Storia
Quando il fondatore del sionismo incontrò San Pio X

L’intellettuale ebreo austro-ungherese Teodoro Herzl (1860-1904) è considerato come il padre del sionismo. La creazione del moderno Stato di Israele discende direttamente dalle sue idee.
La collina di Gerusalemme dove è stato portato il suo corpo è ora chiamata Monte Herzl. La città israeliana di Herzliya, fondata nel 1924 da sette famiglie di coloni ebraici, prese il nome dal padre del sionismo. Gli amanti del cinema lo conoscono perché è citato, in maniera grottesca, nel capolavoro del 1999 Il Grande Lebowski. (– «Se lo vuoi con forza non è un sogno» – «… che cosa hai detto?» – «Theodor Herzl. Lo Stato di Israele. Se lo vuoi con forza non è un sogno»)
Herzl girò l’Europa in cerca di sostegno per il suo progetto di ritorno degli ebrei in Palestina, e finì a Venezia dove incontrò il ritrattista papale austriaco, Berthold Dominik Lippay (1864-1919), che acconsentì a procurargli un’udienza con il papa di quel tempo: papa Pio X. L’udienza fu concessa. Di questa storia e del suo significato abbiamo già accennato in un articolo precedente.
Quello che segue è il resoconto dell’incontro che Herzl notò nei suoi Diari, riportata dal sito della parrocchia di Riese, paese natale di papa Sarto.
Nel luglio dello stesso anno, appena sei mesi dopo l’incontro con il Santo, Herzl morì.
110 anni dopo, durante il suo viaggio in Terra Santa, papa Bergoglio, accompagnato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu si è recato a rendere omaggio alla tomba di Herzl.
Lasciamo al lettore ogni valutazione storica, metastorica, spirituale.
Ieri ero con il Papa. Il percorso mi era già noto visto che avevo incontrato Lippay più volte. Ho passato i lacchè svizzeri, che sembravano chierici, e religiosi che sembravano lacchè, i funzionari papali e i ciambellani.
Sono arrivato 10 minuti prima del tempo e non ho nemmeno avuto bisogno di aspettare. Sono stato condotto dal Papa attraverso numerose piccole sale di ricevimento.
Mi ha ricevuto in piedi e mi ha teso la mano, che io non ho baciato. Lippay mi aveva detto che dovevo farlo, ma non l’ho fatto. Credo di essere incorso nel suo dispiacere per questo, poiché tutti coloro che lo incontrano si inginocchiano e quanto meno gli baciano la mano.
Questo baciamano mi aveva causato un sacco di preoccupazione. Sono stato molto contento quando l’ho finalmente superato.
Si è seduto su una poltrona, un trono per le occasioni minori. Poi mi ha invitato a sedermi accanto a lui e mi ha sorriso come in attesa amichevole.
Ho iniziato: «Ringrazio Vostra Santità per il favore di m’aver accordato quest’udienza» [In italiano nel testo originale].
«È un piacere», ha detto con disapprovazione gentile.
Mi sono scusato per il mio italiano miserabile, ma ha detto: «No, parla molto bene, signor Commendatore». Poiché avevo indossato per la prima volta, su consiglio di Lippay, il mio nastro Mejidiyye [ndt: onorificenza militare e cavalleresca dell’Impero Ottomano], di conseguenza, il Papa si rivolgeva a me sempre come Commendatore.
Lui è un buon parroco di paese, grezzo, per il quale il cristianesimo è rimasto una cosa viva anche in Vaticano.
Gli ho presentato brevemente la mia richiesta. Egli, tuttavia, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, ha risposto in tono severo e risoluto:
«Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli ebrei di andare a Gerusalemme, ma non possiamo mai favorirlo. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è stata santificata per la vita di Jesu Cristo (lui non pronuncia Gesù, ma Yesu, al modo veneziano). Io come capo della chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo».
Quindi il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, è stato aperto ancora una volta.
All’inizio, per essere sicuro, ho cercato di essere conciliante. Ho recitato il mio piccolo pezzo sull’extra-territorialità, res sacrae extra commercium [i luoghi santi tolti al commercio]. Ma non ha fatto una grande impressione. Gerusalemme, ha detto, non deve finire nelle mani degli ebrei.
«E il suo stato attuale, Santo Padre?»
«Lo so, non è piacevole vedere i turchi in possesso dei nostri luoghi santi. Dobbiamo semplicemente fare i conti con questo. Ma sostenere gli ebrei nell’acquisizione dei Luoghi Santi, quello non possiamo farlo».
Ho detto che il nostro punto di partenza era stato solo la sofferenza degli ebrei e che volevamo evitare i problemi religiosi.
«Sì, ma noi, e io come il capo della Chiesa, non possiamo fare questo. Ci sono due possibilità. O gli ebrei si aggrappano alla loro fede e continuano ad attendere il Messia che, per noi, è già apparso. In questo caso essi non faranno che negare la divinità di Gesù e noi non li possiamo aiutare. Oppure vanno lì senza alcuna religione, e allora potremo essere ancora meno favorevoli a loro».
«La religione ebraica è il fondamento della nostra; ma è stata sostituita dagli insegnamenti di Cristo, e non possiamo concederle alcuna ulteriore validità. Gli ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, non l’hanno fatto fino ad ora».
Avevo sulla punta della lingua: «Questo è ciò che accade in ogni famiglia. Nessuno crede nei propri parenti». Ma ho detto invece: «Terrore e persecuzione potrebbero non essere stati i mezzi giusti per aprire gli occhi agli ebrei».
Ma ha replicato, e questa volta è stato magnifico nella sua semplicità:
«Il nostro Signore è venuto senza potere. Era povero. È venuto in pace. Non ha perseguitato nessuno. È stato perseguitato».
«È stato abbandonato anche dai suoi apostoli. Solo più tardi è cresciuto in statura. Ci sono voluti tre secoli alla Chiesa per evolvere. Gli ebrei hanno avuto quindi il tempo di riconoscere la sua divinità, senza alcuna pressione. Ma non l’hanno fatto fino ad oggi».
«Ma, Santo Padre, gli ebrei sono in difficoltà terribili. Non so se Vostra Santità è informato della piena portata di questa triste situazione. Abbiamo bisogno di una terra per queste persone perseguitate».
«Deve per forza essere Gerusalemme?»
«Non stiamo chiedendo Gerusalemme, ma la Palestina, solo la terra laica».
«Non possiamo essere a favore di ciò».
«La Vostra Santità conosce la situazione degli ebrei?»
«Sì, fin dai miei giorni a Mantova. Lì vivono degli ebrei e sono sempre stato in buoni rapporti con gli ebrei. Solo l’altra sera due ebrei sono venuti qui a trovarmi. Dopo tutto, ci sono altri legami diversi da quelli della religione: cortesia e filantropia. Questi non li neghiamo agli ebrei. In effetti, preghiamo anche per loro: che le loro menti siano illuminate. Oggi stesso la Chiesa celebra la festa di un non credente che, sulla via di Damasco, si convertì miracolosamente alla fede vera. E così, se andate in Palestina e sistemate lì la vostra gente, dovremo avere chiese e sacerdoti pronti a battezzare tutti voi».
Il Conte Lippay si era fatto annunciare egli stesso. Il Papa gli ha permesso di entrare. Il conte si è inginocchiato, gli ha baciato la mano, poi si è unito alla conversazione raccontando del nostro incontro «miracoloso» alla birreria Bauer di Venezia. Il miracolo era che aveva inizialmente previsto di passare la notte a Padova. Visto che è successo, avevo espresso il desiderio di poter baciare il piede del Santo Padre.
A questo punto il Papa si è scurito in volto, perché non gli avevo nemmeno baciato la mano. Lippay ha continuato a dire che avevo espresso apprezzamento sulle nobili qualità di Gesù Cristo. Il Papa ascoltava, a volte prendeva un pizzico di tabacco, e starnutiva in un grande fazzoletto di cotone rosso. In realtà, questi tocchi contadini sono ciò che mi piace di più di lui e ciò che motiva il mio rispetto.
In questo modo Lippay voleva spiegare perché mi aveva presentato, forse per scusarsi. Ma il Papa ha detto: «Al contrario, sono contento che mi hai portato il signor Commendatore».
Per quanto riguarda la vera e propria questione, ha ripetuto quello che mi aveva detto: Non possumus [Non possiamo]!
Fino al momento del congedo Lippay ha passato del tempo in ginocchio davanti a lui e non sembrava averne abbastanza di baciargli la mano. Quindi mi sono reso conto che il Papa gradiva questo genere di cose. Ma anche nel congedo, tutto quello che ho fatto è dargli una calda stretta di mano e un inchino.
Durata dell’udienza: circa 25 minuti.
Nelle stanze di Raffaello, dove ho trascorso l’ora successiva, ho visto la foto di un imperatore in ginocchio per permettere al Papa seduto di mettergli la corona in testa.
Questo è il modo in cui Roma lo vuole.
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Economia
Gruppi ebraici chiedono un nuovo risarcimento per i conti bancari svizzeri legati ai nazisti

Il colosso bancario svizzero UBS potrebbe dover chiedere miliardi di dollari di risarcimento ai sopravvissuti all’Olocausto se venissero provate le accuse dei gruppi ebraici riguardo a conti bancari segreti nazisti ereditati dal fallito Credit Suisse. Lo riporta Bloomberg.
Secondo la testata economica neoeboracena, UBS sta completando le sue indagini sulla questione.
Ronald Lauder, presidente del Congresso Mondiale Ebraico e figura chiave dietro l’accordo da 1,25 miliardi di dollari con le banche svizzere del 1998, ha dichiarato a Bloomberg di credere che le banche debbano molto di più.
«Probabilmente abbiamo lasciato sul tavolo dai 5 ai 10 miliardi di dollari», ha affermato il miliardario della cosmetica a capo del grande ente giudaico internazionale.
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Nel 2020, il Simon Wiesenthal Center, un’organizzazione ebraica per i diritti umani, ha accusato Credit Suisse di non aver divulgato i conti collegati a clienti nazisti. In risposta, la banca ha commissionato un’indagine interna.
Dopo l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS nel 2023, ha reintegrato l’ombudsman indipendente Neil Barofsky, ex procuratore statunitense, per condurre un’indagine più approfondita. Secondo Bloomberg, il rapporto finale dovrebbe essere completato all’inizio del prossimo anno.
L’indagine ha portato alla luce irregolarità, ha osservato la testata. Il lavoro preliminare di Barofsky ha rivelato centinaia di account, alcuni contrassegnati con etichette interne come «lista nera americana», suggerendo un occultamento intenzionale durante indagini precedenti.
«I numeri sono impressionanti. Dove un ebreo poteva aver versato 100.000 dollari, questi nazisti ne versavano 10 o 20 milioni, o l’equivalente», ha detto Lauder, sostenendo che il denaro fosse probabilmente stato rubato alle vittime dell’Olocausto. «Niente di tutto ciò è stato coperto dall’accordo degli anni Novanta».
Lauder sostiene che UBS potrebbe ora dover pagare miliardi in più di risarcimento. Altri sostengono che l’accordo del 1998 protegge le banche da future responsabilità finanziarie.
Credit Suisse, un tempo la seconda banca svizzera per dimensioni, è stata acquisita da UBS nel 2023 a seguito di una serie di scandali e perdite dovute alle ramificazioni del crash bancario partito con la crisi delle banche regionali USA come la Silicon Valley Bank.
La storica fusione, favorita dallo Stato elvetico, ha posto fine ai 167 anni di storia di Credit Suisse e ha scosso la fiducia globale nel settore bancario svizzero.
Come riportato da Renovatio 21, le accuse sui conti nazisti nell’istituto creditizio si erano riaccese mezzo anno fa.
Le banche svizzere sono ciclicamente accusate altresì di riciclaggio per conto del narcotraffico mondiale.
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Immagine di Ank Kumar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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