Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Riattivato l’account Facebook del primo ministro cambogiano. Gli USA attaccano le elezioni nel Paese

Pubblicato

il

L’account Facebook del primo ministro cambogiano Hun Sen è stato riattivato giovedì, tre settimane dopo che aveva annunciato che avrebbe abbandonato il gigante dei social media per postare su Telegram.

 

Il ritorno di Hun Sen sulla piattaforma è arrivato tre giorni prima di un’elezione generale in cui il suo partito KPK (Kanakpak Pracheachon Kampuchea, o Partito Popolare Cambogiano) ha reclamato una vittoria schiacciante.

 

Il premier Hun Sen ha dichiarato alla fine di giugno che avrebbe smesso di pubblicare nuovo materiale sulla sua pagina Facebook, ma avrebbe lasciato l’account online.

 

Il primo ministro ha comunicato quindi che stava passando a Telegram perché credeva che l’app fornisse un modo più efficace per comunicare.

 

Tuttavia quando un osservatorio di Facebook ha criticato il linguaggio in uno dei suoi video e ha raccomandato di sospendere l’account del primo ministro per sei mesi, Hun Sen ha rimosso la pagina, scrive Voice of America, servizio ufficiale radiotelevisivo del governo federale degli Stati Uniti.

 

Duong Dara, che gestisce gli account sui social media del leader settantenne, ha pubblicato un messaggio giovedì in cui afferma di aver chiesto a Hun Sen di poter riattivare la sua pagina Facebook nell’interesse nazionale, dicendo che lui, e non il primo ministro, avrebbe caricato i contenuti.

 

Hun Sen, che ha guidato la Cambogia per 38 anni, utilizzava Facebook dal 2015 per mostrare istantanee di famiglia, lanciare avvertimenti agli avversari politici e trasmettere in diretta i suoi frequenti discorsi.

 

La sua pagina sulla piattaforma vantava 14 milioni di follower, anche se alcuni sostengono che un gran numero di essi è costituito da account «fantasma» acquistati in blocco dalle cosiddette «click farm», che abbondano in Asia – un’affermazione che Hun Sen ha ripetutamente negato.

 

A partire da giovedì, l’account Telegram di Hun Sen aveva quasi 987.000 follower, rispetto agli 855.000 che aveva quando ha annunciato la sua rottura di giugno con Facebook.

 

Hun Sen aveva annunciato la sua intenzione di cessare la pubblicazione su Facebook un giorno prima che un comitato di revisione quasi indipendente istituito dalla società madre della piattaforma, Meta, raccomandasse la sospensione di sei mesi degli account Facebook e Instagram del primo ministro.

 

Tale «consiglio di sorveglianza» indetto da Meta ha concluso che aveva usato un linguaggio che potrebbe incitare alla violenza in un video di un discorso di gennaio in cui denunciava i politici dell’opposizione che accusavano il suo partito di rubare voti.

 

Il «consiglio» istituito dalla società di Menlo Park ha quindi affermato di aver raggiunto la sua raccomandazione non vincolante in parte a causa della «storia di Hun Sen di commettere violazioni dei diritti umani e intimidire gli oppositori politici, nonché il suo uso strategico dei social media per amplificare tali minacce».

 

Separatamente, ha annullato una sentenza dei moderatori di Facebook per consentire al video, originariamente trasmesso in diretta, di rimanere online. Poche ore dopo che il consiglio ha reso pubblico il suo rapporto, la pagina Facebook di Hun Sen è stata rimossa.

 

Venerdì, durante un evento pubblico in Cambogia, il signor Hun Sen ha affermato che i suoi oppositori politici al di fuori del paese erano sicuramente contenti della sua decisione di lasciare Facebook.

 

«Dovete essere consapevoli che se ordino la chiusura di Facebook in Cambogia, ciò avrà un forte impatto su di voi», ha aggiunto, parlando a un evento per i lavoratori dell’abbigliamento prima delle elezioni generali. «Ma non è questa la strada che scelgo».

 

Come riportato da Renovatio 21, di recente Hun Sen ha lanciato un appello accorato a Biden e Zelens’kyj affinché abbandonino l’uso di bombe a grappolo, che tanto danno umano hanno causato alla Cambogia. Tale posizione, pare di capire, non ha potuto essere direttamente espressa su Facebook.

 

Sorprende fino ad un certo punto che il primo ministro con un rapporto problematico con Facebook lo abbia anche con il Dipartimento di Stato USA, che ha appena definito la tornata elettorale cambogiana «né libera, né equa». Il portavoce del dipartimento di Stato USA Miller è arrivato persino ad accusare le autorità cambogiane di aver esibito «uno schema di minacce e molestie contro l’opposizione politica, i media e la società civile» e di aver «minato lo spirito della Costituzione del Paese e gli obblighi internazionali della Cambogia».

 

Il Dipartimento di Stato ha quindi fatto sapere che gli USA «hanno intrapreso passi tesi a imporre restrizioni all’emissione di visti nei confronti di individui che hanno minato al democrazia, e sospeso alcuni programmi di assistenza estera».

 

In pratica, sanzioni anche per la Cambogia, Paese guidato da un signora che ha qualche controversia con Facebook – che invece, esattamente come il Dipartimento di Stato e il Pentagono, non ha troppi problemi con il battaglione Azov, con lo Zelens’kyj che ringrazia per il prezioso aiuto nello «spazio informativo».

 

Alcuni siti in Italia, con ben poca memoria, hanno commentato la notizia della disattivazione dell’account di Sen scrivendo che in caso di chiusura dell’account da parte di Meta, si sarebbe trattato del primo caso di leader nazionale bannato da Facebook: essi non ricordano che il colosso dei social si spinse fino a chiudere l’account del presidente degli Stati Uniti mentre era ancora in carica.

 

Il ruolo nella politica americana della piattaforma è sempre più evidente, tanto che Trump ha parlato prima di una class action contro Big Tech, poi un appello alle Nazioni straniere a vietare i social, poi di una vera politica di reazione contro i colossi tecnologici una volta rieletto alla Casa Bianca.

 

Anche Renovatio 21 di censura su Facebook, con pagine e account disattivati, sa una o due cose.

 

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CCO via Wikimedia

 

 

 

Continua a leggere

Geopolitica

Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

Pubblicato

il

Da

Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.

 

Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.

 

L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.

 

«L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».

 

L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.

 

Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».

 

 

Sostieni Renovatio 21

 

L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».

 

L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».

 

Iscriviti al canale Telegram

Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.

 

Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

 

«Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.

 

L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».

 

Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.

 

Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».

 

«Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».

 

Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».

 

Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».

 

La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».

 

Aiuta Renovatio 21

 

Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo.

L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.

 

«L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.

 

Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Immagine da Twitter

 

Continua a leggere

Geopolitica

Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

Pubblicato

il

Da

La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.   Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».   «Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.   Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.

Sostieni Renovatio 21

Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.   «Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.   Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.   Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
Continua a leggere

Geopolitica

Museo dell’Olocausto ritira post perché leggibile come filo-Gaza

Pubblicato

il

Da

Un museo dell’Olocausto di Los Angeles ha cancellato un post sui social media contenente uno slogan da tempo associato all’Olocausto, dopo che alcune persone hanno affermato che alludeva alla guerra di Gaza.

 

Il messaggio, condiviso con i 24.000 follower su Instagram dell’Holocaust Museum di Los Angeles nel fine settimana, mostrava un’immagine di mani e avambracci di diverse tonalità di pelle – tra cui una con un tatuaggio dell’Olocausto – uniti in un cerchio. La didascalia recitava: «Mai più non può significare solo mai più per gli ebrei».

 

Sostieni Renovatio 21

Sebbene inizialmente alcuni abbiano elogiato il post come un riconoscimento delle sofferenze dei palestinesi, esso ha subito suscitato reazioni negative da parte dei gruppi ebraici, spingendone alla sua rimozione.

 

In seguito il museo ha affermato che il post faceva parte di una campagna pianificata in precedenza «intesa a promuovere l’inclusività e la comunità», non «una dichiarazione politica che riflette la situazione attuale in Medio Oriente».

 

Sebbene il post non menzionasse Gaza, alcuni commentatori filo-israeliani hanno esortato i donatori a tagliare i finanziamenti all’istituzione. La rimozione del post, a sua volta, ha portato voci filo-palestinesi ad accusare il museo di fare marcia indietro su un principio universale anti-genocidio.

 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Holocaust Museum LA (@holocaustmuseumla)

Aiuta Renovatio 21

Il museo di Los Angeles, fondato nel 1961 dai sopravvissuti all’Olocausto, è attualmente chiuso per ristrutturazione fino a giugno 2026. Si è impegnato a «fare meglio» e a garantire che i post futuri siano «progettati in modo più attento».

 

Si tratta di un caso di fulminea rieducazione infraebraica non dissimile a quello capitato, alle nostre latitudini, allo storico universitario Ariel Toaff, figlio del notissimo rabbino romano Elio Toaff, il cui libro sul sacrificio rituale ebraico fu ritirato rapidamente dalle librerie per uscire in una versione «potata».

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di Lamoth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

 

Continua a leggere

Più popolari