Spirito
Perché Bergoglio ha fatto arrabbiare i rabbini?
 
																								
												
												
											
La settimana scorsa è successa questa cosa inaspettata: un manipolo di importanti rabbini si è scagliato con veemenza contro Jorge Mario Bergoglio. Non è una cosa usuale, per tanti motivi.
Il pontefice regnante si era prodotto in una catechesi nella prima metà di agosto, dove aveva pontificato che «la Legge non è alla base dell’Alleanza perché è giunta successivamente, era necessaria e giusta ma prima c’era la promessa, l’Alleanza».
I rabbini israeliani, tra cui Rabbino Rasson Arousi, avrebbero inviato una lettera infuocata al cardinale elvetico Kurt Koch.
Il rabbinato pare essersi molto offeso da varie frasi del discorso papale. Per esempio: «la Legge però non dà la vita, non offre il compimento della promessa, perché non è nella condizione di poterla realizzare. La Legge è un cammino che ti porta avanti verso l’incontro».
Secondo i religiosi talmudici tali parole porterebbero ad un ridimensionamento della Torah – parola ebraica che qualcuno traduce semplicemente come «legge». La Torah diverrebbe quindi obsoleta, niente più di una storia simbolica. In pratica, ci pare di capire, i rabbini si scandalizzano del fatto che il papa non predichi l’ebraismo. Essi temono infatti, scrive la lettera secondo gli stralci riportati dai giornali italiani, che si possa finire in un «insegnamento sprezzante verso gli ebrei e verso l’ebraismo cose che pensavamo fossero state completamente ripudiate dalla Chiesa». La supposta risposta del Vaticano ai rabbi comparsa sull’Osservatore Romano tramite un monsignore argentino a caso, non vale la pena di citarla: non fa nomi, è arzigogolata al punto giusto per tentare di fugare ogni ombra di antisemitismo via supercazzola teologica.
Quindi, Bergoglio ha fatto adirare gli ebrei. Imprevisto. Bizzarro. Inspiegabile.
Ma come è possibile? Lui che da sempre – da quando era arcivescovo della terza città più ebraica del pianeta dopo New York e Tel Aviv, Buenos Aires – è sospettato di essere simpatizzante o, dicono i maligni, subalterno alla stella di David.
Lui che quando andò in Israele si fece fotografare mentre bacia le mani dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti (quella foto che circola tra i complottisti pataccari con la scritta «Bergoglio bacia la mano dei Rothschild»).
Lui che per il suo viaggio in Israele fu addirittura trasformato, per il Ministero degli Esteri del governo Netanyahu in cartone animato, dove lo si vede mostrare il passaporto al doganieri israeliani. Non sappiamo se sia andata così: se il papa in Terra Santa ci è andato con il passaporto, questo in realtà direbbe tutto. Badate bene: qualcuno mormora (e non sappiamo se sia vero) che nel 2009 gli israeliani lo avrebbero chiesto al pellegrino papa Ratzinger, nell’incredulità e nello sdegno dei cattolici – sullo sfondo gli addetti ai livori ricordano la preghiera del Venerdì Santo e per la revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità San Pio X.
Ma torniamo a noi: insomma. cosa è successo? Come è possibile che il filo-giudaico, interreligioso, ecumenico, modernista argentino abbia irritato i «Fratelli Maggiori»?
Cosa è successo?
Renovatio 21 ha trovato risposta in alcuni articoli di don Mauro Tranquillo, FSSPX.
Essi spiegano bene come papa Bergoglio paragoni l’attuale passaggio ad una supposta «chiesa spirituale» al passaggio tra legge mosaica e Vangelo da sempre. È il tipico linguaggio messianico-apocalittico di chi, da secoli, annuncia la fine della Chiesa gerarchica e la nascita di questa «chiesa spirituale». Questo sarebbe l’unico motivo per cui parla della Torah, per fare questo parallelo. È uno dei suoi leit motiv.
«La nuova tappa, la nuova era di cui Ratzinger si è fatto “porta”, secondo la concezione esoterica, è quella dello Spirito finalmente libero dalla legge, nuova era che Papa Francesco ancora di recente ha paragonato al passaggio tra la legge mosaica e quella evangelica (…)».
Il discorso sulla legge, per cui ora misteriosamente il rabbino si arrabbi, lo aveva già fatto pubblicamente.
«L’ennesimo magistrale riassunto della visione della nuova “fase profetica” è stato fatto da Bergoglio nell’omelia a Santa Marta del 30 maggio: “Questo è il sistema attraverso il quale loro legittimano: dottori della legge, teologi che sempre vanno sulla via della casistica e non permettono la libertà dello Spirito Santo; non riconoscono il dono di Dio, il dono dello Spirito e ingabbiano lo Spirito, perché non permettono la profezia nella speranza£».
Continua Don Tranquillo:
«Evidentemente la nuova era dello Spirito porta una nuova rivelazione, una nuova profezia, non è possibile continuare a rifarsi alla “legge” come prima. Il solito gioco dialettico sulle parole del Vangelo permette a Bergoglio di presentarsi come iniziatore di una nuova fase, come il Cristo (che ha aperto invece l’ultimo tempo del mondo, e quindi certe cose le poteva dire legittimamente)».
«Il Papa presenta la stessa legge del nuovo Testamento e della Chiesa come una “gabbia” di cui liberarsi, non come un bene dato dal Padre che ama i suoi figli: discorso profondamente gnostico e anticristico, discorso simile a quello del diavolo nel paradiso terrestre piuttosto che a quello di Nostro Signore nel Vangelo. La Chiesa come società visibile e “organizzata” con dogmi e diritto non è per Bergoglio la via regalataci da Dio per raggiungerlo, ma un ostacolo da superare, con una concezione tipica del francescanesimo eretico e pseudo-gioachimita (…)». (Don Mauro Tranquillo, «Dalla Monarchia pontificia al fantasma del Papato. Vecchie eresie per una nuova immagine della Chiesa», in Atti del XXI Convegno di Studi cattolici, Rimini 2013)
Il tema del superamento della legge, e quindi della Chiesa come istituzione, ricorre nel papato bergogliano.
«Se si dovesse fare una collezione delle citazioni di Francesco sull’uscita dall’epoca della legge per entrare in quella della misericordia, dall’epoca della gerarchia a quella della coscienza, non basterebbe un libro» scrive Don Tranquillo . D
Quindi, cosa abbia fatto saltare i nervi al rabbinato in questo momento, rimane un mistero.
Tuttavia, vorremmo ricordare che mica devono lamentarsi così i rabbini. C’è stato un tempo in cui i papi verso gli ebrei – e verso Israele – avevano ben altro atteggiamento.
Prendiamo ad esempio questa pagina Theodor Herzl, il padre fondatore del sionismo citato anche ne Il Grande Lebowski, ancora oggi spacciato come figura romantica, tanto che Bergoglio è andato a rendere omaggio alla sua tomba.
A Herzl il 23 gennaio 1904 fu concessa un’udienza con Pio X grazie alla comune amicizia con un pittore, il conte de Lippay, che Herzl aveva conosciuto a Venezia.
Herzl, in un impeto di eleganza ed ecumenismo, scrive che il papa santo era solo «un buon rozzo prete di villaggio per il quale il cristianesimo era rimasto una cosa viva persino in Vaticano».
La descrizione del sionista del breve incontro con San Pio X vale la pena di essere riportata.
«Fui condotto dal Papa attraverso numerose piccole sale. Mi ricevette in piedi e mi porse la mano, che io non baciai. Lippay mi aveva detto di farlo, ma io non lo feci. Credo che questo gli dispiacque perché chiunque va in visita da lui si inginocchia o per lo meno gli bacia la mano. Questo baciamano mi causò molti dispiaceri. Sono stato molto contento quando finalmente cadde in disuso. Egli sedette su una poltrona, un trono per occasioni minori. Poi mi invitò a sedermi accanto a lui e sorrise in amichevole attesa (…)»
«Gli presentai brevemente la mia richiesta. Tuttavia egli, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, rispose in modo duro e risoluto: “Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme — ma favorire non possiamo mai. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è santificata per la vita di Jesu Christo (egli non pronunciò Gesù, ma Yesu, secondo la pronuncia veneta). Io come capo della chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo”».
«Perciò il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, si aprì ancora una volta».
Tale conflitto alcuni sognavano di averlo dissolto con il Concilio Vaticano II e con tutto ciò che ne è seguito, dalle abolizioni di culti come quello di San Simonino di Trento alle figure come quella del Cardinale Martini che teorizzava vagamente un riassorbimento del cristianesimo nell’alveo del giudaismo.
E invece… il papa pasticcione ha riaperto inavvertitamente la ferita di Herzl?
Mah. Tuttavia, davvero, ‘sti rabbini, fossero un po’ più grati per i progressi fatti in questo secolo dentro alle mura vaticane.
Permalosoni.
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Spirito
Mons. Eleganti critica il Vaticano per l’installazione del tappeto per la preghiera musulmana
 
														Il vescovo Marian Eleganti ha criticato il Vaticano per aver installato un tappeto da preghiera per i musulmani nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Lo riporta LifeSite che lo ha intervistato.
Il prelato svizzero ha dichiarato alla testata pro-life nordamericana che «l’Islam è naturalmente espansivo».
«Non appena un musulmano prega lì, in qualche modo nella mente dei fedeli – non ne sono del tutto sicuro – ma non mi sorprenderei se diventasse una sorta di radicamento e punto d’appoggio, un avamposto del futuro dominio a cui l’Islam naturalmente aspira sempre».
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«L’Islam vuole il dominio assoluto; è intrinsecamente intollerante», ha continuato monsignor Eleganti. «Ha causato la scomparsa del Cristianesimo ovunque».
«Al contrario, non ci sarebbe mai permesso di costruire una cappella alla Mecca, il luogo sacro dell’Islam stesso, dove celebrare la Santa Messa», ha osservato Eleganti.
All’inizio di questo mese, la Biblioteca Apostolica Vaticana ha messo a disposizione dei musulmani una sala dotata di un tappeto per la preghiera.
«Certo, alcuni studiosi musulmani ci hanno chiesto una stanza con un tappeto per pregare e noi gliel’abbiamo data», aveva detto a La Repubblica Giacomo Cardinali, viceprefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.
La rivelazione che i musulmani possono pregare presso la Biblioteca Apostolica Vaticana ha scatenato le proteste dei commentatori cattolici, i quali hanno ipotizzato che tale permesso sia un segnale di indifferentismo religioso, ambivalenza riguardo alla propria identità cattolica e resa ideologica all’Islam.
Il vescovo Eleganti ha affermato che l’Islam è «una religione che noi crediamo non sia realmente ispirata da Dio, ma sia deliberatamente concepita in senso anticristiano».
«Si tratta di una polemica totale contro la figliolanza divina di Gesù e contro il suo significato assoluto di mediatore tra [l’uomo e] Dio Padre».
Il prelato elvetico ha sottolineato che l’Islam «nega la Trinità» e che «i cristiani in tutto il mondo subiscono persecuzioni per mano dei musulmani».
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«Penso che questo dimostri semplicemente che anche in Vaticano le persone che permettono e sostengono tutto questo hanno, a mio parere, un rapporto del tutto surreale e ingenuo con l’Islam e il dialogo interreligioso», ha affermato il vescovo, dichiarando che con azioni come queste, il Vaticano sta dipingendo «una religione puramente emotiva: siamo amichevoli, siamo aperti, siamo tolleranti, abbiamo una cultura accogliente, siamo aperti al dialogo, etc.»
«È una sorta di religione emozionale che non prende più sul serio la verità e la differenza, perché c’è solo unità nella verità. Tutto il resto è un’illusione».
Monsignor Eleganti nell’intervista a LSN ha criticato il Vaticano per aver cercato di «raggiungere l’unità con le religioni eterodosse senza porsi la questione della verità», affermando che i musulmani hanno «grandi moschee a Roma» e che non c’è bisogno che abbiano una sala di preghiera in Vaticano.
«Perché devono recitare le loro preghiere in Vaticano? Nessuno lo capisce, e non credo che sia una cosa giusta».
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Spirito
I protestanti irlandesi si oppongono con veemenza alla visita di Carlo III in Vaticano
 
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Cina
Partita autunnale tra Santa Sede e Pechino
 
														Mentre il Partito Comunista Cinese aumenta la pressione sulla Chiesa cattolica in Cina, la consacrazione episcopale del nuovo vescovo ausiliare di Shanghai, il 15 ottobre 2025, riaccende le tensioni e illustra tutta la complessità del dossier avvelenato ora sulla scrivania di Papa Leone XIV.
L’ordinazione episcopale del vescovo Wu Jianlin si è svolta il 15 ottobre con misure di sicurezza degne di quelle imposte durante l’epidemia di COVID-19 nel Regno di Mezzo. Al punto che alcuni testimoni l’hanno descritta come una «cerimonia gremita»: circa seicento fedeli, tra sacerdoti, religiosi e laici, selezionati con cura, hanno partecipato all’evento, ma sono stati sottoposti a rigorosi controlli.
Consegna obbligatoria dei cellulari all’ingresso, controlli di accesso e una laconica dichiarazione ufficiale dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, che ignora le varie parole – peraltro molto consensuali – pronunciate dai prelati sul posto.
La cerimonia non ha mancato di lasciare un retrogusto: il prelato che ha presieduto la cerimonia non era altri che mons. Joseph Shen Bin, vescovo di Shanghai e presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, non riconosciuto da Roma e strettamente soggetto al Partito Comunista Cinese (PCC).
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Il vescovo Shen Bin, la cui nomina nell’aprile 2023 è stata imposta unilateralmente da Pechino, prima di essere ratificata retroattivamente da papa Francesco il 15 luglio, era circondato da tre vescovi riconosciuti in base all’accordo provvisorio concluso tra la Santa Sede e il Vaticano nel 2018: il vescovo Yang Yongqiang di Hangzhou, il vescovo Li Suguang di Nanchang e il vescovo Xu Honggen di Suzhou.
La situazione non è migliore per il vescovo ordinato il 15 ottobre: l’elezione del vescovo Wu Jianlin, 55 anni e originario del distretto di Chongming, risale al 28 aprile 2025, periodo in cui la sede papale è vacante. Non si tratta di una circostanza di poco conto: ha permesso al regime cinese di aggirare i fragili meccanismi di consultazione previsti dall’accordo provvisorio del 2018.
Il nuovo prelato, che ha assunto l’incarico di amministratore diocesano dopo la morte del precedente vescovo nel 2013, incarna la fedeltà alla linea del presidente Xi Jinping. La sua approvazione da parte di Papa Leone XIV, datata 11 agosto 2025, è stata rivelata dalla Sala Stampa vaticana il giorno stesso dell’ordinazione: un modo per dimostrare che la Santa Sede si è trovata ancora una volta di fronte al fatto compiuto.
La consacrazione del 15 ottobre risuona come un gesto di fragile unità, illustrato dal messaggio inviato dal vescovo Thaddée Ma Daqin, l’altro vescovo ausiliare di Shanghai, confinato nel seminario di Sheshan per tredici anni per essersi dimesso dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, dimostrando così la sua distanza dal PCC.
Assente alla cerimonia, il vescovo Ma Daqin, ordinato nel 2012 con l’accordo del Vaticano, ha espresso il suo auspicio per l’armonia sulla rete WeChat controllata da Pechino: «sono lieto di apprendere che il vescovo Shen Bin ha ordinato stamattina padre Wu Jianlin come vescovo ausiliare. Credo fermamente che, con questo collaboratore, il vescovo Shen potrà guidare le opere della Chiesa cattolica a Shanghai verso uno sviluppo sempre maggiore, per la maggior gloria del Signore».
Eppure, lungi dal suscitare una gioia unanime, questa ordinazione provoca una lacerazione personale tra i cattolici di Shanghai, come testimonia una voce anonima raccolta da AsiaNews il 16 ottobre 2025: «a Shanghai, dovremmo gioire o dovremmo piangere?», si chiede questo fedele locale.
L’incoronazione del vescovo Wu Jianlin avviene in un contesto di relazioni sino-vaticane erose nel tempo: Sandro Magister interpreta questa sequenza come una manifestazione dell’arroganza di Pechino, amplificata dalla «sinizzazione» delle religioni voluta da Xi Jinping. L’accordo del 2018, che affida alle autorità cinesi la proposta iniziale dei candidati episcopali prima dell’approvazione papale, verrebbe così «disprezzato», nelle parole dell’esperto vaticano.
E il Vaticano, dopo aver protestato nel 2023 contro l’insediamento del vescovo Shen Bin, si accontenterebbe di una conferma silenziosa, ratificando peraltro altre tre nomine cinesi dall’elezione di papa Leone XIV. «Se ignoriamo la verità dei fatti; se non interveniamo nella reclusione di un vescovo già legittimamente consacrato (…), è ancora questa la comunione voluta da Cristo?», si chiede il vaticanista italiano, che parla di uno «schiaffo in faccia» dato al nuovo sovrano pontefice.
Più che uno schiaffo in faccia per un papa – Xi Jinping non è certo Filippo il Bello – potrebbe trattarsi di una prova? Da bravi giocatori di Go, gli inventori del gioco più antico del mondo elogiano l’efficacia delle famose «mosse sentite», che costringono l’avversario a rispondere per mantenere l’iniziativa. La sfida per Roma sarebbe ora quella di riconquistare il vantaggio perso, probabilmente durante il precedente pontificato.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine da FSSPX.News
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