lamborghini su Van Ness, che serve con evidenza i miliardari  della Silicon Valley, gli imprenditori del software e delle biotecnologie, i venture capitalist, la rete immensa di nababbi le cui ville da sogno dai vigneti della Napa Valley scendono fino ai leoni marini di Santa Cruz. Tra i tecnopaperoni e gli homeless zombie, nessuna classe sociale.

 

L’estinzione della classe media significa la fine di ogni meccanismo di supporto per chi cade e al contempo di ogni forma di controllo degli appetiti dell’oligarcato, ora libero di gozzovigliare come gli pare, perché gli zombie certo non fanno opposizione, anzi, sono stati creati proprio per eliminarla.

 

Chi scrive ricorda vividamente, non troppi anni fa, di aver passato per quella che era considerata allora la via della disperazione più cupa, Turk Street. Tra le facce dei drogati ridotti a larve ce ne erano diverse che non collimavano con il contesto: i volti di quelle che sembravano donne della suburbia americana, che avresti descritto come casalinghe della piccola e media borghesia, con la casetta, il vialetto, il praticello da potare il sabato salutando il vicino.

 

Alcuni di questi visi, notavo, erano perfino ancora puliti. I loro abiti, i loro occhi, e soprattutto il come parlavano a tizi con vestiti ostentosi che stavano lì in mezzo (i pusher, pensavo…) raccontavano altro. Erano, semplicemente, persone che erano cadute nella droga e nella rovina conseguente, magari anche da poco, probabilmente per colpa dei loro medici corrotti da Big Pharma e le sue famiglie di oligarchi impuniti: oppioidi prescritti per un mal di schiena, e da lì la dipendenza, la ricerca di sostituti, l’eroina, il fentanil. La famiglia viene distrutta (perfino prima di nascere: anni di overdosi da oppiodi hanno ammazzato mamme e bambini non nati). Gli individui divenuti tossici – figli, madri, padri, nonni – vengono allontanati dal loro nucleo originario, ammesso che ne rimanga qualcosa. Nessuno più ti vuole, e non c’è rete di sicurezza, nell’America liberale. Nessuna. C’è solo la vita in strada, la missione, spinta dal torturante meccanismo biologico della dipendenza, di trovare ogni giorno la sostanza per mettere a tacere il corpo e la mente, pronti a fare qualsiasi cosa: rubare, prostituirsi, fino a che la dignità umana è talmente consumata che si innesta la malattia mentale.

 

La verità quindi è che può capitare a tutti, di diventare a zombie. Il processo, anzi, è stato progettato per trasformare tutti. Voi che non servite più a niente: non vogliono il vostro voto (governano sempre più senza l’illusione della democrazia), non vogliono il vostro denaro (se lo prendono da soli, se lo stampano), non vogliono la vostra esistenza (inquinate, occupate spazio). Siete zombie, eliminabili a piacimento. Siete non-morti. Ecco perché vi infliggono questa necrosi. Ecco perché esiste la Necrocultura.

 

Le città divengono puro caos sanguinario per programma specifico.

 

È l’anarco-tirannia di cui parliamo spesso su Renovatio 21 quando magari trattiamo la catastrofe migratoria comminataci nell’ora presente. Mentre la società diviene, alla base, sempre più anarchica – anzi, materialmente schizofrenica, come visibile nelle città californiane – il vertice diventa sempre più duro, diviene una tirannide, ora perfezionata anche dall’uso della tecnologia, e dalla morale riformata della Cultura della Morte che non assegna più alcun valore alla vita umana, resa quindi spendibile a piacimento dai padroni del vapore.

 

La realtà è che ogni città, a breve, potrebbe divenire come San Francisco. Zone di Roma, di Milano e di chissà quante altre cittadine italiane magari già mostrano i segni di questa trasformazione – i segni della loro zombificazione. Iniziano con qualche quartiere, poi, come un’infezione, il degrado necrotico si diffonde, prende le zone residenziali, la stazione, il centro.

 

Zombificano le città perché vogliono zombificare voi. È il loro progetto, oramai dichiarato.

 

Intendete lasciarli fare?

 

Roberto Dal Bosco

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I cartelli della droga imparano la guerra con i droni in Ucraina

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Il sessanta per cento dello «tsunami bianco» di cocaina che sta inondando Europa e Stati Uniti proviene dalla Colombia. Lo riporta EIRN.   Sempre alla ricerca delle tecnologie e delle tecniche più moderne, le bande di narcotrafficanti messicane e colombiane stanno inviando combattenti in Ucraina «per apprendere le tattiche dei droni con visuale in prima persona (FPV) e utilizzare tali conoscenze in modi nuovi e mortali in patria», scrive il sito web danese Dagens il 27 agosto.   La Colombia è probabilmente diventata il maggiore esportatore di mercenari. «Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, la Legione Internazionale di Difesa Territoriale ucraina ha aperto le sue porte a volontari provenienti da tutto il mondo, tra cui decine, se non centinaia, di ex militari colombiani», scrive Radio France International. «Un evento che ha evidenziato questo fenomeno è stato l’arresto di due colombiani, di ritorno dall’Ucraina durante uno scalo a Caracas, in Venezuela, nel 2024».   I mercenari sono stati inviati a Mosca, dove sono stati imprigionati. «Giovani ex soldati ed ex ufficiali, non vendetevi. Combattete per la vostra patria, non morite in guerre straniere», ha insistito il presidente colombiano Gustavo Petro il 17 agosto 2025, su X. Il Petro stava rispondendo a un messaggio del premier sudanese Kamil Idris, indirizzato ai colombiani, che chiedeva la fine dei mercenari colombiani in Darfur e, più in generale, in Sudan.

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In Messico, potenti cartelli della droga si sono rivolti a questi veterani per rafforzare le proprie forze. Ex soldati colombiani (sia narcotrafficanti che anti-narcotrafficanti) vengono reclutati per addestrare i «sicarios», sviluppare tattiche di commando e rafforzare la sicurezza dei leader dei cartelli.   Tra gli episodi più oscuri che hanno coinvolto i mercenari colombiani c’è stato l’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, avvenuto il 7 luglio 2021 nella sua residenza di Port-au-Prince. L’inchiesta ha rapidamente rivelato il coinvolgimento diretto di un commando composto principalmente da ex soldati colombiani, reclutati tramite società di sicurezza private e assunti come personale di sicurezza.   E ora, membri dei cartelli della droga messicani e dei gruppi di guerriglia colombiani si stanno unendo alla Legione Internazionale ucraina per padroneggiare la guerra in prima linea con i droni.   L’Ucraina è diventata un banco di prova globale per droni, offrendo agli agenti del cartello un’esperienza pratica con attacchi a basso costo e ad alto impatto.   Il cartello di Jalisco Nuova Generazione sta già impiegando droni armati di granate contro rivali e forze governative in Messico. La Colombia ha registrato 115 attacchi con droni collegati al cartello nel 2024, incluso uno che ha abbattuto un elicottero della polizia e ucciso 12 persone.   I dissidenti delle FARC e la fazione EMC stanno utilizzando sempre più droni nel conflitto interno colombiano, soprattutto dove i colloqui di pace sono falliti. Inoltre, nelle regioni messicane con una forte presenza di cartelli come Sinaloa e Chihuahua, i droni vengono ora utilizzati per imboscate, sorveglianza e persino sganciare bombe.   Persino i funzionari ucraini avvertono che i combattenti stranieri stanno imparando a «uccidere con un drone da 400 dollari», per poi esportare questa conoscenza a livello globale.   Non è la prima volta che viene detto che l’uso di droni come strumenti militari nel teatro di guerra ucraino sta praticando un cambio di paradigma che rimodellerà con probabilità i conflitti di tutto il XXI secolo.  
Come riportato da Renovatio 21, un mese fa Londra ha annunziato la produzione congiunta di droni con l’Ucraina; Zelens’kyj una quindicina di giorni fa ha parlato di un possibile grande accordo con gli USA per i droni nel suo Paese. Poche settimane prima, il presidente russo Vladimir Putin aveva affermato che la Russia stava approntando una branca separata dell’esercito dedicata ai droni.

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Come riportato da Renovatio 21, Putin durante una riunione della Commissione militare-industriale del Paese sullo sviluppo di sistemi aerei senza pilota dello scorso settembre aveva annunciato che nel 2024 l’esercito russo avrebbe ricevuto dieci volte più droni rispetto all’anno precedente – una produzione praticamente decuplicata.   Mesi fa Kiev ha condotto su tutto il territorio russo – compreso l’estremo oriente siberiano – l’operazione «tela di ragno», con la quale, tramite piccoli droni remotati, ha attaccato aeroporti e colpito bombardieri.  
Come riportato da Renovatio 21, i narcocartelli da mesi hanno iniziato a condurre operazioni con droni armati contro le forze americane delle frontiere.  
Come riportato da Renovatio 21, l’uso dei droni per il trasporto della droga è estremamente comune oramai, con oltre 9.000 incursioni di droni dei narcos messicani nello spazio aereo statunitense.   I cartelli della droga costituiscono il quinto più grande datore di lavoro in America Latina.   I cartelli messicani, che vengono da un periodo di sanguinari conflitti interni, sono stati pionieri dell’uso di droni commerciali per sganciare bombe sulle bande rivali.

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Trump valuta l’ipotesi di attacchi in Venezuela e minaccia di abbatterne gli aerei

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta valutando la possibilità di effettuare attacchi contro i cartelli della droga sul suolo venezuelano, ha riferito venerdì la CNN, citando fonti a conoscenza della questione.

 

Le deliberazioni segnalate giungono mentre il Pentagono ha schierato almeno otto navi da guerra e un sottomarino nei Caraibi orientali.

 

Secondo la CNN, l’attacco missilistico di martedì contro un’imbarcazione presumibilmente impegnata nel contrabbando di droga dal Venezuela è stato solo il primo passo degli sforzi di Trump per neutralizzare il traffico di droga nella regione e potenzialmente rovesciare il presidente venezuelano Nicolas Maduro.

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Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni drastiche al paese sudamericano governato dai socialisti durante il primo mandato di Trump, prendendo di mira il suo commercio petrolifero e il suo settore finanziario. Il mese scorso, il procuratore generale di Washington Pam Bondi ha raddoppiato la ricompensa per informazioni che portassero all’arresto di Maduro, portandola a 50 milioni di dollari.

 

Sebbene venerdì Trump abbia negato i piani per un cambio di regime, ha definito le elezioni presidenziali del 2024 in Venezuela «molto strane». Il Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato all’inizio di questa settimana che gli Stati Uniti «affronteranno i cartelli della droga ovunque si trovino».

 

Maduro ha negato le accuse di coinvolgimento nel traffico di droga e ha promesso di dichiarare il Venezuela una«repubblica in armi» se attaccato dagli Stati Uniti.

 

«Così come non era vero che l’Iraq possedesse armi di distruzione di massa, non è vero neanche quello che dicono del Venezuela», ha detto Maduro venerdì, riferendosi alla logica alla base dell’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003.

 

Trump ha affermato esplicitamente che l’esercito statunitense è autorizzato ad abbattere aerei venezuelani se i comandanti li ritengono una minaccia. Il suo avvertimento è seguito alle notizie secondo cui aerei venezuelani avrebbero sorvolato navi da guerra americane impegnate in quella che Washington descrive come una missione antidroga nei pressi del paese sudamericano.

 

Venerdì, quando i giornalisti gli hanno chiesto cosa avrebbero fatto gli Stati Uniti se i jet venezuelani avessero nuovamente sorvolato le navi della marina statunitense, Trump ha avvertito che «saranno nei guai». «Se ci mettessero in una posizione pericolosa, li abbatteremmo», ha sottolineato.

 

Trump ha respinto le affermazioni di Caracas secondo cui Washington stava cercando di rovesciare il governo del presidente Nicolas Maduro. «Beh, non stiamo parlando di questo, ma del fatto che avete avuto delle elezioni molto strane», ha detto.

 

Trump ha insistito nell’inquadrare la presenza militare statunitense vicino al Venezuela come parte di una stretta sul traffico di droga. «Miliardi di dollari di droga stanno affluendo nel nostro Paese dal Venezuela. Le prigioni venezuelane sono state aperte al nostro Paese», ha dichiarato Trump, aggiungendo che le forze statunitensi avrebbero preso di mira le imbarcazioni sospettate di trasportare stupefacenti.

 

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno schierato almeno otto navi da guerra e un sottomarino d’attacco nei Caraibi, mentre hanno inviato dieci caccia stealth F-35 a Porto Rico per scoraggiare ulteriori sorvoli venezuelani. All’inizio di questa settimana, gli Stati Uniti hanno colpito un’imbarcazione che sostenevano fosse collegata a un’operazione di narcotraffico, uccidendo 11 persone.

 

Mentre le tensioni con gli Stati Uniti aumentavano vertiginosamente, Maduro avvertì che il suo Paese sarebbe entrato in una fase di «lotta armata» se fosse stato attaccato.

 

Le relazioni tra Stati Uniti e Venezuela sono tese da anni. Washington si è rifiutata di riconoscere la rielezione di Maduro nel 2018, sostenendo invece l’opposizione del Paese. Le successive amministrazioni statunitensi hanno imposto sanzioni drastiche al settore petrolifero e al sistema finanziario venezuelano.

 

Ad agosto, gli Stati Uniti hanno annunciato una ricompensa di 50 milioni di dollari per qualsiasi informazione che porti all’arresto di Maduro, definito «uno dei più grandi narcotrafficanti del mondo».

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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma.

Il presidente venezuelano ha respinto le accuse, affermando che il suo Paese è «libero dalla produzione di foglie di coca e di cocaina» e sta lottando contro il traffico di droga.

 

Come riportato da Renovatio 21, gli sviluppi recenti si inseriscono nel contesto delle annunciate operazioni cinetiche programmate dal presidente americano contro il narcotraffico. Ad inizio mandato era trapelata l’ipotesi di un utilizzo delle forze speciali contro i narcocartelli messicani. La prospettiva, respinta dal presidente messicano Claudia Sheinbaum, ha scatenato una rissa al Senato di Città del Messico la scorsa settimana.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Trump disintegra la barca di narcotrafficanti venezuelani in acque internazionali

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Un’imbarcazione che trasportava droga e terroristi dal Venezuela è stata annientata dall’esercito statunitense nel Mar dei Caraibi martedì, ha rivelato lo stesso presidente statunitense Donald J. Trump a inizio settimana.   «Abbiamo appena sparato, negli ultimi minuti, contro una barca, una barca che trasportava droga, con un sacco di droga a bordo», ha annunciato il Presidente durante una conferenza stampa nello Studio Ovale.   «E lo vedrete, e ne leggerete. È successo solo pochi istanti fa».  

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Il Segretario di Stato Marco Rubio ha confermato il successo operativo in una dichiarazione rilasciata poco dopo.   «Come ha annunciato poco fa il presidente degli Stati Uniti, oggi l’esercito statunitense ha condotto un attacco letale nei Caraibi meridionali contro una nave adibita al trasporto della droga partita dal Venezuela e gestita da un’organizzazione designata come narcoterroristica», ha spiegato Rubio in una dichiarazione sui social media.  

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Ore dopo, il presidente Trump ha diffuso su Truth social filmati e ulteriori dettagli sull’attacco.   «Stamattina presto, su mio ordine, le forze armate statunitensi hanno condotto un attacco cinetico contro i narcoterroristi del Tren de Aragua, identificati con certezza, nell’area di responsabilità del SOUTHCOM. Il TDA è un’organizzazione terroristica straniera designata, che opera sotto il controllo di Nicolas Maduro, responsabile di omicidi di massa, traffico di droga, traffico sessuale e atti di violenza e terrorismo negli Stati Uniti e nell’emisfero occidentale”, ha dichiarato il Presidente».     «L’attacco è avvenuto mentre i terroristi si trovavano in mare in acque internazionali, impegnati a trasportare stupefacenti illegali diretti negli Stati Uniti. L’attacco ha causato la morte di 11 terroristi. Nessun membro delle forze armate statunitensi è rimasto ferito durante l’attacco. Vi preghiamo di far sì che questo serva da avviso a chiunque pensi anche solo di introdurre droga negli Stati Uniti d’America. ATTENZIONE!»   Si tratta di un primo colpo delle annunciate operazioni cinetiche programmate dal presidente americano contro il narcotraffico. Ad inizio mandato era trapelata l’ipotesi di un utilizzo delle forze speciali contro i narcocartelli messicani. La prospettiva, respinta dal presidente messicano Claudia Sheinbaum, ha scatenato una rissa al Senato di Città del Messico la scorsa settimana.   Le tensioni tra Stati Uniti e Venezuela sono in aumento. Secondo quanto riferito, sette navi da guerra statunitensi e un sottomarino d’attacco rapido a propulsione nucleare stanno già pattugliando i Caraibi meridionali o lo faranno presto, insieme a più di 4.500 marinai e marine. Maduro ha risposto visitando un grande spiegamento militare ritratto in video e mandato in rete nelle scorse ore.  

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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma.   Il regime di Maduro sostiene che la presenza degli Stati Uniti nella regione rappresenta una minaccia diretta e potrebbe preannunciare un conflitto militare nel prossimo futuro. «I venezuelani sanno chi c’è dietro queste minacce militari degli Stati Uniti contro il nostro Paese», ha affermato la scorsa settimana il ministro della Difesa venezuelano, il generale Vladimir Padrino. «Non siamo narcotrafficanti, siamo persone nobili e laboriose».   Le forze visibili nel settore sono state create per «combattere e smantellare le organizzazioni dedite al traffico di droga, i cartelli criminali e le organizzazioni terroristiche straniere nel nostro emisfero», ha dichiarato venerdì il vice capo dello staff della Casa Bianca, Stephen Miller, sottolineando quella che pare essere ufficialmente la dottrina geopolitica trumpiana, ossia la «difesa emisferica», dove gli USA – non troppo lontano dalla dottrina Monroe – difendono il proprio settore globale. Di qui l’interesse per la Groenlandia, le immediate trattative sul Canale di Panama, e le provocazioni sull’annessione del Canada e persino del Messico, che ha avuto il suo Golfo rinominato in Golfo d’America.  

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