Politica
Orban stravince le elezioni e umilia eurogoscisti e sondaggi. L’Ungheria diverrà fulcro del futuro UE-Russia
 
																								
												
												
											Viktor Orban ha vinto il suo quinto mandato come premier dell’Ungheria. Si tratta del suo quarto mandato consecutivo.
Il suo partito Fidesz ha raccolto il 53% dei voti, che valgono 135 seggi in Parlamento: più di due terzi dei 199 posti eleggibili.
Si tratta quindi di un voto schiacciante che dà al partito Fidesz una maggioranza assoluta. Uniti per l’Ungheria, la coalizione dell’opposizione, è stata sconfitta perfino nella circoscrizione del suo leader Peter Marki-Zay.
A Bruxelles si sono registrati commenti sconfortati: «Sono, come gli altri, di umore un po’ disperato. Quindi dovremo continuare a lottare. E il mio compito sarà continuare e fare pressione su Consiglio e Commissione affinché agiscano, affinché si battano per un minimo pluralismo dei media, per farli lottare per l’indipendenza della giustizia, ma soprattutto oggi il nostro principale bisogno principale è – ed è un bisogno disperato – è che i soldi del fondo di resilienza arrivino a tutti, anche all’opposizione. In modo equo e onesto» ha dichiarato a Euronews la relatrice del Parlamento europeo sull’Ungheria Gwendoline Delbos-Corfield
È rilevante qui ricordare la speranza che animava la sinistra europeista nostrana, con il fulgido esempio dell’insuperabile segretario PD Gianni Letta:
Col fiato sospeso oggi, sperando in un miracolo nelle urne. #OrbanOut #Ungheria
— Enrico Letta (@EnricoLetta) April 3, 2022
«Col fiato sospeso oggi, sperando in un miracolo nelle urne. #OrbanOut #Ungheria». Grandissime speranze dello scienziato della politica Enrico Letta, un talento che i francesi ci invidiavano, visto che se lo sono presi a dirigere l’École d’affaires internationales all’interno della Grande école Sciences Po Paris, istituzione prestigiosissima.
Forse per dare un dispiacere a quelli come Letta, appena rieletto, Orban nel suo discorso ha attaccato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, che gli aveva intimato di «decidere da che parte stare» nel conflitto russo-ucraino quando Budapest aveva rifiutato di mandare armi a Kiev e si era opposta alle sanzioni.
Per questo, Orban ha messo lo Zelenskyj in una lista di nemici: «Non ne abbiamo mai avuti così tanti (…) Dalla burocrazia di Bruxelles, ai media mainstream internazionali, fino al presidente dell’Ucraina»
L’ANSA, tuttavia, pubblica la notizia per cui Orban sarebbe stato «sconfitto sulla legge anti-Lgbt, referendum nullo».
«Il premier ungherese Viktor Orban, che ha vinto ieri il suo quarto mandato consecutivo, esce sconfitto dal referendum sulla legge che vieta la “promozione dell’omosessualità” ai minori» scrive l’agenzia di stampa italiana «Il referendum, tenuto ieri in concomitanza con le elezioni e voluto dallo stesso Orban, è risultato nullo per mancanza di quorum, come era negli auspici delle associazioni per i diritti umani che avevano fatto campagna in questo senso».
La legge ungherese passato lo scorso giugno prevede il divieto di esporre ai minori qualsiasi contenut che promuova l’omosessualità o il cambio di sesso. L’ANSA ci tiene a ricrodare che essa «è valsa all’Ungheria l’avvio di una procedura d’infrazione UE».
Anche nel momento della vittoria democratica più schiacciante in uno dei Paesi membri, bisogna ricordare quali sono i veri valori di fondo della UE: la difesa dell’omotransgenderismo. Se pensate che la UE serva a fare gli interessi degli europei, per esempio riguardo le bollette o la protezione da conflitti termonucleari, evidentemente non avete capito su cosa si basa davvero Bruxelles.
Per l’Ungheria ora si avvia un futuro roseo: Paese membro della UE guidato da politici in ottimi rapporti con Putin (che si è già congratulato), Budapest senza dubbio fungerà da fulcro dei rapporti tra l’Europa e la Russia nel prossimo futuro, specie quando, aggrediti dalla realtà e forse anche dalla rabbia dei cittadini inferociti per i costi dell’energia, gli eurovertici dovranno cercare di ricucire con Mosca, che ha meno bisogno degli europei di quanto gli europei abbiano bisogno di Mosca.
I problemi di Orban a Bruxelles sono risalenti, con accuse di violazione dello «Stato di diritto», un’espressione coniata da università finanziate dallo speculatore di origine ungherese George Soros, primo pigmalione di Orban ora divenuto suo acerrimo nemico.
Va notato come Orban sia il solo leader europeo in carica a scagliarsi con forza contro la politica immigratoria perseguita forsennatamente dagli eurovertici.
L’Ungheria di recente ha bloccato le esportazioni di grano, molto del quale finiva in Italia.
Come riportato da Renovatio 21, è da segnalare come anche l’Orban negli scorsi mesi si è scagliato con forza contro i non vaccinati. Budapest inoltre è stato tra i primi Paesi ad annunziare la quarta dose per tutti.
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Politica
I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi
 
														Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.
Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.
Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.
«Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».
A viral video shows a prisoner confronting Nicolas Sarkozy, saying, “We’ll avenge Gaddafi. Give back the billions.” The former French president, jailed for conspiracy, is accused of taking Libyan money before leading NATO’s 2011 war that killed Gaddafi. pic.twitter.com/KlAISnFVSX
— comra (@comrawire) October 22, 2025
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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.
«L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.
Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.
L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.
A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.
Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.
Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».
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Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro
 
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Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra
 
														Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.
I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.
Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.
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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.
Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.
Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.
Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.
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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.
Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.
Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.
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