Cina
Pechino rafforza la legge contro lo spionaggio, preoccupazione delle imprese straniere
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’Assembla nazionale del popolo ha ampliato il campo di applicazione della normativa conferendo maggiori poteri alla polizia anche nelle ispezioni su smartphone e computer. Di recente la polizia ha fatto irruzione negli uffici di aziende internazionali in Cina. Qualche settimana fa arrestato un dipendente giapponese.
La Cina ha ampliato l’ambito di applicazione della legge sul controspionaggio per includere qualsiasi questione relativa alla sicurezza dello Stato definita dalle autorità. Si allarga così il potere delle forze dell’ordine di perquisire le persone e sequestrare oggetti. E secondo gli esperti in materie giuridiche questa modifica alla legge potrebbe aumentare i rischi per le imprese e gli individui stranieri presenti in Cina.
L’emendamento, approvato la settimana scorsa dall’Assemblea nazionale del popolo, entrerà in vigore a luglio e consentirà alle autorità di ispezionare i dispositivi digitali di organizzazioni e individui, compresi quindi smartphone e computer. Espandendo la definizione di «spionaggio», anche le normali attività commerciali, tra cui la raccolta di informazioni sul mercato locale, sui concorrenti e sui partner, potrebbero diventare oggetto di indagine.
Secondo il Wall Street Journal, la legge sarà utile come nuovo strumento per contrastare gli Stati Uniti e i loro alleati, ma rischia di vanificare gli sforzi per rilanciare l’economia e attrarre investimenti stranieri. Chiunque sia accusato di spionaggio in Cina rischia infatti pene severe, persino la pena di morte.
Di recente la polizia cinese ha fatto irruzione nell’ufficio della Bain & Company, una società americana di consulenza manageriale, a Shanghai. La società non ha rilasciato commenti sull’attività delle autorità. Tuttavia secondo il Financial Times la polizia cinese ha visitato più volte l’ufficio dell’azienda, portando via telefoni cellulari e computer ma senza arrestare nessun membro del personale.
A marzo, invece, cinque dipendenti del Mintz Group, una società di due diligence che raccoglie informazioni e indaga sulla conformità alle leggi, sono stati arrestati dalle autorità cinesi. L’ufficio della società in Cina ha chiuso le operazioni dopo gli arresti, avvenuti poco dopo che gli Stati Uniti hanno abbattuto il pallone spia cinese.
Anche Dong Yuyu (董郁玉), redattore e reporter di lunga data del quotidiano cinese Guangming Daily, è stato accusato di spionaggio. Dong lavorava per il giornale ufficiale da oltre 30 anni, scrivendo spesso commenti contro la riforma. È stato fermato dalla polizia mentre pranzava con un diplomatico giapponese a Pechino lo scorso anno. Una lettera aperta firmata da oltre 60 accademici e giornalisti ne ha chiesto il rilascio: «gli incontri con persone come il signor Dong sono essenziali se la Cina e il resto del mondo vogliono avere relazioni produttive, aperte e stabili», si legge nella lettera.
Il mese scorso anche un dipendente giapponese di Astellas Pharma è stato arrestato per spionaggio mentre si trovava a Pechino. L’incidente ha sconvolto le imprese giapponesi al punto che alcune stanno consigliando ai propri dipendenti di non recarsi in Cina.
Il segretario di Gabinetto giapponese, Hirokazu Matsuno, ha esortato Pechino a dare una spiegazione riguardo la legge sul controspionaggio e a garantire la trasparenza dell’applicazione della normativa e del processo giuridico.
Almeno 17 cittadini giapponesi sono stati arrestati dalle autorità cinesi per spionaggio a partire dal 2014, anno in cui la normativa è entrata in vigore, ma le autorità cinesi non hanno mai rivelato i dettagli delle accuse.
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Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
I test di sicurezza sui trasporti pubblici in Norvegia hanno rivelato che i produttori cinesi possono accedere e controllare a distanza gli autobus elettrici.
Una compagnia di autobus norvegese ha condotto dei test segreti confrontando autobus realizzati da produttori europei e cinesi per scoprire se i veicoli rappresentassero una minaccia per la sicurezza informatica.
Non sono stati segnalati problemi con l’autobus europeo, ma si è scoperto che il veicolo cinese, prodotto da un’azienda chiamata Yutong, poteva essere manipolato a distanza dal produttore.
Questa manipolazione includeva la possibilità di accedere al software, alla diagnostica e al sistema di batterie dell’autobus. Il produttore cinese aveva la possibilità di fermare o immobilizzare il veicolo.
Arild Tjomsland, un accademico che ha collaborato ai test, ha sottolineato i rischi: «l’autobus cinese può essere fermato, spento o ricevere aggiornamenti che possono distruggere la tecnologia di cui l’autobus ha bisogno per funzionare normalmente».
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Tjomsland ha poi aggiunto che, sebbene gli hacker o i fornitori non siano in grado di guidare gli autobus, la capacità di fermarli potrebbe essere utilizzata per interrompere le operazioni o per esercitare un’influenza sul governo norvegese durante una crisi.
Le preoccupazioni sui veicoli cinesi sono diffuse. I think tank hanno lanciato l’allarme: i veicoli elettrici potrebbero essere facilmente «armati» da Pechino.
Le aziende cinesi hanno testato su strada i loro veicoli negli Stati Uniti, raccogliendo dati, tra cui roadmap, che gli esperti ritengono potrebbero rivelarsi di utilità strategica.
I risultati dei test sono stati ora trasmessi ai funzionari del ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni in Norvegia.
La militarizzazione dei prodotti cinesi importati in gran copia non riguarda solo le auto.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa è emerso che sono stati trovati dispositivi «non autorizzati» trovati nascosti nei pannelli solari cinesi che potrebbero «distruggere la rete elettrica».
Una trasmissione giornalistica italiana aveva dimostrato che nottetempo le telecamere cinesi usate persino nei ministeri italiani inviavano dati a server della Repubblica Popolare.
Il lettore di Renovatio 21, ricorderà tutta la querelle attorno al decreto del governo Conte bis, in piena pandemia, chiamato «Cura Italia» (da noi ribattezzato più onestamente «Cina Italia»), che in bozza conteneva concessioni a produttori di IT di 5G cinesi come Huawei che, secondo alcuni, mettevano a rischio la sicurezza del nostro Paese e del blocco cui è affiliato.
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