Persecuzioni
Pakistan, cristiano condannato a morte per blasfemia, libero chi bruciò chiese e case
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Verdetto surreale sul grave assalto dell’agosto 2023 al quartiere cristiano in Punjab. Un giudice di un piccolo tribunale ha emesso un verdetto capitale contro Ahsan Masih, un giovane che (come migliaia di persone) aveva condiviso sui social network un testo, sostenendo che avrebbe «istigato» le violenze. A piede libero le 135 persone fermate dopo i roghi. Padre Khalid Rashid Asi: «sentenza emessa sotto le pressione degli estremisti, ma alla fine la verità vincerà».
A quasi un anno ormai dall’ondata di violenza contro i cristiani a Jaranwala, una condanna a morte per blasfemia riapre la ferita, addossando di fatto la responsabilità a un giovane cristiano.
Come si ricorderà il 16 agosto 2023, 26 chiese e centinaia di case a Jaranwala, nel distretto di Faisalabad in Punjab, vennero bruciate a causa di un presunto caso di blasfemia contro un residente locale cristiano. L’uomo, che è analfabeta, fu accusato di aver profanato pagine del Corano e di aver scritto una lettera contenente commenti blasfemi con il suo nome, fatti questi che avrebbero istigato i sentimenti dei musulmani che hanno poi bruciato le chiese e le case di molti cristiani.
Ahsan Masih – un giovane cristiano di 22 anni che non risiede nemmeno a Jaranawala, ma proviene dal distretto di Sahiwal – in quelle ore condivise sul suo profilo Tik Tok la lettera all’origine dei disordini. A. F., un musulmano che ora ricopre il ruolo di funzionario locale di polizia, ha scaricato quel post dai social media e lo ha denunciato in base alle leggi contro la blasfemia. Denuncia sulla quale, ora, si è pronunciato il giudice del tribunale antiterrorismo locale di Sahiwal, che ha comminato contro Ahsan la pena di morte per blasfemia, oltre ad altri complessivi 22 anni di carcere e a una multa di un milione di rupie (circa 3350 euro, ndr) per altri reati.
Un verdetto surreale, se si pensa che – stando a quanto riferiscono fonti locali – le 135 persone arrestate un anno fa dalla polizia del Punjab subito dopo gli attacchi alla comunità cristiana di Jaranwala sono state tutte rilasciate su cauzione e solo alcune andranno a processo.
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Parlando con AsiaNews, padre Khalid Rashid Asi, direttore della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Faisalabad, ha dichiarato:
«All’epoca degli incidenti di Jaranwala migliaia di persone, tra cui musulmani e cristiani, hanno condiviso quella lettera con altri solo per passare informazioni, senza avere alcuna intenzione di commettere blasfemia. Penso che questo giudice, che ha annunciato molto in fretta la sua sentenza, sia codardo e agisca in preda alla paura. Dopo i fatti di Jaranwala ci opponemmo alla decisione di affidare i casi di blasfemia a queste corti antiterrorismo. Ahsan non è stato l’unico a condividere quel post, lui e la sua famiglia sono stati molestati dalla polizia e la sua famiglia vive ancora nel trauma e nella paura».
«Questo caso giudiziario sarà un banco di prova per noi: i giudici dovrebbero annunciare il loro verdetto contro quanti hanno bruciato la colonia cristiana e rovinato i sentimenti della gente. Si è emessa, invece, questa sentenza di morte per compiacere qualcuno perché si è sotto pressione. Ma è una decisione presa da un piccolo tribunale locale, sono convinto che Ahsan sarà liberato dall’Alta Corte e che la verità alla fine vincerà».
«Il governo deve rivedere le leggi sulla blasfemia perché ci sono molte persone dietro le sbarre solo per false accuse» – aggiunge ad AsiaNews Aksa Kanwal, attivista per i diritti umani. «Lo Stato dovrebbe incriminare quanti incastrano altri in questo tipo di casi solo per rancori e vendette personali. Ci sono tante denunce registrate in base a questa legge, ma senza prove solide contro gli accusati. Mentre quanti hanno bruciato le nostre chiese e le nostre Bibbie, vengono rilasciati su cauzione dai tribunali. Perché i giudici prolungano questi altri casi e non emettono il verdetto dopo tanti anni? Solo le fasce povere ed emarginate della società sono punite dalla legge, il che indica chiaramente che hanno paura o sono prevenuti».
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Persecuzioni
Ultras rumeni espongono lo striscione «Difendiamo i cristiani nigeriani» durante le qualificazioni ai Mondiali
La persecuzione anticristiana in Nigeria si è aggravata dopo il 1999, quando 12 stati del Nord hanno adottato la sharia. L’ascesa di Boko Haram nel 2009 ha segnato un’ulteriore escalation, con il gruppo noto per il rapimento di centinaia di studentesse nel 2014, di cui 87 risultano ancora disperse. Recentemente, attacchi nel Paese hanno incluso rapimenti e omicidi di sacerdoti e seminaristi cattolici. A luglio, la diocesi di Auchi, nello Stato di Edo, ha riferito che uomini armati hanno attaccato il Seminario Minore dell’Immacolata Concezione, uccidendo una guardia e rapendo tre seminaristi.‘Defend Nigerian Christians’ Fans of the Romanian national football team unfurled a banner before their Worlld Cup Qualifier pic.twitter.com/asTnmvuV1l
— Catholic Arena (@CatholicArena) October 15, 2025
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Persecuzioni
Spagna, l’islamo-sinistra non riesce a imprigionare un prete
In Spagna, un processo senza precedenti mette in luce le crescenti tensioni tra le libertà della Chiesa e l’amministrazione catalana. Padre Custodio Ballester, un sacerdote cattolico di 61 anni di Barcellona, che rischiava tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento per dichiarazioni critiche nei confronti dell’Islam pronunciate nel 2016 e nel 2017, è stato appena assolto.
Non tutte le verità sono belle da dire: padre Ballester, sacerdote dell’arcidiocesi di Barcellona e attualmente coadiutore della parrocchia di San Sebastián de Badalona, lo ha imparato a sue spese. Noto per il suo impegno nelle cause pro-life e per una visione piuttosto tradizionalista della Chiesa, il sacerdote è già stato oggetto di denunce per omelie anti-aborto, tutte respinte.
Fu una pubblicazione del dicembre 2016 ad accendere la miccia: un articolo intitolato «Il dialogo impossibile con l’Islam», pubblicato sulla rivista cattolica Germinans Germinabit. Questo testo rispondeva a una lettera pastorale dell’arcivescovo di Barcellona, il cardinale Juan José Omella, intitolata «Il dialogo necessario con l’Islam», in cui l’autore invitava i cattolici a promuovere la comprensione reciproca di fronte all’aumento delle migrazioni: un’eco religiosa di papa Francesco.
Nel suo saggio, padre Ballester sostiene ad hominem che un vero dialogo interreligioso è impossibile con la dottrina islamica. Cita esempi storici e contemporanei di persecuzione contro i non musulmani in Paesi a maggioranza islamica come Pakistan, Nigeria e Siria.
«L’Islam non ammette il dialogo. O credi, o sei un infedele che deve essere soggiogato in un modo o nell’altro», ha scritto, riferendosi ai versetti del Corano che legittimano la violenza contro i non credenti. Ha chiesto al cardinale Omella: «di quale dialogo stiamo parlando quando ci sono Paesi in cui coloro che non professano l’Islam vengono assassinati?»
Nel 2017, padre Ballester ha ribadito i suoi commenti durante un’intervista online al programma La Ratonera . Accompagnato da Padre Jesús Calvo, un sacerdote ottantenne, il dibattito ha affrontato le minacce che il jihadismo rappresenta per l’Europa. Questi scambi, insieme all’articolo iniziale, sono stati inseriti nel fascicolo dai procuratori di Malaga, dove si trova la piattaforma che ospita il dibattito online.
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Nel marzo 2017 è stata presentata una denuncia dall’associazione di Barcellona Musulmani contro l’Islamofobia, legata ad ambienti di sinistra. Finanziata dal governo regionale catalano, l’organizzazione ha accusato Ballester di promuovere la discriminazione e l’incitamento all’odio contro l’Islam. La procura di Malaga, guidata da una donna che dirige anche un Osservatorio per l’Uguaglianza, ha chiesto una pena esemplare: tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento.
Il processo, inizialmente previsto per settembre 2024, si è finalmente tenuto il 1° ottobre 2025 presso il Tribunale provinciale di Malaga, in udienza pubblica. Dopo circa due settimane, la sentenza è stata emessa: il Tribunale ha stabilito che non sussistevano gli elementi oggettivi del reato, «per quanto spregevole e perverso potesse essere il messaggio», hanno aggiunto i magistrati.
Padre Ballester denuncia un «clima di terrore» progettato per mettere a tacere i dissidenti. «Vogliono dare l’esempio affinché altri si autocensurino», ha confidato a El Debate. Aggiunge di essere fortunato nella sua sfortuna perché, in Pakistan, i suoi commenti potrebbero costargli la pena di morte. Parlando alla Catholic News Agency, ha chiarito: «le mie dichiarazioni non sono mai state discriminatorie o odiose e avevano lo scopo di allertare i fedeli sulle minacce al cristianesimo, senza prendere di mira singoli individui».
I media di destra denunciano la persecuzione ideologica, sottolineando le presunte simpatie dell’associazione querelante per gruppi come i talebani o il regime iraniano, e notano anche che le richieste dell’accusa contrastano con la clemenza nei confronti dei discorsi anticristiani: i giudici si sono recentemente rifiutati di incriminare un comico per commenti che chiedevano di lapidare i sacerdoti o di bombardare la Valle dei Caduti, definendoli «umoristici».
Personaggi come l’eurodeputato Juan Carlos Girauta del partito di destra nazionale Vox sostengono padre Ballester, sottolineando che il suo articolo riecheggia la conferenza di Benedetto XVI del 2006 a Ratisbona su fede e ragione. Una petizione online ha persino raccolto oltre 25.000 firme chiedendo l’archiviazione delle accuse, affermando: «è surreale: gli attacchi alle chiese restano impuniti, ma un sacerdote rischia il carcere per aver messo in guardia contro l’estremismo».
Mentre Vox ha reagito, la gerarchia cattolica spagnola rimane in silenzio. La Conferenza Episcopale Spagnola non ha rilasciato alcuna dichiarazione e l’arcidiocesi di Barcellona ha optato per un «silenzio discreto». A magra consolazione, il cardinale Omella, la cui lettera aveva spinto il sacerdote a rispondere nel 2016, lo avrebbe «rassicurato» in privato: «se finisci in prigione, verrò a trovarti…». Ma padre Ballester è stato infine assolto.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Persecuzioni
Ciad, lo spettro dell’islamizzazione strisciante
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