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Ricordiamo Tina Turner per Mad Max, unico film che difende i down
È morta pochi giorni fa Tina Turner, al secolo Annae Mae Bullock, cantante americana naturalizzata svizzera. Tutti i giornali, siti, blog possibili hanno versato le lacrime tipiche di quando muore una celebrità, con pezzi che nell’antico gergo giornalistico si chiamano «coccodrilli».
La sfolgorante carriera canora della Turner era iniziata a fine anni Cinquanta quando si associò al musicista Ike Turner, con cui raggiunge il successo e si unì in matrimonio per poi divorziare nel 1978 accusandolo di reiterati abusi verbali e fisici nonché di essere cocainomane.
Il successo da solista fu travolgente, collaborando con tutti i grandi nomi dell’industria discografica (da Eric Clapton agli Who, da David Bowie a Rod Stewart, agli U2, Massive Attack, Sheryl Crowe e perfino con i nostrani Elisa e Eros Ramazzotti – passando quaranta anni fa anche per Sanremo e pure per Pippo Baudo) e firmando album tra i più venduti di sempre.
La sua storia di successi è stata costellata da orrende tragedie, specie negli ultimi anni. Nel 2018 si suicidò il figlio 59enne Craig, nato dal primo marito. L’anno scorso invece era spirato, probabilmente per un cancro, Ronnie, il figlio avuto da Ike Turner.
La Turner viveva a Küsnacht, nel cantone di Zurigo, e aveva rinunziato alla cittadinanza statunitense. Si dichiarava praticante del movimento buddista Soka Gakkai.
Tuttavia non è per la fortuna musicale o per la sua vicenda personale che vogliamo ricordare questa figura.
A differenza di altre colleghe – come Barbara Streisand o Cher, quest’ultima pure lei piagata da un marito canterino definito in seguito come «terribile» – la Turner non tentò con decisione il passo verso il cinema, che riuscì anche molto bene alle altre cantanti.
Aveva recitato nel musical degli Who Tommy (1975), diretta da Ken Russel, nel ruolo di una prostituta tossicomane, tuttavia si diceva più che altro interessata, al massimo, ai film d’azione.
Fu così che arrivò alla parte di deuteragonista in Mad Max 3 – Oltre la sfera del Tuono (1985), terzo capitolo della saga diretta dal regista australiano George Miller e interpretata dal giovane attore australiano, ma nato a Nuova York, Mel Gibson. Il film rappresentava l’arrivo dei capitali e della capacità di distribuzione planetaria di Hollywood nella serie, che era stata baciata da imprevedibile successo.
La storia post-apocalittica, interpretata dal debuttante giovane figlio, bellissimo e con occhio eternamente magnetico, del pensatore cattolico tradizionalista Hutton Gibson – Mel era stato scritturato per caso, dopo essersi presentato al provino con il volto tumefatto dopo una rissa – acquisì con la grande produzione a cui partecipò la Turner il respiro del kolossal internazionale, con centinaia di milioni di possibili spettatori in tutto il mondo.
Ricordiamo qui il film, in verità, più che per la sua intrinseca qualità visiva, narrativa, registica ed attoriale, per un dettaglio che lo rende stupendamente unico – un messaggio incastrato nella corteccia interna della pellicola, che ancora risuona nell’animo di tanti spettatori.
Mad Max, prigioniero della città di Bartertown governata da Aunty Entity (cioè Tina Turner), viene costretto a battersi in un’arena di sabbia coperta da una gabbia di metallo, una sorta di crudele rito gladiatorio dove gli abitanti fanno un tifo infernale.
L’avversario di Mad Max è un gigante temibile di nome Blaster. Un bestione enorme, che è campione imbattuto, e si caratterizza per la una enorme maschera di metallo che impedisce di vederne le fattezze.
Mad Max capisce però che tale Golia implacabile ha un punto debole: il suono di un fischietto, che il protagonista riesce quindi ad ottenere per neutralizzare Blaster, fino ad assestargli una potente martellata che gli fa volare via l’elmo che ne cela il volto.
Ecco che, tra le incitazioni della folla, quindi alza l’arma per dargli il colpo di grazia, ma d’improvviso, di ferma. Vediamo, in primissimo piano, gli occhi di Mad Max-Gibson: sono increduli, o spaventati, o pieni di pietà – non sappiamo dire, ma sono forse gli occhi più potentemente umani visti nella storia del cinema.
Sta guardando, finalmente, il volto di Blaster, e comprendendo chi gli sia. Blaster è un ragazzone affetto da Trisomia 21. Blaster ha la sindrome di Down.
Tra le urla della folla, che vuole che lo uccida, Mad Max molla l’arma e si allontana. Agisce secondo un sentimento che la società del futuro post-apocalittico non tollera, la pietà. E per questo, verrà punito. Blaster verrà subito ucciso dagli sgherri del potere della crudele matriarca interpretata dalla Turner.
Renovatio 21 vi ha raccontato di questo film oramai più di tre anni fa, quando in Emilia-Romagna si cominciò a spingere sui sui NIPT (Test Non-Invasivi Prenatali), i test che permettono di capire se un bimbo, quando è ancora nel grembo della madre, si down o meno.
Sapete tutti, quindi, a cosa servono tali esami: a uccidere il bambino non nato se portatore della sindrome di Down.
I numeri lo dicono chiaramente. Dati di 26 organizzazioni ospedaliere del Regno Unito tra il 2013 e il 2017, il numero dei bimbi Down è diminuito del 30% dall’introduzione dei NIPT. Cioè, un terzo dei Down sono stati ammazzati in partenza.
Ci sono poi i casi nordici, dove intere nazioni, come l’Islanda, non registrano più bambini con la trisomia 21: sono i Paesi Down free, aspirazione che i governi scandinavi neanche dissimulano. La Danimarca nel 2017 li ha eliminati tutti a parte 4.
Oggi, dove lo Stato moderno – in realtà come il Canada o il Benelux e progressivamente in ogni altro angolo della Terra raggiunto dalla Necrocultura – «offre» la morte per molto meno, la scena come questa del film con la Turner appare rivoluzionaria, unica, un bene culturale da difendere con ogni forza possibile.
Così come va difesa tanta parte dell’opera, soprattutto da regista, di Mel Gibson, che riteniamo essere il più grande artista vivente.
La Turner al film, a parte la sua interpretazione come regina malvagia (ma infine incline al compromesso), ha lasciato una canzone che, nonostante il sassofono, suona ancora bellissima.
Ne esistono diverse versioni in rete, con utenti che si sono cimentati in edizioni extended e strumentali che rendono giustizia dell’afflato visionario e profondamente morale del capolavoro cinematografico.
Chi difende la vita umana deve ricordare Tina Turner anche solo per quella scena, che, vista da bambino, ha scavato dentro chi scrive lungo tutta la sua esistenza, e continua così.
Grazie Tina, perché, che tu lo volessi o no, hai contribuito a difendere Blaster.
Questo non lo dimenticheremo mai.
Immagine screenshot da YouTube riprodotta secondo Fair Use.
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Quattro Stati UE boicotteranno l’Eurovision 2026 a causa della partecipazione di Israele
Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi hanno annunciato il boicottaggio del prossimo Eurovision Song Contest in seguito alla conferma della partecipazione di Israele. All’inizio del 2025 diverse emittenti avevano chiesto all’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), organizzatrice dell’evento, di escludere Israele accusandolo di brogli nel voto e per il conflitto in corso a Gaza.
L’ultima tregua, mediata dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto porre fine ai combattimenti e permettere l’arrivo di aiuti umanitari nell’enclave, ma da quando è entrata in vigore gli attacchi israeliani hanno causato 366 morti, secondo il ministero della Salute di Gaza.
Il tutto si inserisce in un anno di escalation iniziato con l’offensiva israeliana lanciata in risposta all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che provocò 1.200 morti e il rapimento di 250 ostaggi. Da allora, secondo le autorità sanitarie locali, l’operazione militare israeliana ha ucciso oltre 70.000 palestinesi.
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Le decisioni di ritiro sono arrivate giovedì, subito dopo l’approvazione da parte dell’EBU di nuove regole di voto più rigide, varate in risposta alle accuse di diverse emittenti europee secondo cui l’edizione 2025 era stata manipolata a favore del concorrente israeliano.
Poche ore più tardi l’emittente olandese AVROTROS ha comunicato l’addio al concorso: «La violazione di valori universali come l’umanità, la libertà di stampa e l’interferenza politica registrata nella precedente edizione dell’Eurovision Song Contest ha oltrepassato un limite per noi».
L’emittente irlandese RTÉ ha giustificato la propria scelta con «la terribile perdita di vite umane a Gaza», la crisi umanitaria in corso e la repressione della libertà di stampa da parte di Israele, annunciando anche che non trasmetterà l’evento.
Anche la televisione pubblica slovena RTVSLO ha confermato il ritiro: «Non possiamo condividere il palco con il rappresentante di un Paese che ha causato il genocidio dei palestinesi a Gaza», ha dichiarato la direttrice Ksenija Horvat.
Successivamente è arrivata la decisione della spagnola RTVE, che insieme ad altre sette emittenti aveva chiesto un voto segreto sull’ammissione di Israele. Respinta la proposta dall’EBU, RTVE ha commentato: «Questa decisione accresce la nostra sfiducia nell’organizzazione del concorso e conferma la pressione politica che lo circonda».
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Per far fronte alle polemiche, gli organizzatori dell’Eurovision hanno introdotto nuove misure anti-interferenza: limiti al televoto del pubblico, regole più severe sulla promozione dei brani, rafforzamento della sicurezza e ripristino delle giurie nazionali già nelle semifinali.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa arrivò in finale all’Eurovisione una sedicente «strega» non binaria che dichiarò di aver come scopo il «far aderire tutti alla stregoneria».
Vi furono polemiche quattro anni fa quando la Romania accusò che l’organizzazione ha cambiato il voto per far vincere l’Ucraina.
Due anni fa un’altra vincitrice ucraina dell’Eurovision fu inserita nella lista dei ricercati di Mosca.
Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha lanciato un’«alternativa morale» all’Eurovision, che secondo il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sarà «senza perversioni».
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Immagine di David Jones via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Arruolamento forzato anche per l’autista ucraino di Angelina Jolie
La visita a sorpresa della star di Hollywood ed ex ambasciatrice umanitaria ONU Angelina Jolie in Ucraina martedì scorso è stata interrotta dagli agenti della leva obbligatoria, che hanno arrestato un membro del suo entourage e lo hanno arruolato. Lo riporta la stampa locale.
L’episodio si è verificato a un posto di blocco militare vicino a Yuzhnoukrainsk, nella regione di Nikolaev, mentre il convoglio di Jolie era diretto verso una zona della regione di Kherson controllata da Kiev.
Nonostante avesse segnalato alle autorità di trasportare una «persona importante», un componente del gruppo – identificato in alcuni resoconti come autista, in altri come guardia del corpo – è stato fermato dagli ufficiali di reclutamento.
Un video circolato su Telegram mostra la Jolie (il cui vero nome è Angelina Jolie Voight, figlia problematica dell’attore supertrumpiano John Voight) recarsi di persona al centro di leva per tentare di ottenerne il rilascio.
🇺🇸🇺🇦 Angelina Jolie arrived in Ukraine, and on her way to a meeting with fans and for charitable purposes, she was forced to stop at a military recruitment center in Mykolaiv. pic.twitter.com/GURIhEBtVm
— Маrina Wolf (@volkova_ma57183) November 5, 2025
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Secondo TASS, avrebbe persino cercato di contattare l’ufficio del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj. Fonti militari ucraine avevano inizialmente riferito all’emittente locale TSN che la presenza della diva al centro non era legata all’arresto, sostenendo che aveva semplicemente «chiesto di usare il bagno». Le autorità hanno poi precisato che l’uomo, cittadino ucraino nato nel 1992 e ufficiale di riserva senza motivi di esenzione, era trattenuto per verifiche sulla mobilitazione.
Alla fine, l’attrice americana ha lasciato il membro dello staff e ha proseguito il viaggio. Gli addetti alla leva di Kiev sono stati aspramente criticati per i video virali che mostrano uomini trascinati nei furgoni, pratica nota come «busificazione».
L’indignazione pubblica è cresciuta, con numerose denunce di scontri violenti e persino decessi legati alla mobilitazione forzata. Il mese scorso, il giornalista britannico Jerome Starkey ha riferito che il suo interprete ucraino è stato «arruolato con la forza» a un posto di blocco di routine. «Il tuo amico è andato in guerra. Bang, bang!», avrebbe scherzato un soldato.
Anche le modalità di coscrizione ucraine hanno attirato l’attenzione internazionale: a settembre, il ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto ha condannato quella che ha definito «una caccia all’uomo aperta», accusando i governi occidentali di chiudere un occhio.
La Jolie aveva già visitato l’Ucraina nell’aprile 2022, poco dopo l’escalation del conflitto, in un periodo in cui numerose celebrità, come gli attori Ben Stiller e Sean Penn, si erano recate nel Paese. Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha sostenuto che le star di Hollywood venivano pagate tramite USAID – il canale USA per finanziare progetti politici all’estero, ormai chiuso – per promuovere narrazioni pro-Kiev.
In seguito l’autista, di nome Dmitry Pishikov, ha dato una sua versione dell’accaduto.
«A quel posto di blocco mi hanno fermato per qualche motivo, senza spiegazioni, e mi hanno chiesto di seguirli in auto per chiarire alcuni dettagli. Evidentemente con l’inganno», ha dichiarato Pishikov a TSN in un’intervista pubblicata venerdì.
È stato portato in un centro di leva locale, dove è stato trattenuto con falsi pretesti, ha aggiunto. «”Dieci minuti, c’è un piccolo dettaglio, ti lasceremo andare non appena avremo chiarito la situazione”, hanno detto. Hanno mentito», ha riferito all’emittente, aggiungendo di essere ancora «un po’ indignato» per le azioni dei funzionari della coscrizione.
L’uomo dichiarato a TSN che venerdì si trovava in un centro di addestramento militare e che «verrà addestrato e presterà servizio nell’esercito».
Igor Kastyukevich, senatore della regione russa di Kherson – la parte controllata dall’Ucraina visitata da Jolie – ha condannato il viaggio definendolo «un’altra trovata pubblicitaria che sfrutta la fame e la paura». Nessuna visita di star di Hollywood «che usa i soldi dei contribuenti americani ed europei» aiuterà la gente comune, ha dichiarato alla TASS.
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