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Renovatio 21 recensisce Top Gun: Maverick
Partiamo subito dicendo che, non importa quale sia la vostra età, se non vi piace questo film siete delle brutte persone.
Top Gun: Maverick, il seguito del mitico film coi caccia degli anni Ottanta, verrà usato come strumento delle prossima guerra civile planetaria: se non ti piace questa pellicola, abbiamo capito tutto. Al termine di detto conflitto, la fazione vincitrice userà il film a mo’ di cura Ludovico obbligando i neogoscisti sopravvissuti a visioni continue, le palpebre tenute aperte da ferretti crudeli come in Arancia Meccanica.
Il comico Louie CK, che dopo 5 anni è riuscito a tirarsi fuori dalla cancel culture che lo aveva disintegrato nonostante si trattasse dello stand-up comedian numero uno al mondo, ha detto che guardando Top Gun: Maverick, ha pianto.
Louie CK è un cinefilo impenitente, e non è facile immaginarselo struggersi per un kolossal fracassone. Nel suo discorso sul film che ha visto al cinema, però dice qualcosa che risuona molto: dice di essere colpito da come «hanno custodito» il personaggio di Maverick. Che sta lì sullo schermo, con tutti i suoi problemi, ma è presente, in continuità totale con quello di quasi 40 anni fa.
È vero. È proprio così. È incredibile come il personaggio, e tutto quello che significava, è stato conservato. È incredibile che, in tutta la sua semplicità, egli sia arrivato negli anni 2020 mantenendo, come dire, l’innocenza.
Gli Honest Trailers, vertice internet di satira di Hollywood e di alta critica cinematografica, hanno speigato che in fondo si tratta della storia di Tom Cruise. Passano gli anni, lui è ancora lì, rifiuta di invecchiare, rifiuta di diventare, almeno sul set, prudente. Ha tutti i suoi limiti, ma è lì: è presente, persistente. Esiste ed è unico, come ogni uomo vero.
Dal primo trionfale film, che funse da immortale spot per la Marina USA, non sono solo passati decenni, nel frattempo è successo di tutto.
Il regista del film Tony Scott, fratello del Ridley, si è suicidato.
Meg Ryan è diventata un’icona femminile, poi basta.
Iceman, cioè, Val Kilmer, ha preso davvero un cancro alla gola e non se la passa benissimo, anche se ha fatto un documentario sulla cosa utilizzando i suoi video privati, anche di quando girava Top Gun 40 anni fa: se non vi emozionate alla scena dell’incontro tra Maverick e l’ammiraglio Iceman in questo ultimo film, lasciatevi dire che siete delle merde.
La bionda, che non ricordiamo come si chiama, invece è ingrassata per cui c’è grossa polemica sul fatto che nel film non vi sia.
E poi lui: Tom Cruise, quante ne ha passate, in questi anni? Quante ne abbiamo viste? Tom Cruise immortalizzato con la moglie da Kubrick. Tom Cruise che divorzia, si risposa, ridivorzia. Tom Cruise leader scentologo. Tom Cruise che dice di conoscere il segreto per aiutare i leader mondiali. Tom Cruise che fa film a volte dimenticabili a volte bellissimi. Sì, ne abbiamo viste di ogni.
Il problema è che anche là fuori, nel mondo degli aerei da caccia, è successo di tutto. Ad una certa, qualche anno fa ci sembrò che le cose si fossero invertite, e fossero i piloti russi ad essere diventati Maverick.
Questo sito da qualche parte ha già pubblicato i video dei piloti dei MiG che, nel Baltico, fanno il pelo alle navi americane, proprio come faceva il pilota del film in apertura e in chiusura del film. Sono video, alla fine, simpatici: guardate i marinai americani che sorridono. Alla fine si divertono proprio tutti: è il cinema vero dell’enantiodromia tra superpotenze aerospaziali.
Poi ci fu il caso degli «orsi» del 4 luglio 2015.
Due caccia statunitensi si levarono in volo per intercettare quelli che fonti della difesa hanno dichiarato essere 4 bombardieri a lungo raggio TU-95, i Tupolev che la NATO chiama in codice «Bear», orsi. Non è privo di senso rammentare che i TU-95 sono bombardieri usati nello sgancio di bombe nucleari.
I 4 «orsi» volavano nella Air Defense Indentification Zone (ADIZ) americana al largo dell’Alaska. I velivoli erano accompagnati da un aereo tank per il rifornimento in volo. Due F-22 americani sono andati loro incontro.
A questo punto, lo stormo moscovita si è diviso: due sono tornati ad Ovest, verso la Siberia. Altri due, invece, hanno virato a Sud puntando verso la California, da dove sono scramblati due F-15.
È stato al largo della costa californiana che è avvenuto il momento davvero mavericco: i russi si fanno sentire via radio ai colleghi yankee. «Buongiorno, piloti americani. Siamo qui per augurarvi un buon quattro luglio».
Gli aerei russi virano ancora e tornano a casa. In pratica, i bombardieri nucleari servivano per augurare un buon giorno dell’Indipendenza.
Più Top Gun di così, non si puote.
Ecco, questo film fa sentire che gli americani potrebbero tornare e riacciuffare la situazione sfuggita loro di mano a causa della distruzione culturale operata dagli woke.
Top Gun: Maverick è percepito come film anti-woke, anche se i protagonista della storia sono dei piloti di ogni razza, compresa una donna o due. Semplicemente, pare che fare un film che non nobiliti immediatamente l’omosessualità e non esprima una condanna razzista dei bianchi sia oggi ad Hollywood qualcosa di rivoluzionario.
In realtà, la produzione ha fatto di più. Si racconta che all’inizio, come per tantissimi altri film che vengono sfornati dalla Mecca del Cinema, su Top Gun: Maverick vi fossero capitali cinesi. I quali capitali cinesi avrebbero chiesto, subito, una toppa dello stramitico giubbino in pelle da aviatore del protagonista: quella con la bandiera di Taiwan, ben visibile in tante scene dell’originale del 1986.
Photo of the Day: Taiwan flag confirmed on Maverick’s jacket https://t.co/HuOFdtEgQg pic.twitter.com/UJuA7Ea5Ko
— Taiwan News (@TaiwanNews886) June 1, 2022
Non sarebbe stata questa richiesta, che peraltro sembrava inizialmente essere stata esaudita, quella che ha fatto traboccare il vaso. Si racconta che i cinesi, non si capisce bene con quale sensibilità, abbiano chiesto modifiche alla sceneggiature per non far sembrare l’aviazione americana troppo forte.
Voi capite che ad una certa è davvero troppo: i cinesi furono esclusi dal finanziamento del film. Si tratta di una vittoria inaspettata in una guerra – quella tra la cultura di massa e lo sport americani e i capitali pechinesi – sembrava persa da anni. Gli americani sono ancora capaci di ribellarsi – come dovrebbe essere, visto che il loro Paese è teoricamente fondato sulla ribellione. E i cinesi, come padroni, non è che siano competentissimi, quantomeno nel ramo risorse umane. Una lezione mica da poco.
Ora, siamo d’accordo con chi penserà che tutta l’ultima parte è completamente implausibile. E fa un po’ specie vedere le gimkane per non nominare il nemico (una potenza che ha l’Oceano e subito a ridosso gelide montagne, nonché caccia di V generazione: ma chi potrà essere mai…?). Tuttavia, come speriamo di aver spiegato con le righe qui sopra, non è il film in sé l’importanza di Top Gun: Maverick.
È il fatto che ancora è possibile fare i film di 40 anni fa, con gli stessi sentimenti, la stessa, diciamo così, «purezza», con personaggi che non sono stati corrotti dall’esprit du temps, cioè dalla politica e dalla società impazzite.
Si può rimanere fedeli a se stessi e, cosa sempre meno inspiegabile, fare i soldoni al botteghino. Basta dire alla gente la verità, e non tentare di manipolarla, né soprattutto tentare di prenderla per il culo.
Basta essere onesti, sinceri, pur con tutti i propri problemi. Come Maverick. Come Donald J. Trump.
Come tutti quegli americani che ricostruiranno una società sana dalle rovine di questo incubo totalitario, razzista, transessuale e transumanista che sono gli USA odierni.
Ora, ci pentiamo di aver seguito per anni Tarantino che in un film non indimenticabile (Il tuo amico nel mio letto) faceva una lunga e convincente tirata sul fatto che Top Gun fosse in realtà la metafora di un uomo che combatte contro la propria omosessualità.
Ma no, era l’esatto contrario. Siamo pentiti, ed è pentito anche Quentin Tarantino.
Insomma: un filmone che infonde speranza a manetta.
E chi lo avrebbe mai detto.
Ah, ultima cosa: un messaggio per i lettori maschi: siete delle brutte persone, cioè dei brutti maschi, pure se non vi emozionate a vedere l’opening-sigletta con la musichetta e il montaggino dei caccia che decollano dalla portaerei. Se non ci tira su il testosterone una cosa del genere, vuol dire che siamo irrecuperabili.
Insomma, guardatevelo, tenendo in mente che sono i tempi della Disney con personaggi transgender, degli Hobbit africani, della Fata turchina che più che turchina, è «di colore», e dei personaggi cinesi inseriti in qualsiasi grande produzione, ora sapete perché.
«Custodire» Maverick così com’era è di per sé oggi un atto sovversivo di cui siamo grati a tutti.
Roberto Dal Bosco
Immagine screenshot da YouTube
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Quattro Stati UE boicotteranno l’Eurovision 2026 a causa della partecipazione di Israele
Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi hanno annunciato il boicottaggio del prossimo Eurovision Song Contest in seguito alla conferma della partecipazione di Israele. All’inizio del 2025 diverse emittenti avevano chiesto all’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), organizzatrice dell’evento, di escludere Israele accusandolo di brogli nel voto e per il conflitto in corso a Gaza.
L’ultima tregua, mediata dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto porre fine ai combattimenti e permettere l’arrivo di aiuti umanitari nell’enclave, ma da quando è entrata in vigore gli attacchi israeliani hanno causato 366 morti, secondo il ministero della Salute di Gaza.
Il tutto si inserisce in un anno di escalation iniziato con l’offensiva israeliana lanciata in risposta all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che provocò 1.200 morti e il rapimento di 250 ostaggi. Da allora, secondo le autorità sanitarie locali, l’operazione militare israeliana ha ucciso oltre 70.000 palestinesi.
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Le decisioni di ritiro sono arrivate giovedì, subito dopo l’approvazione da parte dell’EBU di nuove regole di voto più rigide, varate in risposta alle accuse di diverse emittenti europee secondo cui l’edizione 2025 era stata manipolata a favore del concorrente israeliano.
Poche ore più tardi l’emittente olandese AVROTROS ha comunicato l’addio al concorso: «La violazione di valori universali come l’umanità, la libertà di stampa e l’interferenza politica registrata nella precedente edizione dell’Eurovision Song Contest ha oltrepassato un limite per noi».
L’emittente irlandese RTÉ ha giustificato la propria scelta con «la terribile perdita di vite umane a Gaza», la crisi umanitaria in corso e la repressione della libertà di stampa da parte di Israele, annunciando anche che non trasmetterà l’evento.
Anche la televisione pubblica slovena RTVSLO ha confermato il ritiro: «Non possiamo condividere il palco con il rappresentante di un Paese che ha causato il genocidio dei palestinesi a Gaza», ha dichiarato la direttrice Ksenija Horvat.
Successivamente è arrivata la decisione della spagnola RTVE, che insieme ad altre sette emittenti aveva chiesto un voto segreto sull’ammissione di Israele. Respinta la proposta dall’EBU, RTVE ha commentato: «Questa decisione accresce la nostra sfiducia nell’organizzazione del concorso e conferma la pressione politica che lo circonda».
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Per far fronte alle polemiche, gli organizzatori dell’Eurovision hanno introdotto nuove misure anti-interferenza: limiti al televoto del pubblico, regole più severe sulla promozione dei brani, rafforzamento della sicurezza e ripristino delle giurie nazionali già nelle semifinali.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa arrivò in finale all’Eurovisione una sedicente «strega» non binaria che dichiarò di aver come scopo il «far aderire tutti alla stregoneria».
Vi furono polemiche quattro anni fa quando la Romania accusò che l’organizzazione ha cambiato il voto per far vincere l’Ucraina.
Due anni fa un’altra vincitrice ucraina dell’Eurovision fu inserita nella lista dei ricercati di Mosca.
Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha lanciato un’«alternativa morale» all’Eurovision, che secondo il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sarà «senza perversioni».
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Immagine di David Jones via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Arruolamento forzato anche per l’autista ucraino di Angelina Jolie
La visita a sorpresa della star di Hollywood ed ex ambasciatrice umanitaria ONU Angelina Jolie in Ucraina martedì scorso è stata interrotta dagli agenti della leva obbligatoria, che hanno arrestato un membro del suo entourage e lo hanno arruolato. Lo riporta la stampa locale.
L’episodio si è verificato a un posto di blocco militare vicino a Yuzhnoukrainsk, nella regione di Nikolaev, mentre il convoglio di Jolie era diretto verso una zona della regione di Kherson controllata da Kiev.
Nonostante avesse segnalato alle autorità di trasportare una «persona importante», un componente del gruppo – identificato in alcuni resoconti come autista, in altri come guardia del corpo – è stato fermato dagli ufficiali di reclutamento.
Un video circolato su Telegram mostra la Jolie (il cui vero nome è Angelina Jolie Voight, figlia problematica dell’attore supertrumpiano John Voight) recarsi di persona al centro di leva per tentare di ottenerne il rilascio.
🇺🇸🇺🇦 Angelina Jolie arrived in Ukraine, and on her way to a meeting with fans and for charitable purposes, she was forced to stop at a military recruitment center in Mykolaiv. pic.twitter.com/GURIhEBtVm
— Маrina Wolf (@volkova_ma57183) November 5, 2025
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Secondo TASS, avrebbe persino cercato di contattare l’ufficio del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj. Fonti militari ucraine avevano inizialmente riferito all’emittente locale TSN che la presenza della diva al centro non era legata all’arresto, sostenendo che aveva semplicemente «chiesto di usare il bagno». Le autorità hanno poi precisato che l’uomo, cittadino ucraino nato nel 1992 e ufficiale di riserva senza motivi di esenzione, era trattenuto per verifiche sulla mobilitazione.
Alla fine, l’attrice americana ha lasciato il membro dello staff e ha proseguito il viaggio. Gli addetti alla leva di Kiev sono stati aspramente criticati per i video virali che mostrano uomini trascinati nei furgoni, pratica nota come «busificazione».
L’indignazione pubblica è cresciuta, con numerose denunce di scontri violenti e persino decessi legati alla mobilitazione forzata. Il mese scorso, il giornalista britannico Jerome Starkey ha riferito che il suo interprete ucraino è stato «arruolato con la forza» a un posto di blocco di routine. «Il tuo amico è andato in guerra. Bang, bang!», avrebbe scherzato un soldato.
Anche le modalità di coscrizione ucraine hanno attirato l’attenzione internazionale: a settembre, il ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto ha condannato quella che ha definito «una caccia all’uomo aperta», accusando i governi occidentali di chiudere un occhio.
La Jolie aveva già visitato l’Ucraina nell’aprile 2022, poco dopo l’escalation del conflitto, in un periodo in cui numerose celebrità, come gli attori Ben Stiller e Sean Penn, si erano recate nel Paese. Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha sostenuto che le star di Hollywood venivano pagate tramite USAID – il canale USA per finanziare progetti politici all’estero, ormai chiuso – per promuovere narrazioni pro-Kiev.
In seguito l’autista, di nome Dmitry Pishikov, ha dato una sua versione dell’accaduto.
«A quel posto di blocco mi hanno fermato per qualche motivo, senza spiegazioni, e mi hanno chiesto di seguirli in auto per chiarire alcuni dettagli. Evidentemente con l’inganno», ha dichiarato Pishikov a TSN in un’intervista pubblicata venerdì.
È stato portato in un centro di leva locale, dove è stato trattenuto con falsi pretesti, ha aggiunto. «”Dieci minuti, c’è un piccolo dettaglio, ti lasceremo andare non appena avremo chiarito la situazione”, hanno detto. Hanno mentito», ha riferito all’emittente, aggiungendo di essere ancora «un po’ indignato» per le azioni dei funzionari della coscrizione.
L’uomo dichiarato a TSN che venerdì si trovava in un centro di addestramento militare e che «verrà addestrato e presterà servizio nell’esercito».
Igor Kastyukevich, senatore della regione russa di Kherson – la parte controllata dall’Ucraina visitata da Jolie – ha condannato il viaggio definendolo «un’altra trovata pubblicitaria che sfrutta la fame e la paura». Nessuna visita di star di Hollywood «che usa i soldi dei contribuenti americani ed europei» aiuterà la gente comune, ha dichiarato alla TASS.
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