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Renovatio 21 recensisce il Batmanno

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Dopo la trionfale triade del Christoper Nolan, che ha goduto di un successo immenso e non del tutto meritato, Batman è tornato  reboottato al cinema con una pellicola chiamata The Batman. Hanno aggiunto, cioè, l’articolo determinativo – e quindi pensiamo che per differenziarsi da questo film, la prossima serie potrebbe usare l’articolo indeterminativo: A Batman, «un Batman», nel senso di «un Batman a caso», nel pieno sentimento di mediocrità e impotenza del supereroe che nel presente film comincia ad avvertirsi.

 

Per il momento, tuttavia, malgrado la shfiga che comincia ad irradiare dal costume, Bruce Wayne si chiama The Batman. Gli importatori italiani – la genìa che 30 anni fa tradusse Silence of The Lambs in (letteralmente «il Silenzio degli Agnelli») ne Il Silenzio degli Innocenti, perché timorosa di offendere la real casa FIAT – avrebbero dovuto chiamarlo quindi chiamarlo Il Batman. E invece niente: rimane il titolo totalmente anglofono.

 

A noi invece va di chiamarlo italofonicamente: quindi, Il Batmanno. Perché seguiteci: Herman – Ermanno. Norman – Normanno. Batman – Batmanno. (E Supermanno, Spidermanno, Acquamanno etc.)

 

Ora, dopo questa edificante introduzione linguistica in pieno stile Renovatio 21, parliamo del film che, va detto, si lascia pur guardare.

 

Siamo anni luce lontani dai predecessori: non c’è la psicosi disneyana di Tim Burton e Michael Keaton, parimenti non c’è il giustizialismo cervellotico del Nolan.

 

 

C’è qui, piuttosto, un ritorno al vecchio telefilm degli anni Sessanta, quello ora inguardabile se non come capolavoro camp, kitch, al limite dell’idolatria gay: lo ricordate, quello che le reti di Berlusconi, negli anni Ottanta, mandavano in onda ad abundatiam, anche al mattino, quello dove Joker era interpretato un attore talmente motivato che si metteva il cerone bianco sopra i baffi, che con evidenza non riteneva valeva la pena di tagliarsi, confidando nella bassa definizione degli allora minuscoli schermi domestici.

 

Perché dire una tale enormità? Il nuovo film – che hanno presentato come dark, anzi emo – e la vecchia serie con i POW! BOF! KAPOW! e le sopracciglia di Batman disegnate con il gesso bianco?

 

Ebbene sì: assistiamo subito a qualcosa che era mancato nei Batmani cinematografici precedenti: l’immistione del supereroe nello staff della Polizia, gli esami certosini della scena del crimine attorniato dai poliziotti, complice il commissario Gordone.

 

È questo un grande ritorno alla vecchia serie in costume, dove il camminare avanti e indietro mentre si ragionava dinanzi alle forze dell’ordine, era una delle tre principali categorie cinetiche dell’universo del vecchio Batman: muoversi con la scomodissima Batmobile cabriolet, picchiare come fabbri i manigoldi con sotto la musichetta irresistibile e il florilegio di onomatopee, e infine appunto la camminata pensosa indoor con il quale il nostro metteva a parte polizia e spettatori dei suoi preziosi ragionamenti.

 

Anche qui è così. Solo che siamo nel 2022, del dopo-George Floyd, per cui la polizia USA è di partenza stronza e bigotta, e di fatto l’unico veramente buono è il commissario Gordone, che è nero (abbastanza), e poi un poliziotto latino a caso, il quale all’inizio tratta vergognosamente il Batmanno (che subisce assai fantozzianamente) ma poi, dopo ore di film, si sa riscattare con simpatia e saggezza etnica.

 

I poliziotti bianchi, invece, sono un disastro, soprattutto i capi, ed eccoli infatti che vengono trucidati. Come i politici: il procuratore distrettuale, talmente bianco che l’attore ha un cognome nordico, è un puttaniere drogato, e infatti muore. Il sindaco, bianchissimo pure lui, è parimenti puttaniere e corrotto, ed anche lui viene ammazzato alla grandissima. Il futuro sindaco è invece una donna nera che, gentilissima verso il Bruce Wayne, è a prova di proiettile: le sparano ad un comizio, ma sopravvive, e quindi porta a casa sia l’essere vittima che la sopravvivenza. Bingo. Altri bianchi non raccomandabili sono gli italiani mafiosi, che abbondano, e fanno le cose più moralmente rivoltanti: anche loro avranno quel che si meritano, perché fanno schifo, anche se sono però in grado di turlupinare a lungo il Batmanno e perfino suo padre.

 

Un capitolo a sé è il caso di Catwoman, che non siamo sicuri di voler chiamare Catwomanna, interpretata dalla figlia del cantante ebreo Lenny Kravitz e della Denise de I Robinson, il classico telefilm di quel Bill Cosby ora per lo più ricordato per l’accusa di essere uno stupratore seriale che drogava le sue vittime. OK, la madre di Catwoman si chiama Lisa Bonet, ed è nota ai millennial che hanno il culto dell’enigmatica e tetra pellicola di Alan Parker Angel Heart, e pure agli amanti del gossip per essere la madre dei figli del Jason Momoa, appunto l’Acquamanno, che è un po’ più piccolo di lei.

 

Scriviamo queste cose perché in verità non abbiamo niente da dire su questa versione romantico-BLM del personaggio, volutamente opposta al lucore lattiginoso della pelle della predecessora Michelle Pfeiffer.

 

Non abbiamo niente da dire perché la delusione per noi è automatica: dopo anni pandemici a parlare di Batwoman – la mitica Shi Zhengli, la scienziata del laboratorio di Wuhano che sembra al centro dello sconvolgimento del pianeta tutto – ci dobbiamo accontentare di una Catwoman, per di più etnopoliticamente corretta, e con il complesso di Elettra. Tanto più che qui hanno fatto una Batcaverna strapiena di veri pipistrelli, quindi immaginatevi la quantità di mefitico guano chirottero, che la vera Batwoman avrebbe saputo trattare a dovere.

 

Vabbè.

 

Epperò il cattivo è interessante, perché dicono che ricalchi la figura del seguace della cultura Incel, ossia degli scapoli involontari organizzati (la parola «sfigato», sospettiamo, etimologicamente deriva da lì, con prefisso privativo) che ad una certa di recente sono diventati violenti, con qualche episodio che sapeva di programmazione terroristica. Sulle teorie Incel Renovatio 21 starebbe preparando un articolo, ma il collaboratore incaricato latita, e anzi, guardate, se ci sta leggendo gli tiriamo pure le orecchie di fronte a tutti, anche alla sua fidanzata.

 

Il cattivo, l’Enigmista, è rilevante anche perché permette di intravedere un ulteriore segno dei tempi finito in sceneggiatura: il male sta sulle chat private dei social, il cattivissimo è uno che streamma, e ha un certo numero di follower che diventano suoi complici. Quindi: ci vuole la censura, il controllo della rete, ma scherziamo? Il Batmanno è lì anche per questo: evitare che dei mattacchioni determinati abbiano anche un limitato successo in rete; di fatto, se vi censurano sui social, è perché da anni corre sui vostri profili un algoritmo Batman, anzi, rinominiamo lo shadowban in batman-ban, bat-ban, shadowbatban, insomma una cosa così.

 

Di fatto, lo sfigato Incel in poche settimane fa più di quanto il Batmanno ha fatto in una vita: individua un network segretissimo di corrotti che vanno dalla politica alla polizia alla mafia e li fa fuori in modo spettacolare, di modo da inviare al mondo un messaggio di speranza e di giustizia. Tutto questo, mentre il miliardario mascherato se ne va in giro a bussare a sangue teppistelli che, a dirla tutta, nemmeno ci sembrano bianchissimi.

 

A questo punto, lo sfigato in effetti è il Batman.

 

Del resto, è così per design: hanno voluto fare il supereroe emo, sentimentale, incerto, con l’occhio truccato, l’infelicità impressa in faccia, e la mancanza di muscolo visibile (l’attore, Robert Pattinsone, ha rifiutato il segreto di Pulcinella di Hollywood, e cioè gli steroidi: bravo, coraggioso, unico).

 

Il regista aveva dichiarato che il suo modello per il personaggio era Kurt Cobain, e noi andiamo in cortocircuito: il cantante eroinomane e suicida dei Nirvana, tragicamente sposato a Courtney Love, come supereroe? Deve mancarci qualche passaggio, il salto dalla Seattle del grunge a Gotham City minga ci è chiarissimo, tuttavia la cosa è seria, perché una tristonzola canzone minore dei Nirvana – Something in the way – è ripetuta durante il film.

 

È un Batman di austerity, di restrizione pandemica, un Batmanno della decrescita infelice, del Club di Roma.

 

In linea con ciò, l’incredibile insulto all’istituzione della Batmobile, qui ridotta a muscle car buzzurrissima che pare uscita da un meccanico autotuning pronta per i neon sotto la scocca e una botta di aerografo che la spinga verso l’Olimpo dell’ignoranza automobilistica.

 

Capito? La Batmobile, era un trionfo avveniristico, era il modo in cui i miliardi di Bruce Wayne trovavano l’impiego più giusto, cioè il trasferimento tecnologico verso il futuro dell’automotive. Niente, hanno spostato la lancetta verso Fast&Furious, come se piacesse al pubblico, e come se anche quello, oggi, sia interpretabile come una mancanza di testosterone, cioè di palle.

 

Insomma, c’è tanto da digerire.

 

Almeno non c’è Robin, ed è un sollievo: perché sapete tutti lì dove sarebbero andati a parare.

 

Giudizio finale: guardatelo, non guardatelo, è lo stesso. Tuttavia, potrebbe essere l’ultimo titolo a chiamarsi così, il prossimo, per questioni di parità di gender, potrebbe chiamarsi Batperson, in italiano Batpersona, ed essere interpretato da un transessuale cino-africano di 190 chili e la bandiera dell’Ucraina dietro alla Batmobile, dedito alla pugna più cruenta contro i prolife e i no vax e pure quelli a cui piace Putin.

 

Succede. Tranquilli che succede.

 

 

 

 

Immagine di DC Comics via Wikimedia pubblicata su licenza Pubblico Dominio CCO

 

 

 

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L’Ungheria celebra un millennio di cristianesimo con una croce gigante fatta di droni nel cielo

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L’Ungheria ha celebrato la sua eredità cristiana nel giorno di Santo Stefano con fuochi d’artificio e una croce gigante formata nel cielo dai droni. Lo riporta LifeSite.

 

Il 20 agosto, l’Ungheria ha celebrato la sua festa nazionale, la festa di Santo Stefano I, il primo re d’Ungheria. Durante i festeggiamenti, droni luminosi hanno formato una croce gigante sopra il Danubio, vicino al palazzo del Parlamento.

 

Il ministro degli Affari Esteri e del Commercio Peter Szijjarto ha condiviso un’immagine della croce galleggiante con la didascalia «Altri mille anni», in riferimento al fatto che l’Ungheria è una nazione cristiana da un millennio.

 

Lo spettacolo prevedeva anche fuochi d’artificio, una banda musicale e una processione con le reliquie di Santo Stefano.

 

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«Nel giorno di Santo Stefano celebriamo il nostro millenario Stato cristiano ungherese, fondamento della nostra nazione, pilastro dell’Europa cristiana», ha scritto il premier Vittorio Orban su X. «Orgogliosi di portare avanti questa eredità di fede, forza e indipendenza».

 


Durante il suo primo mandato da primo ministro (1998-2002), l’Orban ha avuto un ruolo chiave nello spostamento della corona di Santo Stefano da un museo al centro del palazzo del Parlamento, un atto simbolico che ha sottolineato l’importanza del patrimonio cristiano dell’Ungheria.

 

«Oggi, 20 agosto, festa di Santo Stefano: celebrazioni in tutto il mondo, ovunque si trovino gli ungheresi», ha affermato l’ambasciatore ungherese presso la Santa Sede, Sua Altezza Imperiale arciduca Edoardo d’Asburgo-Lorena.

 


«Celebriamo oltre 1.000 anni di nazione cristiana» ha scritto SAR.

 

Le immagini dello spettacolo a Budapest sono impressionanti, monumentali in un senso epico e moderno al contempo.

 

 

 

 

 

L’Ungheria ha organizzato uno spettacolo di luci simile il giorno di Santo Stefano degli anni passati, quando i droni hanno pure formato una gigantesca croce fluttuante e una gigantesca corona.

 

 

 

Durante il regime sovietico, la festa di Santo Stefano fu soppressa. Il regime comunista scelse deliberatamente il 20 agosto 1949 come giorno per ratificare la nuova costituzione stalinista, in un apparente tentativo di sostituire la festa e promuovere il comunismo ateo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1989, i 40 anni di occupazione comunista dell’Ungheria terminarono e la festa di Santo Stefano divenne la nuova festa nazionale ungherese.

 

Re Santo Stefano I fu un fervente cattolico e il primo re cristiano d’Ungheria. Papa Silvestro II lo incoronò nell’anno 1000. Morì il giorno dell’Assunzione del 1038 e, sul letto di morte, dedicò il paese a Maria. Lui e suo figlio Emerico furono canonizzati da Papa San Gregorio VII nel 1083.

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«Il gender ha ampiamente pieno possesso dell’opera lirica»

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«Il gender ha ampiamente pieno possesso dell’opera lirica» è quanto scrive Pierluigi Panza su Il Fatto d’arte in un articolo che parla della tendenza in auge nei teatri e nei festival musicali, anche prestigiosi. «Del resto, l’opera è un suo territorio naturale poiché da sempre popolato di castrati, ruoli en-travesti, donne travestite da uomini e viceversa».   Nel Novecento, per convenzione, i ruoli originariamente destinati ai castrati sono stati interpretati da donne con voci da mezzosoprano o contralto en-travesti, spiega il critico. Di conseguenza, le voci tradizionalmente presenti sui palcoscenici mondiali sono state quelle di soprano, mezzosoprano e contralto per le donne, e di basso, baritono e tenore per gli uomini.   Negli ultimi anni, però, si è affermata la voce del controtenore tra gli uomini, inizialmente utilizzata principalmente per ricoprire i ruoli scritti per i castrati. Quello che sembrava un capriccio più che una necessità si è rapidamente trasformato in una tendenza diffusa, con un impatto sorprendente e inaspettato.   «Lo vediamo attualmente nel Festival di Salisburgo, dove in giorni successivi sono state messe in scena Drei Schwestern (le Tre sorelle da Anton Cehov) di Eötvös, Giulio Cesare in Egitto di Haendel e Hotel Metamorphosis, un pastiche su musiche di Vivaldi» racconta il Panza. Nella riformulazione di Tre sorelle, il compositore ha fatto la scelta di affidare tutte le parti femminili a «voci maschili, scelta legata al teatro kabuki che è privo di connotazioni maschili o femminili».

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«Una proposta del genere non può che piacere negli odierni tempi fluidi; così le tre sorelle sono state messe in scena con tre bei marcantoni» scrive il critico che avverte che anche il ruolo del soprano è ora insidiato dal genderimo: «la rivoluzione gender non si è fermata al trionfo diffusionale dei controtenori – quasi ricercate star come lo furono i castrati –, ma ha esteso ai maschi la voce da soprano».   «Così avviene nel Giulio Cesare in Egitto sempre in scena al Festival di Salisburgo. Qui il ruolo del romano Sesto è scritto da Haendel per un soprano o per un contralto castrato, cioè per una donna o per un castrato. A interpretarlo a Salisburgo è Federico Fiorio, un soprano veronese. E via con il resto dei ruoli: Giulio Cesare, Christophe Dumax, è un controtenore; Tolomeo, Yuriy Mynenko, un controtenore e Nireno, Jake Ingbar, pure lui un controtenore».   «È la moda del gender, bellezza!» conclude il critico d’arte.   Eravamo rimasti all’idea, diffusa dai giornali e dalle psicologhe invitate nelle scuole elementari cattoliche, che la teoria del gender non esiste. E invece, il gender è all’opera.

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Gli Oasis contro le «lesbiche atee di sinistra»

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Il chitarrista e cantante degli Oasis, Noel Gallagher, durante il concerto del 30 luglio allo stadio di Wimbledon, tra due canzoni ha fatto una domanda particolare al suo pubblico di migliaia di persone

 

«Ci sono lesbiche atee di sinistra?» ha domandato il musicista mancuniano con la chitarra a tracolla. «Potete alzare la mano, per favore?».

 

«Nemmeno una» prosegue il Gallagher, infilandoci dentro la classica parolaccia anglofona con la «f». «Che razza di cultura siamo diventati, eh? Che disgrazia».

 

«La prossima canzona è per le lesbiche atee» dice il Noele. Il pubblico ride, lui parte con una canzone, Where Did It All Go Wrong? (2000).

 

 

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Il Gallagher stava prendendo in giro una comica progressista che sosteneva che gli Oasis fossero la ragione per cui nessuno si presentava ai suoi spettacoli.

 

Kate Smurthwaite si descrive come una «comica, scrittrice, attivista». Il pubblico britannico la ricorda per svariate clip sulla guerra culturale risalenti a quasi un decennio fa, in cui difendeva il femminismo, il politicamente corretto e altro ancora, spesso venendo presa in giro. Un sito di stand up comedy la descrive nella sua pagina di biografia come «una comica e attivista di sinistra, femminista, atea e poliamorosa».

 

La scorsa settimana la Smurthwaite si è cimentata nella parte di stand-up comedy della sua carriera al Fringe Festival di Edimburgo e sfortunatamente il suo spettacolo ha coinciso con un concerto degli Oasis durante la tappa del tour di ritorno della band in Scozia.

 

Mercoledì scorso, la comica lesbica ha pubblicato un video da un locale in cui si vedeva una sala vuota 25 minuti dopo l’inizio previsto del suo spettacolo.

 

 

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«Questo è l’effetto Oasis», ha affermato. «Grandi gruppi di persone con magliette degli Oasis non sono interessati al mio spettacolo né a quello di nessun altro».

 

In un video successivo in cui si vedono folti peli protudere imperiosamente dalle sue ascelle, la Smurthwaite si è lamentata del fatto che il concerto degli Oasis non avrebbe dovuto essere programmato contemporaneamente al festival d’arte e che i notiziari hanno «distorto la storia» che circondava le sue affermazioni.

 

 

Ha ampliato la sua lamentela iniziale sul fatto che gli Oasis dovrebbero essere più rispettosi nei confronti degli altri artisti, aggiungendo che la storia era stata «trasformata in qualcosa del tipo: “un’orrenda comica femminista non riesce ad avere un pubblico per il suo spettacolo perché è sveglia, non è divertente, nessuno è interessato, non è brava come gli Oasis, è amareggiata e furiosa”».

 

La Smurthwaita ha affermato che la copertura mediatica stava oscurando questioni più importanti che affliggono la Gran Bretagna, come il «cambiamento climatico» e le «orribili politiche razziste sull’immigrazione».

 

Nel 2021, a ridosso delle elezioni, il Gallagherro si era scagliato contro il Partito Laburista, reo di essere talmente impresentabile da farsi battere dal Partito Conservatore di Boris Johnson.

 

«Boris Johnson è il simbolo di quanto disgraziato sia il Labour Party, perché se quel fottuto uomo e questo Conservative Party hanno vinto di misura contro il Labour Party allora ho paura di cosa dovremmo dire del partito laburista: una fottuta disgrazia» aveva dichiarato il chitarrista intervistato in un podcasto.

 

«Hanno tradito la classe operaia, hanno tradito la cazzo di gente qualunque e hanno permesso a questa fottuta disgrazia di governare il Paese» ha chiosato l’artista mancuniano. «Il Partito Laburista moderno sono stronzi della classe media che odiano la classe operaia, cazzo, la odiano; è tutto qui e questi cazzo di Tories sono tipo: “Noi li patrociniamo allora”. Quando si sono presi tutti i voti a Nord Boris probabilmente è tornato a Londra e ha detto “Bene, che vadano a fanculo”».

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In passato Renovatio 21 non è stata tenere con gli Oasis, riportando della tragedia che nel dicembre 2021 costrinse 60 persone, bloccate da una tempesta di neve, ad ascoltare per tre giorni cover del gruppo: un evento dove, fortunatamente, non si ebbero vittime.

 

«Non è noto quante volte sia stata ripetuta la cover di Wonderwall, e quali altre perle insopportabili dei litigiosi fratelli mancuniani siano state inferte alla popolazione bloccata nella locanda» scriveva questo sito. «Al momento Renovatio 21 non è in grado di affermare se si sia trattato di un nuovo studio di un progetto MK Ultra segretamente rilanciato, una nuova ricerca dei limiti di sopportazione della mente umana posta sotto immenso stress e tortura. Gli Oasis come arma psicologica tuttavia potrebbero funzionare assai».

 

«Si ritiene che agli Oasis sia inoltre possibile imputare un altro immane danno all’umanità, che è la diffusione – in ispecie in Italia – del nome Liam» aggiungevamo non senza allarme ed amarezza.

 

Tuttavia, visti i recenti sviluppi, ci chiediamo: che sia il caso di ricredersi?

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