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Gender

Quasi il 40% degli studenti di una prestigiosa università USA si identifica come LGBTQ

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Una delle scuole più prestigiose d’America, la Brown University, ha visto un’impennata degli orientamenti sessuali LGBTQ negli ultimi dieci anni, con quasi quattro studenti su dieci che ora si identificano come qualcosa di diverso dall’eterosessuale.

 

Un sondaggio del mese scorso del quotidiano dell’università della Ivy League, il Brown Daily Herald, ha rilevato che il 38% degli studenti ora si identifica come LGBTQ. Ciò si confronta con il 14% nel 2010, il primo anno da cui erano disponibili i dati.

 

La maggior parte dell’impennata è avvenuta negli ultimi tre anni. In effetti, quasi l’80% degli studenti si identificava ancora come eterosessuale solo nel 2019.

 

Un articolo del Washington Examiner della scorsa ha suggerito che il balzo di Brown nell’identificazione LGBTQ riflette un «contagio sociale» piuttosto che un drammatico cambiamento negli orientamenti sessuali del corpo studentesco o un improvviso aumento della fiducia nell’esprimere apertamente le identità LGBTQ.

 

Lisa Littman, una ricercatrice sulla disforia di genere che in precedenza era assistente professore alla Brown, ha sostenuto che alcuni giovani si identificano come transgender a causa della peer pressure, la «pressione dei pari», ossia le dinamiche di conformismo interne ai microgruppi sociali.

 

Si tratta di un fenomeno noto: Uno studio pubblicato a inizio anno sulla rivista scientifica Archives of Sexual Behavior ha rilevato che le ragazze adolescenti con amici transgender avevano maggiori probabilità di dichiararsi transgender. Lo studio ha anche collegato l’uso massiccio dei social media all’identificazione transgender.

 

Uno studio dello scorso anno del Center for the Study of Partisanship and Ideology ha rilevato che i tassi di identificazione LGBTQ vanno dal 51% al 70% in tre delle scuole private di arti liberali più elitarie d’America: i college Oberlin, Wellesley e Smith.

 

Eric Kaufmann, un ricercatore del think tank, ha dichiarato al sito College Fix che il comportamento sessuale non è cambiato allo stesso ritmo dell’identificazione sessuale. «Se si trattava di persone che si sentivano in grado di fare coming out, allora avremmo dovuto vedere queste due tendenze crescere insieme», ha affermato.

 

Brown, con sede a Providence, Rhode Island e fondata una dozzina di anni prima dell’inizio della rivoluzione americana, è il settimo college o università più antico degli Stati Uniti, e un ateneo ritenuto parte della prestigiosa rosa dell’Ivy League, la serie dei college più esclusivi ed ambiti degli USA.

 

Brown trovava al numero 13 in una classifica delle università quadriennali della nazione secondo US News & World Report. Lezioni, tasse, alloggio e altri costi ammontano a quasi 90 mila dollari all’anno.

 

La scuola ha registrato un calo del 25% nell’identificazione eterosessuale tra il 2010 e il 2023, secondo il sondaggio. Le identificazioni omosessuali sono aumentate del 26%, mentre il numero di studenti che si identificano come bisessuali è più che triplicato. Le identificazioni LGBTQ «altre» sono aumentate del 793%.

 

Le identificazioni LBGTQ alla Brown sono più di cinque volte il tasso nazionale. Un sondaggio Gallup all’inizio di quest’anno ha rilevato che il 7,2% degli adulti statunitensi si identifica come qualcosa di diverso dall’eterosessuale, il doppio rispetto a un decennio fa.

 

Quasi il 21% degli adulti della cosiddetta Generazione Z, i nati dopo il 1997, si identifica come LGBTQ.

 

Come riportato da Renovatio 21, un nuovo rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), l’ente americano di controllo delle epidemie, ha rilevato che un quarto degli studenti delle scuole superiori statunitensi si identifica come omosessuale, bisessuale o «questioning», che sarebbe una sorta di identificazione compresa talvolta nella sigla LGBTQIQ+.

 

La cifra dei «non-etero» è più che raddoppiata dal 2015.

 

Sulla base dei dati raccolti nel 2021, il rapporto del CDC ha rilevato che il 72,4% degli studenti delle scuole superiori si identifica come eterosessuale, in calo rispetto a quasi il 90% nel 2015; Il 3,2% si identifica come gay o lesbica, il 12% si identifica come bisessuale e il 9% come «altro» o «questioning».

 

 

 

 

 

 

 

Immagine di Dale182 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Gender

Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»

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Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.

 

Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.

 

I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.

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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.

 

Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.

 

«Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.

 

«Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.

 

«Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.

 

Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.

 

Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.

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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.

 

Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.

 

La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?

 

Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?

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Arte

Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix

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Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.   Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».   «I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.   Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.   Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia  
 
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Gender

La Commissione Europea svela la sua strategia LGBTQ

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La Commissione Europea sta lavorando per promuovere la causa degli attivisti LGBTQI, verso una transizione di genere senza ostacoli, nonostante le scoperte scientifiche sulla salute di bambini e adolescenti. Mira inoltre a incoraggiare la pratica della maternità surrogata.

 

L’8 ottobre, la Commissaria Europea per l’Uguaglianza, la Preparazione e la Gestione delle Crisi, Hadja Lahbib, ha presentato la «strategia rinnovata per la parità di trattamento delle persone LGBTQI dopo il 2025» della Commissione Europea.

 

Sono elencati tutti gli ambiti in cui le istituzioni dovrebbero tenere conto della necessaria difesa dei diritti delle persone LGBTQI, citando ambiti diversi come il sostegno alle vittime, la ricerca, la sicurezza durante gli assembramenti, la prevenzione di crisi geopolitiche, attacchi informatici e calamità naturali, la cultura e i media audiovisivi, lo sport, le commemorazioni e il lavoro di commemorazione delle persecuzioni che queste persone hanno subito nel corso della storia.

 

La Commissione propone agli Stati membri una moltitudine di strumenti e meccanismi per affrontare la questione. Si impegna a stanziare fondi, per un totale di 3,6 miliardi di euro, per la difesa delle persone LGBTQI+ in Europa. Il documento indica una riduzione dei finanziamenti, ma «nel Sud e nell’Est del mondo». Non negli Stati membri dell’Unione Europea.

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Transizione di genere

La Commissione deplora il fatto che «alcuni Stati membri impongano ancora l’intervento medico come condizione per il riconoscimento giuridico del genere». Un «cambiamento di genere» nello stato civile dovrebbe essere concesso su semplice richiesta.

 

La transizione non deve essere soggetta a limiti di età: «a Commissione faciliterà lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri per sostenere lo sviluppo di procedure legali per il riconoscimento del genere basate sull’autodeterminazione, senza criteri di età».

 

Genitorialità

In nome della «parità di diritti tra gli Stati membri», la Commissione chiede il riconoscimento reciproco in materia di regimi patrimoniali tra coniugi, divorzio, successioni e filiazione.

 

Le istituzioni europee utilizzano il principio della libera circolazione per garantire che le coppie dello stesso sesso sposate in un paese mantengano gli stessi diritti in un altro paese in cui tali matrimoni non sono riconosciuti. Per quanto riguarda la filiazione: «il diritto dell’UE impone già agli Stati membri di riconoscere la filiazione di un minore così come stabilita in un altro Stato membro».

 

Tuttavia, è necessario sottolineare che stabilire la filiazione è una prerogativa dello Stato, come ricordato dall’iniziativa della Slovacchia di sancire il divieto di maternità surrogata nella propria Costituzione.

 

La Commissione osserva che «i minori possono perdere i loro diritti di successione o di mantenimento in un altro Stato membro, o il diritto di avere uno dei genitori come loro rappresentante legale». Ritiene che ciò costituisca una limitazione alla libertà di circolazione, utilizzando questo meccanismo per invadere l’ambito della filiazione, che non è una sua prerogativa.

 

Nel 2020, Ursula von der Leyen ha dichiarato: «se sei genitore in un Paese, sei genitore in tutti i Paesi». La strategia post-2025 della Commissione ribadisce questo impegno: «il rapporto di filiazione stabilito in uno Stato membro deve essere stabilito in qualsiasi altro Stato membro, a tutti gli effetti, al di là di quanto già garantito dalla legislazione europea in materia di libera circolazione».

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Maternità surrogata

La Francia ha già autorizzato il matrimonio e l’adozione per le coppie dello stesso sesso; tuttavia, la maternità surrogata rimane vietata per il momento. Se la proposta della Commissione europea verrà adottata, i cittadini francesi non avranno difficoltà a stabilire la filiazione tramite maternità surrogata.

 

Il 13 ottobre 2025, la Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha votato la bozza della sua relazione sulla Strategia per la parità di genere 2025, che definirà la strategia della Commissione europea in materia. In questa occasione, la Commissione ha adottato un emendamento che «condanna la pratica della maternità surrogata».

 

Ma un altro emendamento, anch’esso adottato, ha sostenuto l’attuazione di un «Certificato europeo di genitorialità». Questo imporrebbe agli Stati membri di riconoscere la filiazione dei bambini nati tramite maternità surrogata in un altro Stato. A novembre, la posizione definitiva sarà votata in sessione plenaria. Da che parte penderà la bilancia?

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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