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Immigrazione

Parigi continua a bruciare: molotov e truppe antiterrorismo spiegate, 400 arresti

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Più di 400 persone sono state arrestate in Francia nella terza notte di disordini scatenati da una sparatoria mortale della polizia, hanno riferito diverse testate giornalistiche francesi, citando fonti del ministero dell’Interno.

 

Sono stati effettuati un totale di 421 arresti, di cui 242 nell’area di Parigi, secondo quanto riferito dalle prime ore di oggi. La maggior parte dei detenuti ha tra i 14 ei 18 anni, scrive il quotidiano Le Figaro.

 

«Il numero record di arresti riflette gli ordini fermi emessi dal ministro a prefetti e forze dell’ordine», ha detto una fonte citata da Le Figaro.

 

Le segnalazioni sono arrivate dopo che altri 5.000 agenti di polizia, oltre a unità tattiche pesantemente armate e veicoli blindati, sono stati schierati per reprimere violente proteste e rivolte, scoppiate martedì sera a Nanterre, una banlieue occidentale di Parigi che ospita migliaia di famiglie immigrate, e da allora si sono diffuse in altre città. In totale il governo francese ha dispiegato oltre 40.000 poliziotti e gendarmi in tutto il Paese, tra cui unità d’élite antiterrorismo e tattiche.

 

Circa 6.200 persone hanno partecipato alle proteste nella sola Nanterre, ha riferito BFM TV, citando la Prefettura di polizia di Parigi.

 

La gente inizialmente è scesa in strada per esprimere indignazione dopo che un uomo di 17 anni, identificato come Nahel M., è stato ucciso da un agente durante un blocco del traffico.  La polizia aveva detto che Nahel non aveva rispettato le richieste dell’ufficiale, fuggendo con una Mercedes gialla con targa polacca, tentando di speronare – era stato detto inizialmente – uno degli agenti.

 

La madre del giovane, Mounia, ha postato un video su TikTok chiedendo «una rivolta» per ottenere giustizia per la morte del figlio – in pratica, un appello alla «vendetta». Le manifestazioni seguite sono rapidamente sfociate nella violenza, con i rivoltosi che hanno bruciato auto, sparato fuochi d’artificio e lanciato bombe molotov contro la polizia. La filiale di una banca, il Credit Mutuelle, è stata data alle fiamme.

 

 

 

Il presidente francese Emmanuel Macron ha condannato l’uccisione del giovane. «Abbiamo un adolescente che è stato ucciso. È imperdonabile, inspiegabile e voglio esprimere le mie condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari», ha detto Macron durante una visita a Marsiglia mercoledì. Il presidente ha quindi incaricato il ministro per le città e l’edilizia abitativa Olivier Klein di consegnare le condoglianze del governo alla famiglia dell’adolescente ucciso.

 

Su Twitter, Macron ha esortato il pubblico a mantenere la calma e ha ringraziato gli agenti di polizia che «si impegnano a proteggerci e a servire la Repubblica».

 

 

L’ufficiale che ha sparato il colpo mortale è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario. Gli avvocati della madre di Nahel hanno chiesto un cambio di sede, sostenendo che i pubblici ministeri di Nanterre non possono essere imparziali perché il sospettato è uno dei loro agenti di polizia.

 

La leader dell’opposizione Marine Le Pen ha definito le osservazioni di Macron «eccessive» e «irresponsabili». Spetta ai tribunali decidere cosa è successo, ha detto la Le Pen, sostenendo che il presidente non dovrebbe pregiudicare le indagini.

 

Le proteste erano scoppiate inizialmente lo scorso martedì nella banlieue Nanterre, ma da allora si sono estese ad altre grandi città, tra cui Tolosa, Lille, Lione e Nizza. I rivoltosi hanno bombardato la polizia con fuochi d’artificio, incendiato i contenitori della spazzatura e dato alle fiamme diverse auto. I giornalisti locali hanno riferito che molotov e pietre sono state lanciate contro i furgoni della polizia.

 

 

 

Le Figaro riferisce che «poche decine» di persone hanno lanciato fuochi d’artificio in una prigione a Fresnes, un sobborgo meridionale di Parigi, e hanno tentato di entrare nell’edificio prima di essere portate via dalla polizia.

 

 

Il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha dichiarato mercoledì sera che 2.000 ufficiali e gendarmi sono stati messi in allerta nell’area metropolitana di Parigi, 800 in più rispetto alla notte precedente, secondo i media francesi. La polizia ha anche ricevuto un’autorizzazione di emergenza per utilizzare droni di sorveglianza a Nanterre.

 

Parigi e la sua periferia interna sono state fortificate con altri 5.000 ufficiali, ha detto il ministero dell’Interno ai media francesi. Membri del Gruppo nazionale di Intervento della Gendarmeria (GIGN), della Brigata Investigativa e di Intervento (BRI) e dell’unità tattica Inquest Assistance Intervention Deterrence (RAID) sono stati avvistati a Nanterre, dove sono iniziate le rivolte.

 

 

Fuori da Parigi, nel quartiere Mirail di Tolosa, i rivoltosi hanno preso di mira la stazione di polizia con bombe incendiarie.

 

Diverse attività commerciali nel Porto Vecchio di Marsiglia sono state vandalizzate e saccheggiate. Circa 20 rivoltosi mascherati hanno attaccato la prigione di Fresnes in Val-de-Marne, ma non sono riusciti a violare la struttura.

 

Violenze sono state segnalate anche a Bordeaux, Lormont e Lille.

 

Diverse città, tra cui Clamart e Compiegne, hanno dichiarato il coprifuoco notturno fino a lunedì. Anche quattro delle 18 regioni francesi – Bordeaux, Ile-de-France, Tours e Lille – hanno sospeso tutti i trasporti pubblici.

 

Le violenze continuano anche durante il giorno, con gruppi di casseurs liberi di scorrazzare per la città tra razzie sempre più impudiche.

 

 

 

 

 

 

Oggi si è ha assistito a vari vandalismi, tra cui la razzia di una boutique di alta moda di Louis Vuiton.

 

 

Insomma, davvero: Parigi sta bruciando. Letteralmente.

 

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da Twitter

 

 

 

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Immigrazione

Orban promette di sfidare le «scandalose» quote di migranti dell’UE

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha annunciato che il suo paese non adempirà agli obblighi europei sull’accoglienza dei migranti a partire dal prossimo anno, accusando Bruxelles di aver sferrato «un attacco assurdo e ingiusto» contro l’Ungheria.

 

Il Patto UE sulla migrazione e l’asilo, approvato lunedì e previsto in vigore da luglio 2026, stabilisce che ciascun Stato membro partecipi in proporzione alla popolazione e al PIL. Lo scopo è ridurre il carico sui paesi più esposti – Cipro, Grecia, Italia e Spagna –, come ha precisato la Commissione Europea.

 

I governi dovranno ospitare un numero prefissato di migranti provenienti dagli hotspot o versare 20.000 euro per ciascun rifiuto.

 

«Finché l’Ungheria avrà un governo nazionale, non metteremo in atto questa decisione scandalosa», ha postato martedì su X Orban, da sempre oppositore delle politiche migratorie di Bruxelles.

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La Commissione ha inoltre classificato Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia e Polonia tra i paesi esposti a una «significativa pressione migratoria». L’Ungheria, però, non figura in questa lista.

 

Orbsn ha contestato l’idea che il suo paese sia immune dalla crisi migratoria, definendola «completamente slegata dalla realtà». Ha ricordato che ogni anno decine di migliaia di individui tentano ingressi illegali, intercettati dalle guardie di frontiera e dal sistema di barriere ungheresi.

 

Nel giugno 2024, la Corte di giustizia dell’UE ha condannato l’Ungheria a una multa forfettaria di 200 milioni di euro, più 1 milione di euro al giorno, per il mancato rispetto delle norme comunitarie sull’asilo.

 

Il mese scorso Orban aveva ribadito che preferirebbe versare la sanzione giornaliera di 1 milione di euro piuttosto che aprire le porte ai migranti irregolari, asserendo che pagare è «meglio che vivere nella paura» e garantendo ai cittadini un’estate di vacanze in sicurezza. I mercatini natalizi sono stati bersaglio di attacchi jihadisti in vari episodi di rilievo negli ultimi anni.

 

L’UE affronta da oltre vent’anni un’intensa pressione migratoria. L’impegno dei Paesi NATO europei nel collasso di Libia e Siria, unito al loro appoggio all’Ucraina nel confronto con la Russia, ha indotto milioni di individui a dirigersi verso l’Unione.

 

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Immagine di Belgian Presidency of the Council of the EU 2024 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Immigrazione

Trump: persone «deboli» guidano un’Europa «in decadenza»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha bollato l’Europa occidentale come un insieme di Stati «in decadenza» diretti da capi di governo «deboli», rimproverando i loro esecutivi per la gestione fallimentare dei flussi migratori e per l’incapacità di contribuire alla risoluzione della crisi ucraina.   In un colloquio concesso a Politico e reso pubblico martedì, Trump ha dipinto l’élite politica del Vecchio Continente come inadeguata e intrappolata in un eccesso di «correttezza politica».   «Penso che siano deboli», ha sentenziato riguardo ai vertici della zona, proseguendo: «L’Europa non sa cosa fare».   Sollecitato sul contributo dell’Europa occidentale ai negoziati per la pace in Ucraina, il tycoon ha replicato che i suoi dirigenti «parlano troppo», lasciando intendere che, se persistono nel credere a una vittoria di Kiev, possono proseguire nel finanziamento illimitato.

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Il presidente statunitense negato di nutrire autentici avversari nel continente, vantando legami cordiali con la maggioranza dei suoi leader, ma ha asserito di saper distinguere «i buoni leader», «i cattivi leader», «quelli intelligenti» e «quelli stupidi».   «Anche se ve ne sono di davvero stupidi», ha chiosato Trump.   L’imprenditore ha argomentato che le strategie sull’immigrazione stanno trascinando vari Paesi verso il tracollo. «Se continua così, secondo me l’Europa non esisterà più, molti di quei paesi non saranno più sostenibili», ha pronosticato. «La loro politica sull’immigrazione è un disastro. Quello che stanno facendo con l’immigrazione è un disastro».   Trump accusato numerosi governi europei di autorizzare ingressi «senza controlli e senza essere controllati» e di ostinarsi a non espellere gli immigrati irregolari.   «Vogliono essere politicamente corretti… e non vogliono rimandarli da dove sono venuti», ha spiegato Trump, che ha lodato l’approccio di Ungheria e Polonia alla difesa dei confini, contrapponendole ad altre nazioni europee – in special modo Germania e Svezia –, che a suo avviso hanno smarrito il dominio sui movimenti migratori.

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Immigrazione

Trump definisce gli immigrati somali «spazzatura»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha espresso contrarietà all’accoglienza di immigrati somali negli Usa, invitandoli a rimpatriare nella loro terra d’origine – l’Africa orientale, «a stento una nazione» – e a «mettere ordine laggiù».

 

Le sue parole si inseriscono in un più ampio affondo contro la comunità somalo-americana, in particolare nel Minnesota, sede della più numerosa diaspora somala negli Stati Uniti. L’uscita segue la determinazione di Washington di sospendere le procedure di asilo, in replica alla sparatoria di due militari della Guardia Nazionale nei pressi della Casa Bianca la settimana scorsa.

 

Nel corso di una sessione governativa martedì, Trump ha bacchettato gli immigrati somali, tra cui la deputata democratica Ilhan Omar, accusandoli di «non recare alcun beneficio» alla società americana.

 

«Se proseguiamo a importare rifiuti nella nostra Patria, imboccheremo la strada del declino. Ilhan Omar è immondizia, è immondizia. I suoi amici sono immondizia», ha tuonato, aggiungendo che la Somalia «è un fallimento per un valido motivo».

 

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«Queste non sono persone che lavorano. Non sono persone che dicono: “Andiamo, forza. Rendiamo questo posto fantastico”. Queste sono persone che non fanno altro che lamentarsi» ha tuonato il presidente USA. «Quando vengono dall’inferno e si lamentano e non fanno altro che lagnarsi non li vogliamo nel nostro Paese. Lasciamo che tornino da dove sono venuti e risolvano la situazione».

 

Omar, nata in Somalia e naturalizzata statunitense, è la prima donna di origini africane a sedere al Congresso, eletta nel quinto distretto del Minnesota e membro della «squad» progressista democratica, spesso in rotta di collisione con i repubblicani.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump l’aveva già bollata come «feccia» a settembre, dopo che era scampata per un soffio a una mozione di censura alla Camera per commenti sprezzanti sull’attivista conservatore Charlie Kirk, assassinato. Aveva pure rilanciato illazioni su un presunto matrimonio con il fratello per ottenere «illecitamente» la cittadinanza americana.

 

In un messaggio su X diramato martedì, Omar ha tacciato di «inquietante» l’«ossessione» del presidente \nei suoi confronti. «Spero ottenga l’assistenza di cui abbisogna urgentemente», ha commentato.

 


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La Somalia versa in una cronica instabilità e minaccia terroristica da decenni, alimentata dal gruppo qaidista Al-Shabaab e da altre frange estremiste. Molti somali approdarono negli USA negli anni Novanta, in piena guerra civile. Altri ancora arrivarono con Obama.

La scorsa settimana, Trump ha annunciato l’intenzione di estromettere i somali dal programma di Temporary Protected Status (TPS), che autorizza immigrati da nazioni in crisi a soggiornare e lavorare negli USA, denunziando «brigate» di rifugiati somali che «hanno invaso» il Minnesota, «un tempo uno Stato magnifico», seminando terrore e facendo evaporare miliardi di dollari.

 

Il governatore del Minnesota Tim Walz – da Trump etichettato come un capo «ritardato» per non aver «mosso un dito» contro il fenomeno – ha stigmatizzato la revoca del TPS come «discriminatoria e lesiva».

 

La comunità somala negli Stati Uniti, stimata tra 150.000 e 200.000 persone, è una delle più grandi diaspore somale al mondo. Lo Stato del Minnesota ospita la popolazione più numerosa, con circa 86.000 Somali, concentrati a Minneapolis, soprannominata «Little Mogadishu», o Piccola Mogadiscio. Altre comunità significative si trovano a Columbus (Ohio), Seattle (Washington) e San Diego (California). La migrazione, iniziata negli anni Novanta per la guerra civile in Somalia, è stata guidata da opportunità lavorative e supporto di agenzie di reinsediamento.

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Immagine di pubblico dominio Cc0 via Flickr

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