Pensiero
R2020, smettiamola di chiamarla «arte». Tantomeno «politica»

L’epifenomeno R2020 – portatore di un nome alfanumerico in scadenza pur essendo neonato – ha scombussolato per la durata di qualche settimana la galassia antisistema, quella che gravita intorno ad alcune evidenze storiche e scientifiche relative alla cosiddetta pandemia e alle molte incongruenze della sua gestione sanitaria, politica, mediatica.
All’ingrossarsi delle fila dei cosiddetti «complottisti» – per eccesso di evidenze e incongruenze non compatibili con la narrazione canonica – qualcuno deve aver pensato che era il momento di passare all’incasso. E di intestarsi tutto quell’esuberante ben di Dio.
All’ingrossarsi delle fila dei cosiddetti «complottisti» qualcuno deve aver pensato che era il momento di passare all’incasso. E di intestarsi tutto quell’esuberante ben di Dio
Dal collage complottista…
Ed ecco, dal nulla, risuonare in Parlamento uno stravagante sermone patchwork, e rimbalzare dappertutto, ottenendo come per magia l’effetto pressoché immediato di unire i complottisti di tutta Italia (e mica solo di quella) dietro un nuovo estemporaneo beniamino.
È bastato sganciare nel cuore delle istituzioni un petardo artigianale preparato affastellando tutti i pezzi sparsi del pensiero alternativo raccattati sui social e cuciti insieme con qualche citazione simil-dotta e una spruzzata di latinorum.
È bastato sganciare nel cuore delle istituzioni un petardo artigianale preparato affastellando tutti i pezzi sparsi del pensiero alternativo raccattati sui social e cuciti insieme con qualche citazione simil-dotta e una spruzzata di latinorum
Ne è uscito qualcosa come il temino di quello, o quella, che copia dal compagno di banco, ma alla farina del sacco altrui aggiunge di proprio pugno qualche ghirigoro inedito, e qualche errore di sintassi e di punteggiatura.
Pensierini scritti male e letti peggio, ma capaci di intercettare i motivetti più orecchiabili della nuova canzone popolare: talmente tanta era l’attesa per l’epifania di un capopolo (o capapopolo) che nessuno è andato troppo per il sottile e tutti hanno risposto al richiamo del primo candidato che è riuscito nell’impresa di recitare in sei minuti la lista quasi completa degli slogan di contro-ordinanza.
… al circo New Age
Il numero inscenato a Montecitorio ha poi avuto un seguito sorprendente. Un seguito che, per la verità, era in agenda prima del monologo parlamentare, visto che il nome del movimento in gestazione era già stato concepito e registrato.
Un pensierino scritto male e letto peggio, ma capace di intercettare i motivetti più orecchiabili della nuova canzone popolare: talmente tanta era l’attesa per l’epifania di un capopolo (o capapopolo)
Fatto sta che, capitalizzato tanto consenso con tanto poco sforzo, si è evidentemente pensato che tanto valeva esagerare, chiamare a raccolta gli amici, gli amici degli amici, e buttarla sul folklore senza confini.
E così si è allestito un circo con «anime stupende che si sono unite a noi e hanno deciso di mettere a disposizione di tutti i partecipanti la loro #arte e il loro #talento» per svelare i loro segreti, quelli «di chi ha riscoperto la propria ritualità e una rinnovata armonia con la natura, che è fuori e dentro di noi».
Un seguito che era in agenda prima del monologo parlamentare, visto che il nome del movimento in gestazione era già stato concepito e registrato
Nello specifico, vengono presentati «Performer, Mangiafuoco, Ritual Body Painter, Acrobati, Disegnatori, Attori, Giocolieri, Musicisti, Scultori e poi Workshop, arti Olistiche, Digitali, Plastiche e tanti altri artisti che vi accompagneranno in questo viaggio dove non sarete dei semplici passeggeri, ma cellule senzienti del sistema immunitario che collaborerà a guarire questa #Terra».
Di fronte a un programma politico così ricco e profondo, uno si poteva aspettare qualche rinsavimento illustre, qualche pubblica presa di distanza. Invece no. Venghino signori venghino che sta per cominciare lo spettacolo.
Vien da considerare allora quanto elementare sia portare a compimento il solito giochino, ben noto nelle stanze dei bottoni quando il dissenso diventa più vivace del dovuto: basta agglutinarlo dietro un nuovo straccio di bandiera per farlo defluire nell’imbuto della irrilevanza, magari condannandolo pure al ridicolo.
Il solito giochino, ben noto nelle stanze dei bottoni quando il dissenso diventa più vivace del dovuto: basta agglutinarlo dietro un nuovo straccio di bandiera per farlo defluire nell’imbuto della irrilevanza, magari condannandolo pure al ridicolo.
Un metodo sempre efficace per disinnescare in un colpo solo i focolai sparsi di reazione spontanea, onesta e sincera. Spessa disperata.
Meglio ancora se persino gli stessi sbandieratori sono quasi inconsapevoli della loro parte, storditi dai fumi della festa, da luci, cerchi sonori e musiche organiche capaci di condurli a «riscoprire e riconoscere nella nostra coscienza gli archetipi dell’Amore, risvegliando un sapere già presente nella nostra anima, dove le forme degli alberi danzano con gli animali e le acque limpide scorrono tra i cristalli», in modo che «come nella scissione dell’atomo, l’energia che libereremo provocherà nuove reazioni d’amore per i colori» e «quando tutti i confini si saranno dissolti e ogni fibra del nostro essere vibrerà e pulserà all’unisono, diventeremo un oceano, persi l’uno nelle mani dell’altro. Ed è lì che nascerà di nuovo l’amore».
Ogni commento è superfluo.
… ai rituali liberatori
Uno potrebbe sperare che la cosa sia finita qui. E però no, c’è ancora dell’altro, perché la pozzanghera eco-esoterica teosofica new age del casaleggismo di ritorno non si è manifestata solo come diversivo grottesco: contiene acqua torbida, e a cascarci dentro c’è il rischio serio di rimanere imbrattati.
La pozzanghera eco-esoterica teosofica new age del casaleggismo di ritorno non si è manifestata solo come diversivo grottesco: contiene acqua torbida, e a cascarci dentro c’è il rischio serio di rimanere imbrattati
Officiare con una sorta di rituale, negli spazi di un ex mattatoio, il battesimo di un movimento con velleità politiche, non è cosa normale. Nonostante si provi a citare in soccorso Giordano Bruno o Ipazia di Alessandria non si va troppo distanti dalle strane religioni delle élite che sulla carta si dice di voler combattere.
In ogni caso, la messa in scena della bruttezza dovrebbe provocare di per sé una istintiva reazione di rigetto in tutti coloro che abbiano a cuore le sorti delle nuove generazioni. Davanti alla degenerazione estetica, morale e culturale senza più alcun freno non si può restare zitti né indifferenti.
Applausi o pomodori
Come sempre, invece, è scattato l’incredibile complesso di sudditanza dello spettatore programmato all’applauso coatto di fronte all’«artista» autocertificato: basta che un tizio si esibisca sopra un palco definendo «arte» la sua performance, che il pubblico si sente obbligato a riconoscergli l’omaggio riservato una categoria intoccabile per definizione.
Nessuno ha più il fegato di fischiare o lanciare ortaggi alla volta di quanti si rendano fieri interpreti dell’imbarbarimento collettivo, nell’esercizio del diritto alla volgarità globalizzata che è promosso e alimentato dalle nuove élite culturali amanti dell’occulto
Qualunque sia l’oltraggio arrecato alla dignità dello spettatore, nessuno ha più il fegato di fischiare o lanciare ortaggi alla volta di quanti si rendano fieri interpreti dell’imbarbarimento collettivo, nell’esercizio del diritto alla volgarità globalizzata che è promosso e alimentato dalle nuove élite culturali amanti dell’occulto.
Tutt’al più qualcuno osa avanzare qualche sommessa critica, chiedendo scusa se si permette di farlo, mettendola sul piano dei gusti e della sensibilità personali, del mi piace non mi piace, pollice su o pollice giù.
E così si alimenta la macchina del brutto, che è poi la macchina del male, distruttrice dell’animo e di una intera civiltà la quale pure, fin dai suoi albori, seppe scolpire in una sola parola il legame indissolubile tra il bello e il buono (kalòs kài agathòs) nell’educare alla virtù.
Il popolo che affollava il teatro antico, destinatario privilegiato di opere grandi e senza tempo, pur essendo per la più parte analfabeta, era perfettamente in grado di apprezzarne la bellezza e la bontà, e di trarne occasione per una elevazione personale sotto il profilo morale, culturale, estetico
Alla kalokagathia distillata nell’arte si abbeverava il popolo che affollava il teatro antico e che, destinatario privilegiato di opere grandi e senza tempo, pur essendo per la più parte analfabeta, era perfettamente in grado di apprezzarne la bellezza e la bontà, e di trarne occasione per una elevazione personale sotto il profilo morale, culturale, estetico.
In quel circuito virtuoso per cui un popolo da un lato attinge linfa vitale dalle sue arti, dall’altro restituisce quanto da esse assorbito per ispirarle e fecondarle ancora.
Il circuito che fatalmente si inverte appena prenda il sopravvento un’etica degenerata capace di innescare un inesorabile processo involutivo e di travolgere tutto.
Il culto della Pachamama sugli altari profanati delle chiese ex cattoliche è espressione somma del medesimo dilagante degrado.
Il culto della Pachamama sugli altari profanati delle chiese ex cattoliche è espressione somma del medesimo dilagante degrado
Se il buon costume esiste ancora
Ma allo scempio pseudoartistico eletto a strumento di promozione politica non c’è soltanto una controindicazione estetica e spirituale. C’è un preciso limite giuridico, oggettivo e cogente.
Il limite generale del buon costume di cui all’art. 21 ultimo comma della Carta Costituzionale è posto a presidio del comune senso della decenza, del decoro e della moralità. Un limite che dovrebbe funzionare soprattutto quando si tratti di proteggere i più piccoli
È la stessa Costituzione, oggi pericolosamente data in pasto a psico-santoni o imbonitori da avanspettacolo, a offrircelo come l’antidoto a certe insidiose derive: il limite generale del buon costume di cui all’art. 21 ultimo comma della Carta Costituzionale è posto a presidio del comune senso della decenza, del decoro e della moralità. Un limite che dovrebbe funzionare soprattutto quando si tratti di proteggere i più piccoli.
Ma se si dismettono le categorie e la lingua del diritto, che ne sorreggono la logica, per brandire la Costituzione come fosse non una legge positiva ma il breviario del Mago di paese, allora si sconfina senza più punti di riferimento in un altro campo, quello di una falsa religione senza logos capace di stravolgere ogni principio regolatore della vita collettiva.
Ad Maiora
In un momento complesso e drammatico come l’attuale non abbiamo bisogno di guru, di «anime stupende», di epifanie, di rituali, di folklore.
In un momento complesso e drammatico come l’attuale non abbiamo bisogno di guru, di «anime stupende», di epifanie, di rituali, di folklore
C’è un popolo stremato che non merita becchime tossico né ulteriori delusioni, ma deve semplicemente ritrovare l’orgoglio di riunirsi intorno al patrimonio di valori e di bellezza sedimentato nella terra dei propri padri in più di due millenni di storia.
E di difenderlo per salvare la vita dei propri figli e il loro futuro.
Elisabetta Frezza
Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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Pensiero
Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Pensiero
La questione di Heidegger

Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».
Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».
Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.
Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.
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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.
Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.
L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.
Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.
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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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