Terrorismo
Più di 46 morti nell’attacco in Congo perpetrato dalla setta del «Sacrificatore»
I militanti hanno attaccato lunedì mattina un campo per sfollati nella provincia di Ituri, nella Repubblica Democratica del Congo, uccidendo almeno 46 persone.
Le autorità locali hanno attribuito l’attacco al campo di Lala al gruppo della Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), una milizia che opera nell’est del Paese, che è devastato dalla violenza.
Il capo del distretto di Bahema Badjere, Jean Richard Lenga ha affermato secondo l’agenzia Reuters che uomini armati hanno massacrato 46 persone con coltelli e armi da fuoco e ne hanno bruciate altre nelle loro case nel mezzo del campo profughi.
«L’intero villaggio è in lutto ora, è troppo triste», ha detto, aggiungendo che le autorità stavano ancora cercando i corpi, con il numero di vittime che dovrebbe aumentare poiché molte capanne nel campo sono state bruciate. Secondo Lenga, molti residenti sono fuggiti nella vicina città di Bule, dove si trova una base di mantenimento della pace delle Nazioni Unite.
«Hanno iniziato a sparare, molte persone sono morte bruciate nelle loro case, altre sono state uccise a colpi di machete», ha detto all’agenzia AFP Desire Malodra, un rappresentante della società civile. Un altro leader del gruppo locale per i diritti civili, Charite Banza, ha detto a Reuters che le vittime sarebbero state seppellite in una fossa comune.
L’attacco di lunedì segue quello di sabato, anch’esso attribuito a CODECO, nell’area di Djukoth, nel territorio di Mahagi, nella provincia, che ha provocato la morte di sette persone.
Si presume che la milizia CODECO, proveniente principalmente dal gruppo etnico di agricoltori Lendu, che ha una faida di lunga data con i pastori Hema, abbia spesso preso di mira i campi profughi. Si dice che abbia ucciso 60 persone l’anno scorso in un campo profughi nella parte orientale della RDC.
All’inizio di quest’anno, sette persone, tra cui cinque bambini, sarebbero state uccise nell’area nord-orientale, mentre in due villaggi dell’Ituri sono state scoperte fosse comuni contenenti i corpi di 49 civili.
Il CODECO è stato talvolta descritto come una «setta», nonostante non tutte le fazioni farebbero ricorso ad un elemento religioso. Il Consiglio di Sicurezza ONU sostiene che il «culto CODECO» sarebbe composto da un mix di animismo e rituali cristianeggianti, più una forma di culto della personalità del defunto leader Justin Ngudjolo.
Secondo la ONG olandese Pax, il CODECO sarebbe «discretamente» coinvolto in pratiche di misticismo e feticismo. Nel 2020 l’agenzia francese AFP aveva concluso che il CODECO aveva «due facce», una militare e una «intrisa di misticismo e animismo».
La fazione religiosa del CODECO è guidato da tale Ngadjole Ngabu, noto come «il Sacrificatore», che si è presentato come leader spirituale a un ramo dominante del gruppo.
«Il Sacrificatore» avrebbe usato la sua posizione per ordinare o vietare l’esecuzione di attacchi da parte dei combattenti sotto il suo comando. Assieme ad altri combattenti del CODECO, Ngabu ha incontrato una delegazione di pace del governo guidata da ex signori della guerra locali dei primi anni del conflitto. con una riduzione, secondo fonti AFP, del tasso di massacri.
I massacri in Africa continuano, colpendo soprattutto le zone calde, in varie parti del Continente nero, con un aumento della violenza jihadista in tutta l’Africa centrale – e conseguente persecuzione dei cristiani.
Coincidenza riportata da Renovatio 21, la scorsa settimana, mentre l’Uganda varava una legge anti-LGBT, decine di soldati ugandesi schierati in un contingente di pace dell’Unione Africana in Somalia venivano trucidati da terroristi jihadisti al-Shabaab.
Secondo il presidente nigeriano Muhammadu Buhari, le milizie dell’Africa centrale godono ora anche dell’apporto delle armi spedite dall’Occidente in Ucraina e rivendute al mercato nero per la gioia di criminali e terroristi e narcotrafficanti di ogni parte del mondo.
Come riportato da Renovatio 21, l’ISIS da tempo ha alzato la testa in Mozambico, martirizzando l’anno scorso la suora missionaria veneta Suor Maria de Coppi, 83 anni.
Immagine di MONUSCO Photos via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Terrorismo
Il sospettato di terrorismo saudita che ha ucciso 6 persone e ne ha ferite centinaia al mercatino di Natale tedesco si scaglia contro le vittime durante il processo
Giovedì, durante il processo per la strage al mercatino di Natale di Magdeburgo, Taleb al-Abdulmohsen ha inveito contro i testimoni, scatenando sgomento e indignazione tra le vittime, al termine di una serie di giorni contrassegnati da sfoghi deliranti e provocatori. Lo riporta Remix News
Mercoledì, le vittime e i sopravvissuti hanno iniziato a deporre, ripercorrendo l’orrore dell’attacco del 20 dicembre 2024. Al-Abdulmohsen, il medico saudita naturalizzato in Germania dal 2006, è imputato di aver volontariamente zigzagato con il suo veicolo attraverso la folla per mietere il maggior numero di vittime possibile, causando sei morti – tra cui un bambino di nove anni – e oltre 300 feriti.
L’imputato, tuttavia, sta tentando di insinuare dubbi sulle cause di morte, sostenendo che una delle vittime potrebbe aver soccombuto al coronavirus anziché all’impatto con l’auto.
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Il patologo forense Gerald Brenecke, dell’ospedale universitario di Halle, ha aperto le deposizioni descrivendo le autopsie condotte il 21 dicembre su cinque vittime. La prima, Nadine L., 45 anni, presentava «lesioni gravissime al torace superiore e al cranio». Nondimeno, il medico ha rilevato un preesistente danno cardiaco e concluso che «la donna è deceduta per collasso cardiaco acuto» mentre tentava di sottrarsi al veicolo.
Al-Abdulmohsen ha colto l’affermazione al volo per insinuare un nesso con la pandemia, argomentando che il COVID-19 avrebbe reso le persone più vulnerabili a infarti improvvisi.
La reazione in aula è stata immediata: uno degli avvocati delle parti civili ha protestato con veemenza. «Mi oppongo a che le vittime debbano subire ulteriori umiliazioni. Oggi, per la prima volta, si parla di loro, e devono sorbirsi le idiozie dell’accusato», ha tuonato.
Il giudice ha prontamente interrotto l’imputato, ammonendolo a limitarsi a quesiti mirati. Ciononostante, una richiesta formale per sospendere il diritto di al-Abdulmohsen di interrogare i testimoni è stata rigettata dal collegio giudicante.
Il presidente della corte ha chiarito: «Pur se ciò appare o risulta intollerabile per le parti civili, il tribunale non può restringere il diritto dell’imputato a interrogare. Altrimenti, si configurerebbe un vizio di nullità». Ha poi aggiunto: «Voglio scongiurare a ogni costo la ripetizione del processo. Siamo consapevoli del peso psicologico che ciò impone ai querelanti e ai loro cari».
Quel 20 dicembre non ha strappato solo vite, ma ha inflitto ferite indelebili a testimoni e superstiti, molti dei quali ancora alle prese con le conseguenze emotive e fisiche.
Anne Kathrin H., prima vittima ferita dall’assalitore a comparire in aula, ha deposto con la voce rotta dal pianto: «Ero ansiosa di visitare il mercatino con il mio compagno. Siamo usciti poco dopo le 18». Appena terminata la cena, ha proseguito: «L’auto ci ha travolti. Tenebre ovunque. Al risveglio, mi sono accorta di essere a terra. Passanti mi hanno trascinata dai soccorritori. Lì ho rincontrato mio marito Matthias, in lacrime: “Sei viva, sei viva…”».
Anche il coniuge ha riportato lesioni. Entrambi sono stati ricoverati all’ospedale universitario: Anne Kathrin è rimasta assente dal lavoro fino a metà febbraio, mentre il marito «zoppica ancora». L’aggressore, ha concluso la testimone, «ha rubato alla nostra famiglia il senso di protezione e gioia». Attualmente, segue una terapia psicologica e partecipa a un gruppo di supporto.
Mario T., altro testimone, ha raccontato con la moglie e amici di aver prestato i primi soccorsi: «Di fronte a noi, un bimbo piccolo da rianimare. Abbiamo soccorso un uomo ferito». Le immagini del mercatino devastato «hanno segnato la famiglia», come riportato da Bild. «Mia moglie combatte ancora le ripercussioni mentali», ha aggiunto. «Non esce più in città, solo casa-lavoro e ritorno».
Nello stesso giorno, gli esperti forensi hanno illustrato le autopsie delle altre vittime coinvolte.
Eyad I., ex medico siriano di Magdeburgo e addetto allo stand d’ingresso del mercatino, ha testimoniato con l’ausilio di un interprete: «Ero lì quando un boato improvviso mi ha fatto trasalire. Non capivo». Poi ha scorto un giovane gravemente ferito: «La lesione era aperta, vedevo l’osso. Mi ha afferrato». Il ragazzo «perdeva sangue dalle ferite, urlava e non mi mollava». Eyad ha tamponato la piaga fino all’arrivo dei paramedici.
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Nel corso dell’udienza, al-Abdulmohsen ha continuato a gridare, ribellarsi e infuriare, con il microfono spesso silenziato – anche durante domande sulla salute mentale dei testimoni. L’ex psichiatra ha ottenuto la licenza medica nonostante evidenze di frodi sulla sua qualifica professionale, unite a una serie di minacce di morte contro tedeschi, documentate sui social. Si tratta di un clamoroso fallimento delle autorità tedesche, che ignorarono pure gli avvisi di un’agenzia di intelligence saudita sulla pericolosità dell’uomo, reiterati più volte tra il 2023 e il 2024.
L’imputato ha proclamato uno sciopero della fame dall’avvio del processo, ma i cronisti di Bild notano che «appare in forma smagliante e chiacchiera vivacemente con i difensori mentre l’aula si riempie, con un ritardo di sette minuti sull’orario previsto». Il giorno precedente, era stato atterrato nella sua teca blindata dopo un’ennesima intemperanza, trascinato a terra dagli ufficiali giudiziari.
Il maxi-processo grava sulle casse pubbliche tedesche, ma rappresenta una mera frazione rispetto alla spesa annua per l’immigrazione di massa: almeno 50 miliardi di euro per integrazione, alloggi e sussidi sociali. Tale cifra non include l’esplosione dei costi per sicurezza e forze dell’ordine, gonfiati dalla criminalità legata all’afflusso straniero. In tutta la Germania, pure le misure di protezione per i mercatini natalizi stanno lievitando, scaricando ulteriori oneri su contribuenti e piccoli esercenti.
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Terrorismo
L’afghano della sparatoria di Washington aveva collaborato con la CIA
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Terrorismo
Cinquanta bambini fuggono dopo un rapimento di massa in una scuola in Nigeria
Secondo l’associazione cristiana della Nigeria, almeno 50 dei oltre 300 bambini rapiti venerdì da una scuola cattolica nella regione centro-settentrionale del Paese sono riusciti a fuggire dai loro sequestratori.
Gli studenti, tra i 10 e i 18 anni, sono tornati dalle famiglie tra venerdì e sabato, ha annunciato domenica la Christian Association of Nigeria (CAN) in una nota ufficiale.
Sabato la polizia nigeriana aveva riferito che banditi armati avevano assaltato la St. Mary’s Catholic Primary and Secondary School a Papiri, nello Stato del Niger, intorno alle 2:00 ora locale di venerdì, rapendo «un numero ancora indefinito di alunni dall’ostello scolastico».
La CAN ha tuttavia precisato che gli assalitori hanno sequestrato in totale 315 persone: 303 studenti e 12 insegnanti. Al momento, 253 ragazzi e tutti i docenti restano prigionieri.
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«Oltre ai 50 fuggiti e tornati a casa, ne abbiamo 141 che non sono stati portati via», ha dichiarato domenica il presidente della CAN dello Stato del Niger, il reverendo Bulus Yohanna. La polizia ha avviato un’operazione congiunta di ricerca e soccorso coordinata dall’esercito.
L’episodio supera i 276 studenti rapiti nel 2014 a Chibok da Boko Haram e si inserisce in una catena di aggressioni a scuole e chiese.
Pochi giorni prima, 25 studentesse erano state sequestrate in un collegio a Maga, nello Stato di Kebbi, con due morti tra il personale. La scorsa settimana, due fedeli sono stati uccisi in un attacco alla Chiesa Apostolica di Cristo a Eruku, nello Stato di Kwara; le autorità locali hanno annunciato domenica il salvataggio di 38 ostaggi.
Il governo ha ordinato la chiusura temporanea delle scuole nelle aree colpite.
Questi assalti seguono le denunce di politici USA su presunti attacchi mirati ai cristiani da parte di ribelli islamici, con il presidente Donald Trump che ha minacciato un intervento militare se Abuja non proteggerà le comunità cristiane. Il governo nigeriano respinge l’etichetta di «genocidio religioso», insistendo che la violenza colpisce tutte le fedi.
Domenica Papa Leone XIV ha espresso «profondo dolore» per i sequestri e ha invocato il «rilascio immediato degli ostaggi», esortando le autorità a «intervenire con prontezza e adeguatezza» per garantire la loro liberazione.
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