Bioetica
Peggio della 194 c’è solo la 194 corretta dai pro-life italiani: la proposta legge «Un cuore che batte» approda in Parlamento
La proposta di legge d’iniziativa popolare «Un cuore che batte», dopo aver ampiamente superato lo scoglio delle 50.000 firme, è approdata alla Camera e verrà discussa dalle Commissioni riunite di Giustizia e Affari Sociali.
Il testo della proposta mira ad aggiungere il seguente comma all’art. 14 della legge 194: «il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».
Abbiamo già avuto modo di esprimere in questa sede le nostre perplessità in merito ad un’iniziativa che presenta gravi criticità dal punto di vista della morale e che, qualora divenisse legge, potrebbe rendere la 194 ancora più intoccabile di quanto già non lo sia.
Come da regolamento la proposta di legge è stata accompagnata da una relazione illustrativa, elaborata dalla bioeticista Giulia Bovassi; relazione per la quale confermiamo il nostro giudizio negativo circa la proposta stessa.
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Nell’analisi iniziale l’estensore del documento denuncia, giustamente, la diffusione di una certa forma mentis che tende a considerare moralmente buoni tutti gli atti che sono consentiti dalla legge: «il bene oggetto del diritto precede la sua formulazione positiva; pertanto, se la legge non riconosce né tutela quel bene naturale di riferimento, discostandosi da esso, ecco che quella legge non ricalca un bene morale oggettivo. In questo caso, ad esempio, il bene oggettivo è il diritto umano inalienabile alla vita».
Si accenna, dunque, a un concetto fondamentale, secondo cui tutte quelle norme che in qualcosa o in tutto sono contrarie al diritto naturale (il bene morale oggettivo) non possono essere considerate leggi ma corruzioni della legge. In altre parole, essendo la legge un ordine della ragione, quella ingiusta non è ragionevole e quindi non può essere legge: essa lo è solo formalmente in quanto varata da un parlamento.
Pertanto, la criminale 194/1978 che consente di uccidere l’innocente nel grembo della madre, seppur a determinate condizioni, è una legge gravemente ingiusta e in quanto tale è una «non legge» che in alcun modo può essere appoggiata o obbedita; anzi, si ha il dovere di contrastarla con ogni mezzo lecito.
Tuttavia, secondo la Bovassi l’introduzione del nuovo comma nell’art. 14 della legge 194 del 1978 ha come obbiettivo di «dare voce al silenzio, la voce di un battito cardiaco udibile già dalla quinta settimana di gravidanza», agendo «perciò in continuità con la tutela della maternità, con il riconoscimento del suo valore sociale e con la tutela della vita umana fin dal suo inizio, come recita l’articolo 1 della legge 194 del 1978».
Come può una proposta che dovrebbe limitare gli effetti iniqui di una legge, agire in continuità con essa? Si potrebbe obiettare che tale proposta agisca in continuità solo con una parte della norma, quella preventiva, e non con la sua parte omicida. Ma a prescindere dal fatto che la cosiddetta parte buona della 194 in realtà non è stata pensata dal legislatore per favorire la vita e la maternità (l’articolo 1 della legge è un concentrato di ipocrisia destinato a rimanere lettera morta), agire in continuità con una parte della norma significa di fatto accettarla nella sua interezza e soprattutto nei suoi obiettivi.
In effetti, come abbiamo già avuto modo di mettere in luce nei nostri precedenti interventi, la proposta «Un cuore che batte» non mette in discussione la ratio della 194 (il pseudo principio dell’autodeterminazione femminile), bensì tende a rafforzarla.
Esplicativo a tal proposito è il passaggio della relazione in cui l’estensore dichiara che «con l’applicazione della norma contenuta nella presente proposta di legge, la libertà della donna rimane garantita, dal momento che l’obbligatorietà riguarda il dovere medico, mentre la paziente [sic] può scegliere se dare il consenso o meno; può scegliere se guardare l’esito ecografico o meno e se ascoltare o meno il battito cardiaco».
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A poco valgono i tentativi di mettersi al riparo da eventuali (sacrosante) critiche ribadendo la contrarietà etica all’aborto da parte delle associazioni promotrici, che si limiterebbero in questa sede «ad agire dove lo Stato ha legiferato aprendo la via alla sconfitta sociale dell’aborto (sic). Non si tratta di adeguarsi tollerando un male morale, bensì di offrire un bene: conoscere l’umanità di quella vita intrauterina che la stessa legge n. 194 del 1978 dichiara un bene da tutelare».
In realtà, non tutte le azioni che vanno a correggere o modificare impianti normativi già esistenti sono moralmente lecite, soprattutto se tali atti finiscono per colludere con una legge gravemente ingiusta, senza opporsi in modo chiaro ad essa. Al contrario, sarebbe necessario che l’ingiustizia potesse trovare dei limiti reali e non fittizi.
D’altra parte, se fosse sufficiente proporre un qualsiasi emendamento positivo per eludere il problema morale della collaborazione formale con una norma ingiusta, non ci sarebbe la necessità di chiamare in causa il numero 73 dell’enciclica Evangelium Vitae a garanzia della liceità morale della proposta.
Il relatore stesso delinea con chiarezza gli obiettivi di tale iniziativa: «non si tratta di una “coercizione lieve” e nemmeno di un “ricatto morale” [la possibilità di ascoltare il battito cardiaco del nascituro, ndr], quanto piuttosto dell’offerta di un’opportunità per una profonda presa di coscienza, mediante una corretta informazione clinica».
A noi sembra evidente che offrire alla donna l’opportunità di avere una «corretta informazione clinica» non equivale a porre dei limiti reali alla pratica abortiva (conditio sine qua non affinché la proposta di modifica della legge esistente sia moralmente lecita).
Altro passaggio problematico dell’elaborato è quello in cui si prende in considerazione la relazione del medico con la donna che intende abortire: «il metodo con cui la presente proposta di legge intende offrire un’alternativa consapevole per la vita alla gestante intenzionata ad abortire entra nei doveri deontologici del medico, i quali, all’articolo 20 (relazione di cura) del codice di deontologia medica, sanciscono che la relazione “tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità”».
L’aborto, tuttavia, non è un percorso di cure mediche volto a promuovere la guarigione di un soggetto affetto da una patologia, ma è l’uccisione deliberata di un innocente! In questo caso, l’autentico dovere del medico è di astenersi dal compiere l’abominevole delitto e dal fornire a una donna un mezzo per procurare l’aborto. Tutto il resto è aria fritta.
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Nella relazione inoltre vengono millantate drastiche riduzioni del numero degli aborti qualora la proposta divenisse legge: «senza dimenticare che nei Paesi in cui leggi simili sono entrate in vigore il numero degli aborti è drasticamente crollato». L’iniziativa «Un cuore che batte» si ispira alla legge dello stato americano del Texas denominata Texas Heartbeat Act che non ha nulla a che vedere con la legge che emenderebbe la 194.
Infatti, il Texas Heartbeat Act, in vigore da settembre 2021, vieta gli aborti una volta rilevato il battito cardiaco fetale, tranne che in situazioni di emergenza (pericolo di vita della madre, ad esempio). In sostanza, tale norma limita in modo significativo l’accesso alla pratica abortiva, vietando di fatto gli aborti dopo le sei settimane di gestazione, con sanzioni molto severe per i medici che agiscono contra legem.
Ci chiediamo come sia possibile paragonare una legge che vieta l’aborto nel caso sia rilevabile il battito cardiaco del nascituro ad una che invece lascerebbe comunque alla madre del bambino piena libertà di scelta.
Prendiamo atto della mancanza di senso critico che pervade una parte importante del mondo pro-vita italiano, il quale, evidentemente, manca di guide autorevoli che lo orientino nel senso della verità e della giustizia e che lo mettano in guardia dal grave pericolo delle facili scorciatoie morali.
Al contrario, tra i filosofi e i moralisti che vanno per la maggiore abbondano i falsi maestri che per ragioni di opportunità insegnano ora l’esatto contrario di quanto hanno insegnato in precedenza.
In definitiva, peggio della 194 c’è solamente una nuova 194 riveduta e corretta dall’associazionismo cattolico e pro-vita italiano.
Alfredo De Matteo
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Immagine di Beat Ruest via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine modificata
Bioetica
Mons. Viganò loda Alberto di Monaco, sovrano cattolico che non ha ratificato la legge sull’aborto
Il Principe Alberto di Monaco, coerentemente con la Fede che egli professa e con l’autorità sacra che legittima la sua funzione di sovrano del Principato di Monaco, non ratifica la proposta di legge per la depenalizzazione dell’aborto, crimine esecrando. Nel 1990 fa il Re… https://t.co/6mGMkIamVd
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) November 24, 2025
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Bioetica
Nuovo libro per bambini insegna ai bambini di 5 anni che l’aborto è un «superpotere»
Amelia Bonow, fondatrice del movimento social Shout Your Abortion («grida il tuo aborto») e tra le attiviste pro-aborto più note negli Stati Uniti, ha pubblicato un libro per bambini intitolato Abortion is Everything («L’aborto è tutto»), destinato a lettori dai 5 agli 8 anni. Lo riporta LifeSite.
Annunciato sui canali ufficiali di Shout Your Abortion, il volume – scritto insieme a Rachel Kessler e illustrato da Emily Nokes – presenta l’aborto in termini esclusivamente positivi e accessibili, definendolo un «superpotere unicamente umano»: la capacità di «immaginare il futuro e fare scelte che ci portino alla vita che desideriamo».
Nei post promozionali su Instagram e altri social si legge: «Genitori, educatori e operatori sanitari cercavano da tempo uno strumento per parlare ai bambini dell’aborto, soprattutto con tutto il rumore politico che lo circonda». Il libro, spiegano, «parla direttamente ai bambini di cos’è l’aborto, di come ci si sente e del perché lo si sceglie», omettendo completamente che l’aborto termina la vita di un essere umano.
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Un post descrive l’aborto come «uno strumento che permette agli esseri umani di plasmare il proprio destino e che ha plasmato il mondo intero che ci circonda». Il messaggio si chiude affermando che il libro serve a «riscrivere fin dalle basi i nostri copioni culturali sull’aborto».
I commenti sotto i post sono entusiastici: «Lo adoro. Parlo di aborto ai miei figli da quando erano piccoli ed è bellissimo sentire una bimba dire: “Non devi restare incinta se non vuoi”». Un’altra utente: «Lo compro oggi per la mia futura prole!!».
Molti degli stessi che celebrano questo libro per l’infanzia accusano invece Meet Baby Olivia – un video educativo che mostra semplicemente lo sviluppo prenatale umano, senza menzionare l’aborto – di essere «propaganda» e «lavaggio del cervello» ai bambini piccoli, solo perché si basa su fatti scientifici.
La Bonow non è nuova a iniziative di questo tipo. Nel 2019 era apparsa nella serie YouTube «Kids Meet» con l’episodio «I bambini incontrano una persona che ha abortito», dove aveva già annunciato l’imminente uscita di un libro per bambini sull’argomento. Il video originale è stato rimosso dalla piattaforma ufficiale, ma è ancora disponibile altrove.
Il libro rappresenta l’ultimo capitolo di una lunga tradizione di materiale pro-aborto rivolto a bambini e adolescenti, spesso finanziato anche con fondi pubblici.
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Nel video della serie «Kids Meet», Amelia Bonow racconta ai bambini (soprattutto preadolescenti e adolescenti) di essere rimasta incinta dopo un rapporto non protetto con il fidanzato, ma ha negato di essere stata irresponsabile e ha precisato che il compagno aveva appoggiato la decisione di abortire.
La maggior parte dei piccoli intervistati rimane impassibile alle sue parole; solo un ragazzo manifesta disagio ed è stato subito rimproverato dalla Bonow, che descrive l’intervento figlicida con termini volutamente disumanizzanti e imprecisi: «l’abortista ha semplicemente succhiato via la gravidanza», evitando di parlare di bambino o anche solo di feto. I bambini presto adottano lo stesso linguaggio riduttivo.
Un ragazzo più grande paragona il feto a un «cetriolo di mare», ridendo: «Non pensa, sta solo vivendo. È come il tuo braccio: non ha pensieri complessi. E nemmeno un bambino nel grembo». Bonow scoppia a ridere e ha replicato: «Mi piace la tua opinione».
Quando una bambina dice che «a volte l’aborto può essere sbagliato», la Bonow la interrompe bruscamente: «non lo so, non sono d’accordo. Vogliamo davvero che la gente faccia tutti quei bambini?». La donna poi scredita l’adozione, insinuando che far crescere il proprio figlio in un’altra famiglia sia peggio che eliminarlo con un aborto.
La Bonowa ha anche attaccato i pro-life: «non li chiamo pro-life, li chiamo anti-scelta. Quelli che si dicono pro-life non si curano delle persone che hanno figli che non possono mantenere e finiscono in povertà assoluta. Vogliono negare l’accesso all’assistenza sanitaria. Io dico: voi non siete pro-life. Io sì che sono pro-life».
Resta da capire contro quale «scelta» siano gli anti-scelta e a favore della vita di chi si dichiari «pro-life» mentre difende l’uccisione intenzionale di un essere umano – che, tra le altre cose, viene privato per sempre anche dell’«accesso all’assistenza sanitaria».
Un’altra attivista pro-aborto, Mary Walling Blackburn, aveva già pubblicato un libro per l’infanzia in cui i bambini abortiti venivano presentati come «fantasmi felici».
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Bioetica
«Estrema irrazionalità bioetica al servizio della biopolitica»: vescovo spagnolo denuncia la «tragedia dei 73 milioni di aborti» all’anno
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