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Immigrazione

Rivolte francesi, cosa sta accadendo

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Abbiamo pubblicato oggi un articolo in cui cerchiamo di dire concisamente, lasciando parlare più che altro le immagini, quello che crediamo stia succedendo, nel profondo, oltralpe: con pochi dubbi, stiamo assistendo alla disintegrazione della Francia, forse il primo Stato europeo che soccomberà all’anarco-tirannia indotta dal Piano Kalergi.

 

Nel presente articolo scriviamo invece quello che sta succedendo a livello di cronaca di superficie delle ultime ore.

 

I due più grandi sindacati di polizia in Francia hanno chiesto venerdì al governo del presidente Emmanuel Macron di «ristabilire l’ordine» e di non capitolare di fronte ai rivoltosi, dicendo che oggi stanno combattendo una guerra ma che potrebbero diventare «la resistenza» domani.

 

«Ora basta», afferma la dichiarazione dell’Alliance Police Nationale e della UNSA Police, pubblicata su Facebook venerdì sera.

 

 

 

«Di fronte a queste orde selvagge, chiedere la calma non basta più, bisogna imporla!» hanno detto i sindacati, aggiungendo che l’unico segnale politico necessario in questo momento è quello di riportare l’ordine nella Repubblica.

 

«I nostri colleghi, come la maggioranza dei cittadini, non possono più sopportare i dettami di queste minoranze violente. Ora non è il momento dell’azione sindacale ma della lotta contro questi “danneggiatori”. Sottomettersi, capitolare e accontentarli deponendo le armi non è la soluzione, vista la gravità della situazione».

 

«Oggi la polizia è in combattimento perché siamo in guerra. Domani saremo la resistenza, e il governo dovrà rendersene conto», scrivono sinistramente i sindacati, facendo quasi sentire l’eco della lettera dei soldati che un anno fa parlavano di «guerra civile» in arrivo in Francia.

 

 

A Marsiglia, i rivoltosi hanno saccheggiato un negozio di armi vicino al quartiere del Porto Vecchio, secondo i media francesi. Diverse «armi da caccia» sono state rubate dal negozio di Rue d’Aubagne a Marsiglia prima che la polizia potesse intervenire e inviare una guardia all’esterno, ha riferito BFM TV. Una persona è stata arrestata con un fucile rubato. I rivoltosi non hanno preso alcuna munizione, dice la stampa, citando una fonte della polizia.

 

Almeno 87 persone sono state arrestate nella città della Francia meridionale, dove la polizia ha sparato gas lacrimogeni contro gruppi di giovani mascherati e predoni che hanno distrutto negozi e incendiato veicoli. I disordini hanno anche indotto il Pride Marseille a rinviare l’evento LGBTQ previsto per sabato.

 

Il sindaco di Marsiglia Benoit Payan ha chiesto al governo di inviare ulteriori unità di polizia per far fronte alla violenza e al saccheggio.

 

 

Anche il Belgio è stato contagiato dalla rivolta, in particolare nella capitale Bruxelles, dove giovedì notte si è scatenato il caos che ha portato a 64 arresti. Tra i fermati 47 minori e 16 adulti che sono stati detenuti amministrativamente, ha detto la polizia belga in un comunicato venerdì. Un altro minorenne, che secondo quanto riferito è stato visto picchiare un agente di polizia, è stato arrestato e interrogato ma rilasciato nel corso della giornata di venerdì.

 

 

I video pubblicati sui social media mostrano i rivoltosi che danno fuoco alle auto e persino agli edifici e spargono spazzatura come barricate rudimentali per le strade del quartiere di Anneessens. La polizia locale ha riferito al Brussels Times che dieci persone sono state arrestate per aver lanciato pietre contro i poliziotti.

 

 

Secondo quanto riferito, i video che circolano sui social media mostrano attacchi ai distretti di polizia di Ales, Lione e Bonneuil, sebbene il governo non abbia ancora confermato ufficialmente nessuno di essi.

 

 

 

A Lione, durante scene di razzia, è comparsa anche Marge Simpson.

 

 

I pillages, ossia le razzie, oramai avvengono anche a viso scoperto, sans problèmes.

 

 

 

Il livello del pillage si è alzato al punto che i rivoltosi si sono portati a casa pure delle motociclette. Anche i razziatori di megaschermi, tuttavia, non scherzano.

 

 

 

Un video non verificato sostiene che anche a Lione si sarebbero uditi mitragliate di Kalashnikov.

 

 

Impressionanti anche le immagini dell’uomo che con elegante nonchalance va a recuperare i documenti nella sua auto rovesciata. Poco dopo, questa sarà data alle fiamme, scrive l’utente Twitter.

 

 

Sprofondando nel grottesco più parossistico, Macron se l’è presa con i videogiochi e i social media, veri responsabili dei disordini delle banlieue degli immigrati.

 

Parlando dopo una riunione di sicurezza di emergenza per affrontare le rivolte in corso venerdì, Macron ha osservato che circa un terzo degli arrestati nelle ultime tre notti erano “giovani o molto giovani”, suggerendo che Internet sta avendo un’influenza negativa su bambini e adolescenti.

 

«Le piattaforme e le reti stanno giocando un ruolo importante negli eventi degli ultimi giorni», ha detto dei disordini. «Li abbiamo visti – Snapchat, TikTok e molti altri – servire come luoghi in cui sono stati organizzati raduni violenti, ma c’è anche una forma di imitazione della violenza che per alcuni giovani li porta a perdere il contatto con la realtà».

 

Il presidente ha aggiunto che i giovani sono scesi in strada per recitare «i videogiochi che li hanno intossicati», esortando i genitori a tenere i figli a casa.

 

A livello di grotesque, segnaliamo anche il caso della madre del ragazzino morto, che sfila sopra i carri inviando baci al pubblico come una star consumata.

 

 

 

La stessa, sempre attorniata da un pubblico festante, è stata vista anche dare qualche sgasata in motocicletta mentre aizza il popolo che (letteralmente) ulula. È un lutto stranissimo.

 

 

Ricordiamo che era stata la donna a pubblicare un video di TikTok in cui chiedeva una «rivolta» per la morte di suo figlio.

 

 

Nel frattempo Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha dato un colpo alla proposta di revisione della migrazione dell’UE, attualmente bloccata da Ungheria e Polonia, condividendo un video che giustappone scene di violente proteste in Francia contro città pacifiche nel suo Paese.

 

Lo stesso premier di Varsavia ha varato un proprio piano volto a frenare le migrazioni di massa.

 

Venerdì, il Morawiecki ha caricato il video sulla sua pagina Twitter a sostegno di un piano sostenuto dalla Polonia chiamato “Europa dei confini sicuri”. Il video mostrava strade e auto francesi avvolte dalle fiamme, con i rivoltosi che sfondavano le vetrine dei negozi. Le immagini contrastano con le pacifiche e ordinate città polacche piene di vita.

 

«Non vogliamo scene del genere nelle strade polacche», si legge nella didascalia del video.

 

 

Il tweet di Morawiecki coincide con le sue aspre critiche a una proposta di revisione della migrazione che darebbe ai membri dell’UE tre opzioni: accettare i richiedenti asilo trasferiti, pagare 20.000 euro per ogni richiedente rifiutato o finanziare il supporto operativo.

 

Abbracciando questa riforma della migrazione «l’Europa incoraggia i contrabbandieri a inviare più carichi», ha accusato il premier polacco. «Se invitiamo 30.000, ne arriveranno 300.000. Se invitiamo un milione, arriveranno 30 milioni. È una spirale senza fine».

 

Morawiecki ha aggiunto che l’apertura delle frontiere europee non solo darebbe potere ai criminali, ma comporterebbe anche «un aumento del rischio di terrorismo in Europa».

 

Presentando la Polonia come «un esempio di una politica migratoria di successo», il Morawiecki ha proposto il suo piano che prevede un aumento degli investimenti nella protezione delle frontiere esterne dell’UE e il rafforzamento di Frontex, l’agenzia di frontiera che teoricamente dovrebbe controllare i confini UE.

 

Il primo ministro di Varsavia inoltre suggerito di sostenere lo sviluppo nei paesi che sono fonte di migrazione di massa, ridurre i benefici sociali per le persone al di fuori dell’UE e reprimere i trafficanti e il mercato nero.

 

L’UE ha avuto difficoltà a gestire l’afflusso di migranti per almeno diversi anni. Secondo i dati di Frontex, le autorità del blocco hanno registrato 330.000 attraversamenti illegali delle frontiere esterne dell’UE nel 2022, che l’agenzia ha descritto come il numero più alto dal 2016 e un aumento del 64% rispetto all’anno precedente.

 

 

 

 

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Immigrazione

Il 72% dei condannati per crimini di gruppo in Danimarca ha origini non occidentali

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Un rapporto governativo danese ha evidenziato che circa il 72% delle persone condannate in Danimarca ai sensi della «sezione gang» sono immigrati o discendenti di origine non occidentale.

 

I dati, resi pubblici dal ministero della Giustizia di Copenhagen in risposta a un’interrogazione della deputata conservatrice Mai Mercado, rivelano che tra il 2018 e il 2025, 213 individui sono stati condannati ai sensi dell’articolo 81a del Codice penale, una norma che permette ai tribunali di raddoppiare le pene per reati che rischiano di alimentare la violenza tra bande.

 

Basandosi sui dati di Statistics Denmark e del Procuratore Generale, Remix News scrive che 54 condannati erano di origine danese, 36 erano immigrati da paesi non occidentali e 117 erano discendenti di immigrati non occidentali. Questo indica che il 72% delle condanne per reati legati alle gang riguarda persone con radici non occidentali.

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Le statistiche, riportate inizialmente da Berlingske, hanno sorpreso Frederik Bloch Münster, portavoce conservatore per l’immigrazione, che ha definito la percentuale «notevolmente alta».

 

Lars Højsgaard Andersen, ricercatore della Rockwool Foundation, ha osservato che Paesi come Iraq, Turchia, Somalia e Libano emergono con chiarezza nelle statistiche, suggerendo che atteggiamenti culturali verso la legge e l’autorità possano influire.

 

Significativamente, solo il 15% della popolazione danese è composto da stranieri o persone con background straniero, rendendo ancora più rilevante il fatto che il 72% dei condannati per reati di gang abbia un’origine migratoria.

 

Secondo Statistics Denmark, il Libano è il Paese di origine più frequente tra i condannati per reati di gang, con 35 casi, seguito da Somalia (29), Iraq (23) e Turchia (17).

 

Il primo ministro Mette Frederiksen ha più volte indicato l’immigrazione incontrollata come la «minaccia più grande» per la Danimarca. A maggio, ha dichiarato: «Se arrivano troppe persone che commettono crimini, non rispettano i valori democratici e mettono a rischio la nostra società aperta e fiduciosa, questo rappresenta il pericolo maggiore».

 

I dati emergono mentre il Partito Popolare Danese (DF) promuove uno dei programmi sull’immigrazione più rigidi d’Europa in vista delle elezioni generali del prossimo anno. Nel suo ultimo manifesto, il DF propone rimpatri di massa, revisioni delle cittadinanze e divieti di pratiche islamiche, sostenendo che l’immigrazione di massa dal Medio Oriente e dal Nord Africa abbia portato «criminalità, società parallele e cambiamenti culturali».

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Il partito avverte che l’immigrazione da Paesi come Turchia, Siria, Iraq, Libano, Pakistan, Afghanistan e Somalia ha causato «il più grande cambiamento demografico nella storia danese» e insiste affinché «le condizioni mediorientali siano ridimensionate per permettere a tutti nel paese di sentirsi a casa».

 

A differenza di paesi come Germania e Francia, la Danimarca raccoglie dati sulla criminalità legati al background migratorio. Questi dati consentono di monitorare meglio gli sforzi di integrazione di chi ha ottenuto la cittadinanza danese ma ha genitori stranieri.

 

I risultati sono sorprendenti: i migranti di seconda generazione presentano tassi di criminalità più elevati rispetto a quelli di prima generazione, che già superano di gran lunga quelli dei danesi etnici.

 

Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate era emerso un rapporto del governo tedesco che rivelava tassi di criminalità astronomici tra i giovani stranieri rispetto ai giovani autoctoni.

 

Nel frattempo, in Francia è stata proposto un emendamento per censurare gli articoli sui crimini degli immigrati. In Italia i discorsi sulla stampa sugli immigrati da diversi anni sono limitati dalla Carta di Roma, il «Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti» oggi parte integrante del «Testo unico dei doveri del giornalista», e implementata sugli iscritti all’Ordine dei Giornalisti con corsi deontologici obbligatori.

 

 

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Immigrazione

La Svizzera vieta agli stranieri di fare avanti e indietro dai loro Paesi

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La Svizzera ha comunicato un rafforzamento delle restrizioni di viaggio per i richiedenti asilo. Secondo una nuova disposizione governativa, a queste persone sarà generalmente vietato viaggiare verso i loro Paesi d’origine o altri Stati.   Le autorità potranno autorizzare i viaggi solo in casi eccezionali, come confermato dal governo mercoledì 22 ottobre.   Il governo ha precisato che servono ulteriori chiarimenti prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, tra cui la definizione di quali siano i «motivi personali» sufficienti per approvare un viaggio e le circostanze in cui saranno consentiti viaggi di ritorno per organizzare una partenza definitiva.   Il partito austriaco di destra FPÖ ha definito la decisione svizzera «assolutamente corretta», sottolineando che «chi cerca protezione non ha certo bisogno di tornare nel Paese da cui fugge».

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La misura svizzera si pone in netto contrasto con i recenti sviluppi in Germania, dove all’inizio dell’anno il governo ha permesso ai rifugiati siriani di viaggiare in Siria per le vacanze senza perdere lo status di protezione. Tale misura, considerata «assurda» dal partito di centro-destra Unione Cristiano-Sociale (CSU), ha suscitato polemiche.   L’anno scorso, i media tedeschi hanno riportato che migliaia di cittadini afghani richiedenti asilo in Germania erano tornati in patria per le vacanze, per poi rientrare in Germania.   Il fenomeno del turismo nei Paesi nativi da cui scappano per chiedere protezione è stato al centro di discussioni anche in Isvezia.   In Italia la finzione migratoria, anche sotto il governo sedicente sovranista (che, di fatto, ha visto aumentare gli sbarchi) la questione non sembra essere troppo considerata. La Meloni, negli anni di opposizione, aveva promesso il blocco navale.   Nel frattempo continua l’esempio di remigrazione diretta di Trump, che, anche con l’aiuto delle forze armate, ne sequestra i beni e li deporta in Paesi terzi come l’Uganda.  

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Immigrazione

Dublino ancora in rivolta dopo che un immigrato è stato accusato di aver violentato una bambina di dieci anni

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Martedì è scoppiata una rivolta fuori da un centro per immigrati in un sobborgo di Dublino, scatenata dal presunto stupro di una bambina di dieci anni.

 

Sebbene le autorità non abbiano rivelato l’identità del sospettato, l’Irish Times ha riferito che si tratta di un richiedente asilo respinto, arrivato da un paese africano circa sei anni fa. Diverse migliaia di manifestanti si sono radunati a Saggart, dove alcuni hanno lanciato proiettili contro gli agenti, sparato fuochi d’artificio e dato fuoco ad almeno un furgone della polizia. La polizia ha schierato rinforzi e un cannone ad acqua per contenere i disordini.

 

Secondo la Child and Family Agency (TUSLA), l’aggressione è avvenuta nel fine settimana nei pressi dell’ex Citywest Hotel, trasformato in un rifugio permanente per migranti. La vittima, che era sotto tutela statale, è stata aggredita dopo essere «fuggita dal personale durante una gita ricreativa programmata con il personale nel centro città», ha dichiarato l’agenzia.

 

 

 

 

 

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La TUSLA ha aggiunto che la vittima era stata affidata alle sue cure all’inizio di quest’anno a causa di «gravi problemi comportamentali». La polizia ha dichiarato che il sospettato è stato fermato per essere interrogato. Gli agenti hanno 24 ore di tempo per incriminarlo o rilasciarlo.

 

Il Taoiseach (Primo Ministro) Micheal Martin ha affermato che le autorità hanno deluso la vittima. «È dovere fondamentale dello Stato proteggere i figli dello Stato e, indipendentemente dalla complessità o dalla gravità di ogni caso, tale dovere deve essere adempiuto», ha dichiarato. Il vice primo ministro Simon Harris ha definito il caso «orribile», ma ha esortato l’opinione pubblica alla moderazione.

 

«È importante che abbiamo l’opportunità di stabilire i fatti e che anche le agenzie abbiano l’opportunità di presentarli», ha affermato. Il ministro della Giustizia Jim O’Callaghan ha condannato gli attacchi alla polizia, affermando: «La protesta pacifica è un pilastro della nostra democrazia. La violenza non lo è».

 

Le proteste anti-immigrati in Irlanda, Paese dove interi paesini sono stati soppiantati dall’invasione programmatica di stranieri, continuano da mesi, coinvolgendo anche l’Irlanda del Nord. Un attacco con coltello al grido «Allah akbar» si è avuto a Dublino anche tre mesi fa.

 

Il caso scatenante si registrò nel novembre 2023 quando nella capitale un immigrato aveva accoltellato una donna e dei bambini. Seguirono rivolte massive e violente.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’episodio aveva portato alla possibilità che il lottatore MMA Conor McGregor, critico vocale della situazione, venisse attaccato con un’indagine delle autorità per discorso d’odio. Lui ha risposto ventilando la possibilità di candidarsi a Taoiseach, cioè primo ministro del Paese.

 

 

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Immagine screenshot da Twitter

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