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Palestina, quattro morti palestinesi nell’assalto dei coloni israeliani. Colpito anche il villaggio cristiano di Taybeh

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Almeno un centinaio hanno assaltato Kafr Malik, poi i soldati hanno aperto il fuoco sulla popolazione causando morti e feriti. Ucciso anche un ragazzo di 15 anni ad Al-Yamoun. Padre Bashar: «viviamo sotto il fuoco costante dei coloni e dell’esercito israeliano, ma non abbiamo paura di rimanere nella nostra terra».

 

Ancora morti palestinesi in Cisgiordania, uccisi dall’esercito israeliano dopo essere stati vittime di un assalto di coloni ebraici che – all’ombra della guerra a Gaza prima, poi con l’Iran – attaccano impuniti grazie alla protezione di militari e governo. Fonti dell’Autorità palestinese riferiscono che «almeno tre persone» sono decedute, colpite dai proiettili esplosi dai soldati, e altre sette sono rimaste ferite nel pomeriggio di ieri durante un assalto al villaggio di Kafr Malik, vicino a Ramallah.

 

In un altro incidente occorso sempre in queste ore, un ragazzo di 15 anni è stato ucciso dall’esercito israeliano ad Al-Yamoun, nel nord della West Bank, in un’ondata di violenze e scontri quasi quotidiani tra coloni e palestinesi che ha coinvolto anche il villaggio di Taybeh.

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«Viviamo sotto il fuoco costante dei coloni, e sotto il tiro incrociato delle armi dell’esercito di occupazione israeliano». È un grido d’allarme quello lanciato ad AsiaNews da padre Bashar Fawadleh, parroco di Taybeh in Cisgiordania, villaggio di circa 1500 abitanti con tre chiese 30 km a nord di Gerusalemme e a est di Ramallah, famoso per essere l’ultimo palestinese abitato interamente da cristiani. Tra i residenti oltre 600 sono cattolici latini, mentre i restanti si distribuiscono tra greco-ortodossi e cattolici greco-melchiti.

 

«Ieri sera i coloni – prosegue il sacerdote – hanno attaccato le case nella zona della rotonda di Karamelo, all’ingresso orientale del villaggio». Un assalto, aggiunge, che è «coinciso con l’attacco di decine di coloni al villaggio di Kafr Malik, che si trova vicino a noi, e che ha portato alla morte di tre martiri e all’incendio di molti veicoli e case».

 

Un’escalation di violenze, prosegue padre Bashar, che è «iniziata prima del 7 ottobre [2023, con l’attacco di Hamas a Israele e l’inizio del conflitto a Gaza] ed è poi proseguito per tutto questo tempo». «Viviamo in condizioni molto difficili, ma non abbiamo paura di rimanere nella nostra terra. Non abbiamo paura – afferma il sacerdote – di coloro che uccidono il corpo. Siamo un popolo che ama la propria terra e non la abbandonerà mai».

 

Oltre 100 persone avrebbero preso parte all’attacco a Kafr Malik, secondo quanto afferma il gruppo pro-diritti Yesh Din, per il quale le violenze si sarebbero consumate in presenza dei soldati dello Stato ebraico. Immagini e video rilanciati sui social mostrano diverse case e auto incendiate dai coloni, che hanno lanciato pietre contro gli abitanti del villaggio e le proprietà. Altri ancora confermano la versione dei testimoni oculari, con i militari che aprono il fuoco verso i palestinesi – disarmati – che si trovavano all’ingresso dell’abitato.

 

In una dichiarazione l’IDF afferma che le truppe intervenute hanno sparato contro «uomini armati palestinesi e rivoltosi che lanciavano pietre», anche se non vi sono prove documentate di abitanti dell’area con armi in pugno. I militari sarebbero intervenuti per separare i coloni dai palestinesi e «fermare» il lancio di pietre, mentre un ufficiale avrebbe riportato ferite leggere dopo essere stato colpito da una pietra.

 

Poco dopo l’IDF ha aggiunto che palestinesi hanno sparato «dall’interno del villaggio e altri hanno lanciato pietre contro le truppe», mentre i soldati hanno «risposto al fuoco». Nel frattempo, almeno cinque coloni ebraici sospettati di aver partecipato all’attacco al villaggio sono stati arrestati e consegnati alla polizia per interrogatori. Commentando l’assalto Yesh Din (ong israeliana che opera in Israele e in Cisgiordania) sottolinea che sotto il mantello protettivo del governo del premier Benjamin Netanyahu – sostenuto al suo interno da partiti pro-occupazione – e dell’esercito la «violenza dei coloni in Cisgiordania continua». Una prova di forza che «diventa ogni giorno più letale» e che assume un aspetto equiparabile alla «pulizia etnica».

 

Anche Hussein al-Sheikh, vice del presidente dell’Autorità palestinese di Mahmoud Abbas, ha condannato il governo israeliano che, col suo comportamento e le sue decisioni, sta «spingendo la regione sul punto di esplodere».

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In un messaggio pubblicato su X il leader palestinese si rivolge alla comunità internazionale, chiedendo di «intervenire con urgenza per proteggere il nostro popolo». I decennali attacchi di coloni contro palestinesi avvengono ormai con cadenza quotidiana, provocando sanzioni dei governi occidentali sebbene l’arrivo alla Casa Bianca del presidente USA Donald Trump abbia di fatto annullato i già miseri sforzi di repressione.

 

Il capo della divisione della polizia israeliana in Cisgiordania è attualmente indagato per aver ignorato le violenze dei coloni per compiacere il ministro (pro-occupazione) della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. A dispetto dell’indagine, questo mese è stato reintegrato nella polizia dopo una sospensione di sei mesi.

 

Gli assalti sono opera di integralisti religiosi che considerano la Cisgiordania terra promessa per Israele, da occupare e «purificare» con tutti i mezzi, anche il sangue e le armi.

 

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Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Il 4 agosto 2025, il Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia (ECLJ) ha presentato una dichiarazione scritta al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla drammatica situazione dei cristiani siriani dopo la presa del potere da parte dell’ex jihadista Ahmed al-Sharaa. L’ECLJ mette in guardia dal rischio che il modello di governo islamista centralizzato a Idlib si diffonda a livello nazionale.   Le cifre purtroppo parlano da sole: i cristiani siriani hanno perso tre quarti del loro numero dall’inizio della Primavera araba, passando da due milioni a 500.000 dopo la caduta di Bashar al-Assad. Da allora, l’esodo ha subito una pericolosa accelerazione. Un vescovo ha testimoniato che i suoi fedeli vogliono andarsene perché temono per i loro figli e mogli.   L’attacco del 22 giugno 2025 alla chiesa greco-ortodossa di Mar Elias a Damasco, che ha causato 25 morti e 63 feriti durante la messa, non li rassicura molto. Soprattutto perché il governo ha praticamente ignorato la questione.

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi

Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città.   Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.  

La graduale islamizzazione della Siria

Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi.   Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.

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Sul fronte giudiziario, ex membri del regime di Assad sono stati perseguiti, ma non è stata aperta alcuna indagine contro figure di HTS integrate nel governo. I massacri di alawiti del marzo 2025 hanno portato all’arresto solo di pochi subordinati. «I gruppi armati vogliono farsi giustizia da soli senza aspettare l’istituzione di una giustizia pseudo-transizionale. Stiamo vivendo una giustizia di vendetta piuttosto che una giustizia di riconciliazione», ha confidato un leader cristiano.   Un opaco sistema di predazione è stato istituito sotto la guida del fratello del presidente, Hazem al-Sharaa. «È come se il partito laico baathista ora avesse una barba islamista», ha ironicamente commentato un leader cristiano. Un comitato segreto, composto da ex funzionari di HTS, ha recuperato oltre 1,6 miliardi di dollari di beni attraverso accordi riservati con gli oligarchi del precedente regime.   Di fronte a questi abusi, l’ECLJ invita gli Stati membri del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a:   – Riconoscere i cristiani in Siria come un gruppo a rischio. – Richiedere un’indagine internazionale indipendente sui recenti massacri. – Rafforzare le sanzioni mirate contro gli autori di violazioni dei diritti umani.   Queste raccomandazioni fanno parte di una dichiarazione formale da presentare al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite il 4 agosto 2025.   Articolo previamente pubblicato da FSSPX.News

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Immagine di Drozi Yarka via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.

 

Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.

 

Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».

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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.

 

Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».

 

Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.

 

Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.

 

Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».

 

Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.

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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.

 

La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.

 

L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.

 

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Parlamentare finlandese trascinata di nuovo in tribunale per aver citato contro l’omosessualità

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La Corte Suprema finlandese ha fissato la data per l’udienza orale nel caso di libertà di parola che coinvolge la parlamentare finlandese Päivi Räsänen e il prelato luterano Juhana Pohjola. Lo riporta LifeSite.   Entrambe le figure erano state precedentemente assolte all’unanimità dalle accuse di «incitamento all’odio» da due tribunali di grado inferiore dopo aver espresso pubblicamente la propria fede cristiana. Con l’udienza fissata per il 30 ottobre 2025, la campagna di censura del pubblico ministero contro Räsänen e Pohjola entrerà nel suo settimo anno.   Räsänen, medico, ex ministro degli Interni finlandese e parlamentare dal 1995, è stata formalmente accusata di «agitazione contro un gruppo minoritario» nel 2021. È stata incriminata ai sensi di una sezione del codice penale finlandese intitolata «crimini di guerra e crimini contro l’umanità» per aver condiviso le sue convinzioni cristiane sul matrimonio e l’etica sessuale in un tweet del 2019, nonché in un dibattito radiofonico in diretta del 2019 e in un opuscolo parrocchiale del 2004.

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La Pohjola è stata incriminata per aver pubblicato l’opuscolo di Räsänen del 2004.   I processi di alto profilo tenutisi presso tribunali di grado inferiore hanno ricevuto notevole attenzione a livello mondiale, in particolare dopo che l’accusa ha attaccato i fondamentali insegnamenti cristiani e ha controinterrogato Räsänen e Pohjola sulla loro teologia durante le udienze in tribunale.   «Non è un reato twittare un versetto della Bibbia o impegnarsi in un dibattito pubblico da una prospettiva cristiana. I tentativi di criminalizzarmi per aver espresso le mie convinzioni hanno portato a degli anni estremamente difficili, ma spero ancora in un risultato positivo che costituisca un precedente fondamentale per la tutela del diritto umano alla libertà di parola in Finlandia», ha affermato Räsänen, nonna di 12 nipoti.   Due tribunali di grado inferiore avevano precedentemente assolto Räsänen e Pohjola da tutte e tre le accuse nell’aprile 2022 e nel novembre 2023. Il pubblico ministero ha presentato ricorso per la terza volta, portando le accuse relative all’opuscolo e al tweet alla Corte Suprema, che ascolterà le argomentazioni orali il 30 ottobre 2025.   In precedenza, la difesa aveva sostenuto in tribunale che l’uso della parola «peccato» da parte di Räsänen nel suo tweet, che l’accusa aveva definito «offensivo» e quindi illegale, era una citazione diretta dalla Bibbia, e qualsiasi sentenza che ne condannasse l’uso condannerebbe direttamente la Bibbia stessa.   Ad essere sotto processo, quindi, sarebbe la stessa Sacra Scrittura dei cristiani.   Durante l’importante processo davanti alla Corte d’appello nel 2023, l’accusa ha spesso attaccato i fondamentali insegnamenti cristiani e ha controinterrogato Räsänen, uno dei membri più longevi del Parlamento finlandese, e la Pohjola sulla loro teologia.

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Il procuratore di Stato finlandese, Anu Mantila, ha affermato che «si può citare la Bibbia, ma sono l’interpretazione e l’opinione di Räsänen sui versetti biblici a essere criminali». In pratica, è l’ermeneutica a divenire passibile di penale, e galera.   Come riportato da Renovatio 21, la Bibbia era stata assolta dal tribunale finnico due anni fa.   Non si tratterebbe tuttavia solo di una tendenza della magistratura del vecchio continente. Un sondaggio del 2023 in Inghilterra ha rilevato che un giovane britannico su quattro sarebbe pronto a censurare la Bibbia.

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