Epidemie
Quale sarà il futuro delle case protette e degli anziani?

Una cosa certa che il COVID-19 ha dimostrato al mondo intero, è che le case protette per anziani non sono affatto posti sicuri. Chi scrive lo dice contro il proprio interesse professionale, lavorativo e quindi finanche economico-familiare.
Non sono posti sicuri non perché gli anziani vengono maltratti — il fenomeno purtroppo esiste, lo sappiamo, in percentuali basse ma probabilmente realisticamente molto più alte vista la difficoltà nel fare emergere gli scandali a causa di perversi meccanismi di omertà che vengono ad instaurarsi —, quanto piuttosto perché si sono dimostrati essere luoghi impreparati e anche un po’ abbandonati davanti alle necessità vere, serie, come lo è stata l’emergenza COVID-19.
Persone fragili, compromesse, in posti altrettanto fragili da un punto di vista sanitario-organizzativo. Questo giudizio non vale per tutti i luoghi, certo, ma per la stragrande maggioranza i essi, sì, dal momento che è proprio la strutturazione delle residenze per anziani a renderle implicitamente fragili e sottoposte al rischio.
Una cosa certa che il COVID-19 ha dimostrato al mondo intero, è che le case protette per anziani non sono affatto posti sicuri
Nella mala gestione dell’emergenza COVID ci sono certamente della responsabilità, di cui gli organi competenti, così come le strutture private dovranno rispondere. È però indubbio — e lo sapevamo tutti — che la maggior parte di tali strutture non sarebbero mai state in grado di riuscire a far fronte ad un simile tsunami, e questo perché il terzo settore è spesso lasciato scoperto di ogni protezione, formazione, prevenzione.
In particolare, l’idea utilitarista attraverso la quale si guarda agli anziani, spesso visti come l’ultima ruota del carro solo perché si giudica la vita non come un bene indisponibile, ma come un bene da pesare in base alle prospettive e all’utilità che essa può dare alla società, fa sì che di essi, tuttalpiù, ci si occupi solo quando ci si è già occupati di tutto il resto.
…L’idea utilitarista attraverso la quale si guarda agli anziani, spesso visti come l’ultima ruota del carro solo perché si giudica la vita non come un bene indisponibile, ma come un bene da pesare in base alle prospettive e all’utilità
Soffermiamoci a riflettere su un dato inconfutabile: mentre il 24 febbraio le Regioni più colpite dal virus accorrevano a chiudere asili, scuole e ogni genere di servizio educativo per bambini, qualcuno si è seriamente interessato di intervenire sulle RSA? A ben pensarci, seppur allora non ci fossero sufficienti dati e sufficienti conferme, i bambini sono stati quelli meno, o potremmo dire affatto colpiti dal virus.
Nemmeno qualcuno fra governanti e autorità sanitarie si è mai posto il problema sul come avrebbero fatto le famiglie, dal giorno dopo in poi e con un regime lavorativo ancora a pieno ritmo — le varie attività sarebbero state chiuse parecchio dopo il 24 febbraio — ad occuparsi dei bambini. Lo Stato, le Regioni, stavano sostanzialmente abbandonando le famiglie: i servizi per i quali il genitore contribuente ha sempre pagato le tasse, hanno chiuso i battenti scaricando il barile e senza procurare alternative a breve termine e, a ben vedere, nemmeno a lungo termine.
Il paragone forse vi parrà esagerato, ma se ci pensate il principio è lo stesso: perché nessuno ha pensato di trovare soluzioni per gli anziani residenti nelle case di riposo? Perché, fra le autorità dei più svariati campi, nessuno ha pensato di proporre, senza ovviamente obbligare, il rientro degli anziani presso il proprio domicilio per un tempo determinato e quantomeno circoscritto al picco epidemico?
Mentre il 24 febbraio le Regioni più colpite dal virus accorrevano a chiudere asili, scuole e ogni genere di servizio educativo per bambini, qualcuno si è seriamente interessato di intervenire sulle RSA?
Riflettete: mentre il governo Conte-bis, a colpi di CPDM impediva ogni tipo di libertà e soprattutto ogni tipo di assembramento, nessuno ha pensato di intervenire nei luoghi dove l’assembramento e la fragilità dei pazienti è da sempre all’ordine del giorno: le strutture per anziani.
Dai dati, infatti, avremmo poi potuto pian piano percepire che gran parte dell’ecatombe nazionale — ovviamente non tutta — e del contagio sarebbe passata da lì.
Una delle prime azioni è stata chiudere asili e scuole per impedire gli assembramenti, ma nessuno che sia intervenuto in un terreno molto più pericoloso come si è potuto poi osservare a disastro già avvenuto. Un paradosso che è costato tantissimo. È costato morte, dolore, disperazione, solitudine, afflizione dei tanti operatori sanitari mandati in trincea senza armi, chiamati a calarsi nella insolita veste di becchini quotidiani con tutto il trauma che questo comporta e comporterà sulla psiche e sulla professione alla quale si erano votati.
Mentre una sottospecie di lockdown improvvisato procedeva indiscriminatamente, attuato non si sa attraverso quali criteri, i contagi aumentavano comunque e il 44% di essi si registrava nelle RSA.
Mentre una sottospecie di lockdown improvvisato procedeva indiscriminatamente, attuato non si sa attraverso quali criteri, i contagi aumentavano comunque e il 44% di essi si registrava nelle RSA
Ovvio che non si sarebbe potuto pretendere uno svuotamento di tutte queste strutture per garantire il domicilio a ciascuno degli ospiti: molti pazienti residenti in esse hanno bisogno di un sostegno e di una supervisione medico-infermieristica H24, e le attitudini delle stesse famiglie non potrebbero mai essere corrisposte a questo genere di necessità.
Parimenti, però, si sarebbe potuto investire almeno un pensiero su tutti quegli anziani autosufficienti o parzialmente autosufficienti che ivi risiedono, magari proponendo un protocollo che in un certo qual modo spostasse i servizi prestati in struttura presso il domicilio, con tutte le dovute precauzioni e con l’utilizzo di tutti i dispostivi di protezione individuale necessari.
Con il senno di poi ogni cosa è più semplice da analizzare a da proporre, ma come più volte abbiamo scritto sulle colonne di Renovatio 21, il terremoto che ha travolto le RSA era già scritto da inizio epidemia. La verità è che nessuno, come già detto, si è interessato a far sì che tutto ciò fosse evitato.
Mentre piangiamo morti e feriti, quella fetta di popolazione che ha resistito alla fame, alla guerra e alla persecuzione per morire oggi sola, lontana dai propri affetti e chiusa dentro ad un tunnel senza uscita, sarebbe bene iniziare a riflettere e a trovare spunti per proporre una riforma del terzo settore, in particolare per quella parte rivolta agli anziani.
Pochi giorni fa l’OMS annunciava come se nulla fosse che «arriveranno altre pandemie» — evidentemente avranno contatti diretti con i laboratori che i virus, i batteri e i vaccini di tanto in tanto li creano su misura —, prefigurando uno stato di emergenza ad abundantiam, già proposto dalla Protezione Civile durante le ultime comunicazioni pubbliche. Qualora questo dovesse rivelarsi vero, pur facendo poco affidamento sulle già abbastanza fallaci previsioni OMS, il problema tornerebbe a porsi in maniera probabilmente irreversibile e ancor più grave: se questa volta è andata male, non è escluso che la prossima volta possa andare anche molto, molto peggio.
La cancellazione del modello famigliare di tipo patriarcale, ha aumentato un marcato senso di «autonomia» aumentando parallelamente l’isolamento delle persone. I figli si parcheggiano all’asilo, i vecchi all’ospizio e così si ha il tempo per fare jogging
Ecco perché occorre ripensare l’assetto sanitario-assistenziale rivolto alle persone anziane, per garantire loro una protezione sia dal punto di vista della salute, che dal punto di vista psico-affettivo. Non ci si può più permettere di rinchiudere le persone all’interno di una struttura senza sapere se rivedranno mai i loro cari, senza sapere se rivedranno quella luce all’interno di quel tunnel che in molti casi, nonostante tutte queste chiusure, si è rivelato comunque essere un tunnel senza uscita.
La cancellazione del modello famigliare di tipo patriarcale, di cui nessuno vorrebbe più sentir parlare nonostante sia quello che ha forgiato i nostri nonni e le nostre belle terre, ha aumentato un marcato senso di “autonomia” aumentando parallelamente l’isolamento delle persone. I figli si parcheggiano all’asilo, i vecchi all’ospizio e così si ha il tempo per fare jogging.
Questa è la mentalità che abbiamo costruito ma che ora abbiamo la possibilità di decostruire.
Difficile pensare che il COVID abbia cambiato radicalmente il modo di pensare: l’uomo moderno, anestetizzato da qualsiasi genere di miraggio effimero e fugace, fa presto a rigettarsi nel proprio habitat. Però forse la sensibilità di qualcuno è stata toccata, perché la morte e il dolore lasciano sempre e comunque un segno in grado di far maturare profonde riflessioni, financo bioetiche.
I traumi che gli anziani subiscono lasciando la propria famiglia, la propria casa e i propri spazi sono incalcolabili. Lo stesso vale per i loro parenti, spesso costretti a tali scelte perché lasciati senza un valido sostegno.
I traumi che gli anziani subiscono lasciando la propria famiglia, la propria casa e i propri spazi sono incalcolabili
Le circostanze createsi con l’emergenza COVID possono spingere verso una nuova sinergia fra assistenza socio-sanitaria e famiglia, la quale non deve più sentirsi lasciata sola nella gestione di un malato. Lo Stato, proprio per evitare tutti quei rischi che comporta l’assembramento, dovrebbe rivedere il modello di sostegno a quelle famiglie costrette a lasciare un proprio caro in una casa di cura. Dovrebbe farsi carico, il Sistema Sanitario Nazionale insieme alla politica, di questa assoluta ed urgente necessità.
La famiglia deve essere accompagnata per potersi riappropriare di quel senso di appartenenza che vede negli anziani le radici inossidabili delle generazioni passate e future.
Se svuotiamo la mente dai preconcetti che le circostanze e la cultura dominante ci hanno inculcato, potremo facilmente intuire che in fondo non è affatto etico che una persona, dopo una vita di gioie, dolori, sacrifici, rinunce e soddisfazioni finisca in una casa di riposo insieme ad altre persone con le quali non ha mai spartito nulla.
La famiglia deve essere accompagnata per potersi riappropriare di quel senso di appartenenza che vede negli anziani le radici inossidabili delle generazioni passate e future
Rinforzare il servizio domiciliare, spostare le professioni sanitarie presso il domicilio potrebbe senz’altro essere una soluzione, per quanto difficile e tutta da costruire, non solo per evitare quanto è successo in piena epidemia, ma anche per restituire dignità, affetto e calore alle persone più fragili.
Pensiamoci: quanti morti avremmo evitato, quanto dolore in meno se tanti servizi residenziali avessero spostato le proprie risorse e la propria professionalità verso i domicili dei pazienti residenti nelle strutture per un periodo adatto almeno a far rientrare l’emergenza?
Da questa riflessione e da questo punto si potrebbe ripartire per interrogarci su come affrontare il futuro di queste realtà, per troppo tempo abbandonate a se stesse.
Cristiano Lugli
Epidemie
Il Congo dichiara una nuova epidemia di Ebola

Almeno 16 persone, tra cui quattro operatori sanitari, sono morte a causa di una nuova epidemia del mortale virus Ebola nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), hanno annunciato le autorità del paese dell’Africa centrale.
Finora sono stati segnalati 28 casi sospetti nella provincia di Kasai e i test di laboratorio hanno confermato il ceppo zairese della malattia, ha affermato giovedì il ministero della Salute congolese in una nota.
«Il tasso di mortalità è stimato al 57%, anche se le indagini e le analisi di laboratorio continuano a definire la situazione», ha affermato il ministero, aggiungendo che gli ultimi casi segnano la 16a epidemia registrata nella Repubblica Democratica del Congo.
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Il governo ha dichiarato di aver schierato squadre di risposta rapida, supportate da esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), per potenziare la sorveglianza epidemiologica e istituire strutture di triage e isolamento.
L’Ebola, una febbre emorragica altamente contagiosa, si diffonde attraverso il contatto diretto con fluidi corporei o tessuti infetti. I sintomi includono spesso febbre alta, affaticamento, mal di testa, mal di gola, vomito, diarrea, eruzioni cutanee ed emorragie interne o esterne.
Il Congo ha registrato l’ultima volta il virus nel 2022 nella provincia di Equateur, dopo una devastante epidemia tra il 2018 e il 2020 che ha ucciso quasi 2.300 persone. Il paese, attualmente alle prese con un conflitto armato nelle sue province orientali ricche di minerali, alimentato dal gruppo ribelle M23, ha anche sperimentato gravi epidemie negli ultimi mesi, che vanno da quelle descritte come «misteriose» al virus Mpox , precedentemente noto come vaiolo delle scimmie.
L’OMS ha dichiarato che consegnerà due tonnellate di forniture, tra cui dispositivi di protezione individuale, attrezzature per laboratori mobili e medicinali, per sostenere Kinshasa. Ha aggiunto che il Congo dispone di una scorta di trattamenti e di 2.000 dosi del vaccino Ervebo, che saranno inviate nel Kasai per vaccinare i contatti e gli operatori sanitari in prima linea.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio di quest’anno, anche la vicina Uganda ha dichiarato una nuova epidemia di Ebola dopo che un’infermiera di 32 anni è morta per insufficienza multiorgano. L’OMS ha registrato 14 casi, di cui 12 confermati e due probabili, con quattro decessi.
Come riportato da Renovatio 21, la lotta in Congo tra le forze governative e i ribelli del gruppo M23 secondo molti sostenuto dal Ruanda, sta continuando in queste ore, con i ribelli ad accusare gli accordi di pace.
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Nel frattempo si consumano anche cruenti attacchi contro i villaggi cristiani, con diecine di morti.
Come riportato da Renovatio 21, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) aveva lanciato un allarme secondo cui gli scontri in corso nella città di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo orientale, potrebbero causare la fuga di campioni di Ebola e di altri agenti patogeni da un laboratorio.
Come riportato da Renovatio 21, dichiarazioni di allarme simili sono state lanciate due anni fa dall’OMS anche nel caso del conflitto in Sudan, con rischi riguardo a biolaboratori che, abbiamo appreso, sono siti pure lì.
A maggio 2024 era emerso che scienziati cinesi hanno progettato in un laboratorio un virus con elementi dell’Ebola che ha ucciso un gruppo di criceti.
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Immagine di World Bank Photo via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Armi biologiche
I vaccini COVID «sono armi biologiche» che «hanno provocato danni profondi»: nuovo studio

Un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria suggerisce che il virus SARS-CoV-2 responsabile del COVID-19 mostra segni di «ingegneria deliberata» e che queste caratteristiche, tra cui la proteina spike presente anche nei vaccini mRNA contro il COVID-19, sono responsabili di danni alla salute diffusi a livello globale.
Lo studio, redatto da 11 esperti scientifici e legali, è stato pubblicato nell’edizione autunnale del Journal of American Physicians and Surgeons.
Gli autori sostengono che le caratteristiche artificiali del SARS-CoV-2 e dei vaccini mRNA contro il COVID-19 siano probabilmente il risultato di una controversa ricerca sull’acquisizione di funzione, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi biologiche. La ricerca sul guadagno di funzione, che aumenta la trasmissibilità o la virulenza dei virus, è spesso utilizzata nello sviluppo dei vaccini.Secondo il documento, la diffusione del COVID-19, seguita dalla distribuzione dei vaccini a mRNA, ha provocato danni alla salute senza precedenti, che vanno da «malattie autoimmuni e catastrofi cardiovascolari a complicazioni della gravidanza e tumori aggressivi».
«Lungi dall’essere benigni, questi vaccini hanno provocato danni profondi, sconvolgendo quasi tutti gli apparati del corpo umano e contribuendo a livelli di morbilità e mortalità senza precedenti», afferma il documento. Il dottor Andrew Zywiec, primario presso Zywiec & Porter, è l’autore principale dello studio. Ha affermato che lo studio rivela un «modello di danno troppo costante e pervasivo per essere liquidato come casuale». «La tossicità sistemica scatenata da questi interventi, che si manifesta sotto forma di malattie autoimmuni, devastazioni cardiovascolari, tumori aggressivi e danni riproduttivi catastrofici, rappresenta non solo un fallimento della salute pubblica, ma un profondo tradimento della fiducia» ha aggiunto. Joseph Sansone, Ph.D., uno psicoterapeuta che ha intentato una causa per vietare i vaccini a mRNA in Florida, ha affermato che l’articolo è «estremamente significativo» in quanto è «il primo articolo di una rivista peer-reviewed che afferma che sia il COVID che le iniezioni di COVID violano la Convenzione sulle armi biologiche e che sia il COVID-19 che le iniezioni di COVID sono armi biologiche».Il virus SARS-CoV-2 è «indicativo di manipolazione di laboratorio»
Secondo l’articolo, il virus SARS-CoV-2 «presenta molteplici caratteristiche genomiche indicative di manipolazione di laboratorio», tra cui il sito di scissione della furina, che «aumenta l’infettività» e che è «assente nei virus simili alla SARS presenti in natura».
Diverse altre caratteristiche del virus SARS-CoV-2 «migliorano l’evasione immunologica e la trasmissibilità tramite aerosol», rendendo il virus «insolitamente resistente… e cinque volte più stabile nell’aria» rispetto ad altri virus respiratori.«Queste caratteristiche combinate, insieme ai modelli di mutazione del virus, sono una forte prova che il SARS-CoV-2 non avrebbe potuto evolversi naturalmente», afferma il documento.
L’articolo cita due articoli di riviste scientifiche sottoposte a revisione paritaria, redatti da scienziati militari, che affermano che il SARS-CoV-2 contiene «prove di manipolazione» che rendono il virus un «patogeno attraente» per le sue caratteristiche, che ricordano quelle di un’arma biologica.
Queste manipolazioni «rappresentano una violazione della Convenzione sulle armi biologiche», sostiene il documento. Promulgata nel 1975, la convenzione «proibisce di fatto lo sviluppo, la produzione, l’acquisizione, il trasferimento, lo stoccaggio e l’uso di armi biologiche e tossiche». È stata firmata da quasi 200 Paesi.Un articolo accusa Fauci di aver deliberatamente nascosto le origini del SARS-CoV-2
Secondo il documento, la ricerca sull’acquisizione di funzione implica «tecniche di manipolazione virale» che possono portare allo sviluppo di agenti patogeni vietati dalla convenzione. Tuttavia, il governo degli Stati Uniti, in particolare il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, guidato dal dottor Anthony Fauci fino al 2022, è da tempo coinvolto nella ricerca sul guadagno di funzione, «inclusa una collaborazione di lunga data tra istituzioni finanziate dagli Stati Uniti e il Wuhan Institute of Virology» in Cina. I sostenitori della «teoria della fuga dal laboratorio» sulle origini del SARS-CoV-2 sostengono che la ricerca sul guadagno di funzione nel laboratorio di Wuhan e una successiva fuga di notizie abbiano portato allo scoppio dell’epidemia globale di COVID-19, che è stata insabbiata. Ad aprile, l’amministrazione Trump ha lanciato una nuova versione del sito web ufficiale del governo dedicato al COVID-19, presentando prove che il COVID-19 sia emerso a causa di una fuga di notizie dal laboratorio di Wuhan. La CIA, l’FBI, il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, il Congresso degli Stati Uniti e diverse agenzie di Intelligence straniere hanno avallato questa teoria. Il documento fa riferimento al Progetto DEFUSE, una proposta presentata dall’EcoHealth Alliance e dagli scienziati di Wuhan alla Defense Advanced Research Projects Agency degli Stati Uniti nel 2018. Sebbene la proposta sia stata respinta, descriveva la creazione di coronavirus con caratteristiche che ne aumentavano l’infettività, tra cui il sito di scissione della furina. EcoHealth Alliance e il suo ex presidente, il dottor Peter Daszak, hanno collaborato con i ricercatori di Wuhan. L’anno scorso, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) ha sospeso tutti i finanziamenti per EcoHealth Alliance dopo aver scoperto che l’organizzazione non aveva monitorato adeguatamente gli esperimenti rischiosi sul coronavirus. Il documento afferma che Fauci e l’intelligence statunitense non hanno mai rivelato l’esistenza della ricerca. Al contrario, «hanno oscurato quella che è, di fatto, la prova dell’intenzione di produrre un virus molto simile a quello che ha causato la pandemia di COVID-19». L’articolo cita una teleconferenza del 1° febbraio 2020 con Fauci e importanti virologi, tra cui diversi coautori dell’ormai famigerato articolo «The proximal origin of SARS-CoV-2». L’articolo, che promuoveva l’origine naturale del COVID-19, è stato pubblicato su Nature Medicine nel marzo 2020. Sebbene diversi coautori di «Proximal Origin» abbiano espresso dubbi sul fatto che il SARS-CoV-2 si sia sviluppato naturalmente, Fauci «ha cercato di sopprimere» tali preoccupazioni durante la chiamata del 1° febbraio 2020. «Proximal Origin» è diventato uno degli articoli più citati del 2020, con oltre 6 milioni di accessi. Nel 2023, The Nation ha riportato che oltre 2.000 testate giornalistiche hanno citato l’articolo. Successivamente, il governo degli Stati Uniti, la comunità scientifica e i media hanno utilizzato il termine «origine prossimale» per promuovere la teoria «zoonotica» – o dell’origine naturale – dell’origine del SARS-CoV-2 e per screditare i sostenitori della «teoria della fuga di laboratorio». «L’occultamento deliberato di caratteristiche genomiche critiche ha ritardato la consapevolezza pubblica e gli sforzi di mitigazione della pandemia, consentendo potenzialmente una diffusione più ampia e un maggior numero di decessi», afferma il documento. A maggio, il presidente Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo che ha sospeso la ricerca sul guadagno di funzione negli Stati Uniti per 120 giorni, in attesa dello sviluppo di un nuovo quadro normativo. Ha inoltre interrotto i finanziamenti statunitensi per tale ricerca in alcuni Paesi.La proteina Spike potrebbe causare danni irreversibili
Secondo gli autori dello studio, lo sviluppo del SARS-CoV-2 e delle caratteristiche del COVID-19 che presentano proprietà di acquisizione di funzione simili hanno causato danni significativi alla salute pubblica globale. Il documento fa riferimento alle statistiche del Defense Medical Epidemiology Database che mostrano un aumento significativo dell’incidenza di miocardite (151,4%), embolia polmonare (43,6%), disfunzione ovarica (34,9%), malattia ipertensiva (22,9%), sindrome di Guillain-Barré (14,9%), cancro esofageo (12,5%) e cancro al seno (7%) nel 2021, l’anno in cui i vaccini contro il COVID-19 sono stati distribuiti a livello globale. Ulteriori dati militari statunitensi citati nel documento mostrano «aumenti persistenti» di miocardite, cancro agli organi digestivi, cancro al cervello e altre lesioni tra il 2022 e il 2025. Anche i danni riproduttivi sono aumentati significativamente in seguito alla distribuzione dei vaccini contro il COVID-19, sostiene il documento. Cita dati provenienti da fonti quali il Vaccine Adverse Event Reporting System ( VAERS ), gestito dal governo statunitense, il rapporto di sorveglianza post-marketing di Pfizer del 2021 e i dati degli studi clinici di fase 2/3 per il suo vaccino contro il COVID-19, che mostrano un aumento di aborti spontanei, nati morti e decessi neonatali. Lo studio cita la proteina spike nei vaccini mRNA contro il COVID-19 come uno dei probabili fattori responsabili dell’aumento dell’incidenza di tumori e altre patologie negli ultimi anni. «L’espressione proteica prolungata, esemplificata dal rilevamento della proteina spike S1 oltre 700 giorni dopo la vaccinazione contro il COVID, sottolinea il potenziale di danni irreversibili», afferma il documento. Il documento sostiene che la soppressione di «trattamenti comprovati o promettenti» come l’idrossiclorochina a favore dell’obbligo vaccinale universale contro il COVID-19 – e la decisione politica di implementare la vaccinazione di massa durante la pandemia – hanno ulteriormente aggravato la salute pubblica globale e hanno avuto «effetti dannosi sulla fiducia del pubblico». Il documento è stato pubblicato proprio mentre la Food and Drug Administration statunitense, all’inizio di questa settimana, ha interrotto l’ampia autorizzazione dei vaccini contro il COVID-19, limitando le iniezioni alle persone ad alto rischio di contrarre la malattia grave. All’inizio di questo mese, l’HHS ha annunciato di aver cancellato quasi 500 milioni di dollari in contratti e sovvenzioni per lo sviluppo di vaccini a mRNA. Un numero crescente di scienziati ha chiesto la sospensione o il ritiro dei vaccini a mRNA. Gli autori dello studio hanno affermato che i loro risultati rafforzano queste richieste. «L’aumento delle malattie autoimmuni, dei tumori aggressivi, delle interruzioni di gravidanza, dei decessi cardiovascolari, della frammentazione sociale e dei rischi incombenti delle piattaforme avanzate di mRNA richiedono un’immediata sospensione dell’uso di vaccini a mRNA e di prodotti biologici, indagini approfondite sui motivi alla base di questa violazione senza precedenti della fiducia pubblica e misure robuste per ripristinare terapie sicure e pratiche etiche di salute pubblica» hanno affermato. La dottoressa Irene Mavrakakis, una delle coautrici dell’articolo e professoressa associata presso il dipartimento di Chirurgia del Philadelphia College of Osteopathic Medicine, ha affermato che l’articolo sostiene le richieste di «ritiro completo di tutti i vaccini e farmaci biologici contro il COVID-19 e di una moratoria su tutti i farmaci biologici a mRNA». La Mavrakakis ha anche chiesto che vengano «perseguiti penalmente i decisori che sono stati penalmente negligenti e hanno mancato ai loro doveri». Ha affermato che i produttori di vaccini dovrebbero essere privati dell’immunità di cui godono ai sensi del National Childhood Vaccine Injury Act del 1986 e del Public Readiness and Emergency Preparedness Act ( PREP Act ) del 2005. Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso Children’s Health Defense, concorda. Ha affermato che la ricerca sul guadagno di funzione «avrà sempre i suoi sostenitori», ma l’umanità si trova ad affrontare «rischi estremi e inevitabilmente paga un prezzo elevato per tale ricerca». «I laboratori possono avere perdite, e lo fanno», ha affermato. «Un singolo evento al Wuhan Institute of Virology alla fine del 2019 ha causato innumerevoli sofferenze e morti. Finché non saremo in grado di costruire un laboratorio a prova di perdite, non dovremmo assemblare virus che potrebbero devastare il mondo al suo interno». Michael Nevradakis Ph.D. © 29 agosto 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD. Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Epidemie
Caso di verme divoratore di carne umana in USA

Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) ha segnalato il primo caso umano di verme divoratore di carne umana associato ai viaggi nel Maryland, dopo il ritorno di un «paziente» da El Salvador. Lo riporta l’agenzia Reuters, citante il portavoce dell’HHS Andrew G. Nixon
Si tratta di una creatura chiamata New World screwworm (verme a vite del Nuovo Mondo), il cui nome scientifico è Cochliomyia hominivorax, conosciuta come «Mosca assassina», una specie di mosca parassita le cui larve (o vermi) mangiano i tessuti vivi degli animali a sangue caldo.
Non sono stati resi noti dettagli sullo status di immigrazione del paziente, sebbene sia importante sottolineare che il Maryland è una roccaforte dell’estrema sinistra del Partito Democratico USA e un Sanctuary State, uno Stato-rifugio per gli immigrati.
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Dal 2023, le larve di mosca assassina si stanno spostando verso nord dall’America Centrale attraverso il Messico, con un nuovo caso identificato a luglio a circa 400 miglia a sud del confine statunitense, a Veracruz. La risposta del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) è stata quella di chiudere le attività transfrontaliere dei porti di ingresso del bestiame negli Stati Uniti per mitigare la minaccia alla biosicurezza.
«L’HHS ha segnalato negli Stati Uniti il primo caso umano di parassita del Nuovo Mondo associato ai viaggi. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno confermato la presenza del parassita il 4 agosto in un paziente di ritorno da El Salvador» scrive Reuters. «Fonti del settore avevano precedentemente riferito a Reuters che il paziente proveniva dal Guatemala, e le email della Beef Alliance avevano diffuso questa versione ai responsabili dell’allevamento. L’HHS non ha chiarito la discrepanza».
L’HHS afferma che il rischio per la salute pubblica degli Stati Uniti è molto basso. Quest’anno non sono stati segnalati casi di contagio tra gli animali negli Stati Uniti.
Gli esseri umani possono sopravvivere alle infestazioni dal verme a vite del Nuovo Mondo con un trattamento adeguato, ma questo è il primo caso negli Stati Uniti che ha fatto scattare l’allarme tra i funzionari della sanità pubblica e l’industria del bestiame. Se non trattati, questi parassiti possono uccidere gli ospiti, come bovini, animali selvatici e animali domestici.
Il Segretario del dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA) Brooke Rollins ha recentemente annunciato i piani per un nuovo impianto sterile per mosche in Texas (base aerea miliare di Moore), ispirato alle passate campagne di eradicazione. La costruzione della struttura richiederà dai 2 ai 3 anni.
Anche il Messico sta costruendo un impianto per la produzione di mosche sterili da 51 milioni di dollari nel Sud. Attualmente, ne esiste solo uno (a Panama City), che produce 100 milioni di mosche sterili a settimana, ma ne serviranno 500 milioni per respingere le infestazioni fino al Darien Gap.
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L’USDA stima che un’epidemia di verme della vite senza fine del Texas potrebbe devastare l’industria bovina, causando perdite per 1,8 miliardi di dollari tra mortalità del bestiame, manodopera e costi di trattamento. La minaccia biologica arriva in un momento in cui il patrimonio bovino nazionale è il più piccolo degli ultimi 70 anni, i prezzi della carne bovina sono a livelli record e i margini di profitto degli allevamenti intensivi rimangono estremamente ridotti.
Una serie di fattori, tra cui la riduzione delle mandrie, la siccità e le tariffe doganali, sta facendo salire i prezzi della carne bovina nei supermercati a livelli record …
L’USDA classifica ufficialmente i vermi della vite come una «minaccia per la biosicurezza agricola» e, visti i recenti casi di cittadini cinesi sorpresi a introdurre clandestinamente funghi «agroterroristici» nel Paese, viene da chiedersi se questi parassiti potrebbero essere utilizzati come arma da parte di avversari stranieri per una guerra ibrida.
Come riportato da Renovatio 21, gli USA già in passato sono stati teatro di casi di batterio vibrio vulnificus, organismo noto per divorare la carne delle infezioni, detto anche batterio carnivoro. Parimenti, sono emersi altre creature inquietanti come l’ameba mangia cervello, segnalata nei fiumi del Nebraska e in Missouri.
Prioni sarebbero invece stati alla base anche di un’epidemia del 2019 di cervi-zombie: ai poveri ungulati, già martoriati dalle zecche portatrici di Lyme che ritengono il loro manto peloso il luogo migliore per accoppiarsi, viene «mangiato» il cervello da proteine infette, ingenerando così nelle tenere bestie cornute comportamenti di zomberia pura.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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