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Immigrazione

Orban: i cristiani bianchi europei stanno venendo sostituiti

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Una fazione «militante» di politici pro-immigrazione sta supervisionando la «sostituzione» dei cristiani europei bianchi con immigrati musulmani, ha dichiarato il primo ministro ungherese Viktor Orban.

 

«In Europa c’è uno scambio di popolazioni, il numero dei bianchi, cristiani, tradizionali – diciamo europei – diminuisce, il numero dei migranti importati e il numero delle persone appartenenti alla comunità musulmana nata qui è radicalmente in aumento», Orban ha detto venerdì a radio Kossuth.

 

Il politico tedesco Manfred Weber, che guida il Partito Popolare Europeo (PPE) al Parlamento europeo, è il «belzebù» responsabile di questo presunto piano, ha sostenuto Orban, aggiungendo che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è la «piccola serva» di Weber. responsabile della sua attuazione.

 

Il PPE è rimasto la fazione più numerosa al Parlamento Europeo dopo le elezioni del mese scorso. Tuttavia, il declino dei Verdi e l’aumento del sostegno ai partiti di destra hanno lasciato il PPE con meno alleati con cui approvare la legislazione.

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Alcune ore dopo aver parlato con Kossuth Radio, Orban è volato a Berlino per incontrare il cancelliere tedesco Olaf Scholz prima che l’Ungheria assuma la presidenza di turno del Consiglio UE il mese prossimo. Il primo ministro ungherese ha affermato che la Germania ha sofferto molto a causa dell’immigrazione e «non sembra più come dieci anni fa».

 

«Questa Germania non è più la Germania che i nostri genitori e nonni ci hanno portato ad esempio», ha detto, aggiungendo che il Paese è ora un «mondo multiculturale colorato e cambiato» in cui i migranti «non sono più ospiti».

 

La posizione dell’Ungheria sull’immigrazione ha messo il paese in contrasto con Bruxelles negli ultimi anni. All’inizio di questo mese, la Corte di Giustizia Europea (CGE) ha ordinato a Budapest di pagare 200 milioni di euro per non aver rispettato la legge europea sull’asilo, e ha imposto una multa di 1 milione di euro al giorno fino a quando l’Ungheria non avrà pienamente attuato la legislazione

 

Secondo la corte, Budapest ha limitato l’accesso dei migranti alle procedure di asilo dal 2020, rendendo il processo di presentazione delle domande «praticamente impossibile».

 

«Sembra che i migranti illegali siano più importanti per i burocrati di Bruxelles che per i loro stessi cittadini europei», ha risposto Orban, promettendo di «trovare un modo, quindi [la sentenza] danneggia Bruxelles più di quanto danneggia noi».

 

Orban è stato criticato dai media tedeschi per i suoi commenti di venerdì, con il quotidiano Merkur di Monaco che lo ha accusato di diffondere «miti complottisti» sull’immigrazione.

 

L’idea di una cosiddetta «Grande Sostituzione» viene spesso liquidata sui grandi giornali come una teoria del complotto razzista. Tuttavia, la percentuale della popolazione bianca europea è diminuita in tutto il continente a partire dalla metà del XX secolo, e i leader europei a volte ammettono di voler utilizzare l’immigrazione extraeuropea per sostituire l’invecchiamento della forza lavoro nativa.

 

L’establishment spernacchia e urla al fascismo a sentire l’espressione «Grande Sostituzione», ma è stata coniata da un adepto delle pariginerie, Renaud Camus, per anni considerato uno dei più importanti scrittori omosessuali di Francia.

 

Alla fine degli anni Novanta, mentre scrive una guida al Sud della Francia, l’intellettuale ha un’epifania: «Improvvisamente mi sono reso conto che nei villaggi molto antichi (…) anche la popolazione era totalmente cambiata (…) è stato allora che ho iniziato a scrivere così».

 

Nel 2011 Camus pubblica il libro Le Grand Remplacement, dove definisce il popolo indigeno francese come «sostituito» demograficamente da popoli non europei, provenienti principalmente dall’Africa o dal Medio Oriente, in un processo di «immigrazione popolare» incoraggiato da un «potere sostitutivo», che porta ad un «genocidio sostitutivo».

 

L’intero processo è portato avanti da quelle che chiama «élite sostitutrici». Il processo, scopre lo scrittore, è top down: non è il popolo, e forse nemmeno «il mercato» a chiedere l’immigrazione; essa viene semplicemente decisa dall’alto e implementata verticalmente.

 

Camus non è il primo a capire determinate cose. Sulla Grande Sostituzione aveva scritto già decenni prima il romanzo definitivo uno scrittore connazionale, Jean Raspail, che ne Il campo dei Santi immaginava la Francia colonizzata da milioni di pezzenti provenienti dal disastro della fame in India (erano i tempi di Indira Gandhi, quella che sterilizzava a go-go).

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Ancora prima, a moltissimi era chiaro quel che stava per accadere perché avevano letto Praktische Idealismus («Idealismo pratico») e gli altri testi del conte Calergi.

 

Il Kalergi (si preferisce scriverlo con la K perché era mezzo austriaco, ma la famiglia è greco-veneziana, è quella del palazzo del Casinò sul Canal Grande dove morì Wagner) sognava la riformulazione biologica dell’Europa.

 

Per questo, teorizzava tra deliri e luoghi comuni insopportabili, si dove procedere con l’immigrazione extraeuropea, africana e in particolare asiatica (dovete capire che il nobiluomo, figlio di ambasciatore, aveva la mamma giapponese: la cosa non sembra averla mai digerita del tutto) al fine di creare una nuova razza con cui riempire il continente.

 

«[gli abitanti dei futuri] Stati Uniti d’Europa non saranno i popoli originali del Vecchio continente, bensì una sorta di subumanità resa bestiale dalla mescolanza razziale (…) È necessario incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’élite al potere. L’uomo del futuro sarà di sangue misto. La razza futura eurasiatica-negroide, estremamente simile agli antichi egiziani, sostituirà la molteplicità dei popoli, con una molteplicità di personalità»

 

Questa nuova razza ibrida – il famoso «meticciato» ora tanto decantato dal Bergoglio e dai suoi leccapiedi consacrati – andava creata per essere più docile ad un progetto politico ulteriore.

 

«Nei meticci si uniscono spesso mancanza di carattere, assenza di scrupoli, debolezza di volontà, instabilità, mancanza di rispetto, infedeltà con obiettività, versatilità e agilità mentale assenza di pregiudizi e ampiezza di orizzonti» scriveva Kalergi.

 

Intervenendo ad Atene all’inizio di quest’anno, la commissaria europea per gli Affari interni Ylva Johansson ha affermato che «l’immigrazione legale dovrebbe crescere di più o meno 1 milione all’anno» per raggiungere questo obiettivo.

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Immigrazione

Trafficanti affiliati all’ISIS portano i migranti negli Stati Uniti

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Il Dipartimento americano per la sicurezza interna (DHS) ha identificato più di 400 migranti che sono entrati nel Paese con l’aiuto di una rete di traffico di esseri umani affiliata all’ISIS negli ultimi tre anni. Lo riporta NBC News, citando funzionari anonimi.   Tuttavia, secondo quanto riferito dalle fonti, non vi è alcuna indicazione che le persone in questione abbiano intenzione di compiere attacchi terroristici.   L’agenzia statunitense Customs and Border Protection (CBP) ha segnalato 736 intercettazioni di persone sulla lista di controllo dei terroristi della nazione nell’ultimo anno fiscale del governo, conclusosi il 30 settembre. Tale cifra era di 199 nell’ultimo anno fiscale completo di Donald Trump in carica. Secondo i dati CBP, la tendenza è continuata invariata nell’attuale anno fiscale.   In totale, nell’ultimo anno fiscale, le autorità statunitensi hanno incontrato quasi 2,5 milioni di immigrati clandestini ai confini del Paese.   Nel suo rapporto di mercoledì, la NBC News ha citato un anonimo funzionario americano che ha affermato che individui affiliati all’ISIS gestiscono reti di traffico di esseri umani in Asia centrale. Secondo i media, 150 di questi migranti sono stati arrestati e deportati, e alcuni potrebbero aver già lasciato gli Stati Uniti di propria iniziativa. Tuttavia, secondo l’articolo, non si sa dove si trovino circa 50 persone.

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Le fonti hanno riferito a NBC News che nessuno dei deportati era stato accusato di reati legati al terrorismo, e le autorità statunitensi non hanno visto alcuna indicazione che quei 400 migranti avessero in primo luogo piani dannosi.   Tuttavia, l’informazione secondo cui quegli individui erano potenzialmente collegati all’Isis ha spinto le autorità a «assicurarsi di esercitare la nostra autorità nel modo più ampio e appropriato per mitigare il rischio», ha detto il media citando un anonimo alto funzionario dell’amministrazione Biden.   In un caso non correlato, avvenuto all’inizio di questo mese, l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) degli Stati Uniti ha arrestato otto uomini tagiki a New York, Philadelphia e Los Angeles, ritenuti legati all’ISIS.   A giugno, il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali di novembre, Donald Trump, ha accusato il presidente Joe Biden di «fornire sostegno materiale al terrorismo» per la sua percepita incapacità di fermare l’afflusso di migranti al confine tra Stati Uniti e Messico.   Come riportato da Renovatio 21, missili portatili Javelin destinati all’Ucraina sono stati visti portati a tracolla da membri dei narcos messicani che gestiscono la tratta di esseri umani al confine meridionale.   Tre anni fa la reporter Lara Logan aveva parlato dell’uso degli immigrati come «bombe virali», una storia che, dice, stava circolando nei circoli dell’Intelligence USA.   Vale tuttavia la pena di farsi la medesima domanda anche per l’Italia: quanti degli immigrati sbarcati a milioni aveva affiliazione con gruppi terroristici? Qualcuno si sta ponendo il problema? Qualcuno lassù in politica, magari a destra, ha voglia di parlarne?

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Immigrazione

Menarono a Cicalone. L’anarco-tirannide sempre più spudorata

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Simone Cicalone, conosciuto anche come Cicalone Simone, è un personaggio internet oramai molto popolare. Accento romano, mento importante, corporatura solida e occhi grandi, il ragazzo è decisamente non antipatico. Più di 700 mila follower su YouTube e 1.400 video caricati: tanto lavoro, tanto seguito.

 

Ex pugilatore, conoscitore delle arti marziali, si è fatto notare negli anni per i suoi video sui social, tra cui la serie «Scuola di botte», in cui si faceva beffe delle tecniche insegnate da alcune scuole di arti marziali e difesa personale – come quelle dei discepoli dell’israeliana Krav Maga, definiti dal Cicalone come «krav maghi» – che non hanno efficacia se trasposte in situazioni di violenza in strada.

 

Il Cicalone negli anni ha ampliato il format arrivando a fare lunghi video in cui gira per le zone più malfamate di alcune città – Roma, Firenze, Milano, Mestre – per mostrarne il degrado e la pericolosità. Va da sé che quello che ciò che va ad incontrare scortato spesso da altri ragazzotti, magari professionisti di qualche combat sport) è, spessissime volte, la prevalenza di orde straniere a comandare intere zone urbane.

 

La CGIL poco tempo fa ha attaccato aspramente le «ronde» cicaloniane, che invece sono difese da esponenti del partito di governo FdI.

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Lo youtuber ieri sarebbe stato oggetto di quello che definisce «un’agguato» presso la linea A della metro di Roma, luogo infestato da borseggiatori e bande di sudamericani e quindi teatro di vari illuminanti video cicaloneschi.

 

«Cicalone e gli altri componenti del suo gruppo stavano per iniziare le loro riprese quando sarebbe scattata l’aggressione» ricostruisce Il Fatto Quotidiano. Sul posto è intervenuta la polizia per la segnalazione di una rissa. A quanto ricostruito dagli agenti, i borseggiatori coinvolti sarebbero tre e una di loro, una donna, è stata portata in ospedale in codice giallo».

 

Anche Cicalone e la sua videoperatrice sarebbero poi andati al Pronto Soccorso. L’uomo avrebbe detto di essersi fatto male a «naso, ginocchio e collo».

 

Testimone della scena sarebbe stata la parlamentare M5S Marianna Ricciardi, che si era data appuntamento con Cicalone per «esprimere il mio punto di vista» sulla attività del boxeur youtuber «e su un problema che esaspera i cittadini, quello della sicurezza nelle metropolitane di Roma che anch’io utilizzo».

 

L’onorevole grillina dice di essersi trovata dinanzi ad una «una scena da far west»: «davanti ai miei occhi i ragazzi sono stati aggrediti da un gruppo di borseggiatori che si erano evidentemente organizzati e che hanno picchiato anche la videomaker rompendo la videocamera» è il virgolettato de Il Fatto.

 

«Ad aggredire Cicalone sarebbe stato un gruppo di almeno dieci persone. Gli agenti, intervenuti con diverse pattuglie, sono riusciti a fermare due uomini, mentre le donne sono riuscite a scappare» scrive Open.

 

«Mentre noi stiamo qua – spiega il popolare ex pugile – questi sono tornati a rubare in metropolitana», sottolineando che «il “servizio” sulla metro è stata una vera e propria imboscata. Uno c’ha attirato da una parte, picchiandosi in faccia da solo, e poi sono usciti fuori come funghi», racconta Cicalone.

 

 

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La notizia potrebbe essere davvero interessante perché indice di un ragionamento più profondo che i gruppi criminali stranieri, anche quelli più micrologici, stanno facendo riguardo la realtà italiana.

 

È facile pensare che qualcuno nel commando Cicalone lo conoscesse. I ragazzi sanno su YouTube, difficile non imbattersi su un personaggio come lui che parla di strada e che, visto il successo di pubblico, magari è pure premiato dall’algoritmo.

 

E quindi, stando alla prospettiva proposta, se si trattasse davvero di «un’imboscata» come dice lui, e non di una rissa nata estemporaneamente, saremmo di fronte ad una dichiarazione precisa fatta da una banda: questo è il nostro territorio, lo devono vedere tutti. Deve essere noto al pubblico, a tutti sempre.

 

Da una parte, ci sarebbe un salto criminologico non da poco: una volta i criminali zonali facevano il possibile per non apparire pubblicamente, per non dimostrare il loro possesso di un dato territorio. Era il tempo in cui il nome dei ras del quartiere non veniva fatto ad alta voce, e quando questo veniva beccato magari poi entrava ed usciva dalla questura con un giornale in faccia.

 

Ora, invece, il crimine avrebbe perso il pudore. I social media hanno elevato alla massima potenza la questione del narcisismo criminale, assai visibile anche nei video di trapper tra pistole, droga e soldi in contanti. Più ancora dei gansta rapper afroamericani, i cantanti italiani (cioè, per lo più nordafricani) della trap esibiscono direttamente la loro contiguità con il crimine.

 

In pratica, se avesse ragione Cicalone, ci sarebbe un piccolo gruppo che avrebbe detto a lui, al suo pubblico, all’Italia, allo Stato italiano questa è casa nostra. Se si fosse trattato di un agguato programmato si tratterebbe di un segnale precisa: qui facciamo quello che vogliamo, anche al di fuori della legge.

 

Saremmo quindi, pienamente, nel concetto di no-go zone, ossia un’area metropolitana dove lo Stato ha cessato di avere davvero potere, in barba alla sua Costituzione, in barba al concetto stesso di Stato (che non può, non deve, tollerare altro potere, altro monopolio della violenza, all’interno del suo territorio: era quello che un tempo si diceva della lotta alla mafia) in barba ai diritti dei cittadini, in barba alla loro sicurezza.

 

È quanto accaduto a Peschiera del Garda due anni fa, quando migliaia e migliaia di ragazzini stranieri invasero la cittadina lacustre dove – tra caos e molestie – rivendicarono apertamente che quella non era più Italia. È ancora drammatico vedere le immagini delle cariche dei celerini, in inferiorità numerica schiacciate, filmate dai giovani immigrati tra schiamazzi e risate.

 

È quanto visibile a Milano, a Berlino, a Colonia, a Lione in ogni città durante capodanni e mondiali di calcio: immigrati che devastano, molestano (la taharrush gamea, nome arabo per la pratica della molestia di massa ai danni della donna) senza freno alcuno, senza temere alcuna ritorsione.

 

L’atteggiamento della no-go zone rivendicata dal crimine non è nuova, anche da un punto di vista mediatico. Si rimane basiti nel vedere come negli anni il giustiziere anti-degrado di Striscia la Notizia, il campione di bike trial Vittorio Brumotti, invece di provocare un fuggi-fuggi generale quando si presente in qualche piazza di spaccio si ritrova spesso circondato, e anche lui menato, da personaggi che sanno perfettamente di chi si tratta, e sono infastiditi da tanta intraprendenza civica.

 

Ecco che vediamo spacciatori che prima insultano, poi aggrediscono il giornalista-ciclista dinanzi alle telecamere, senza nessun pudore residuo. Anche lì, stanno dicendo: questa zona è nostra, lasciaci commettere reati in pace, diciamolo pure a tutto il mondo.

 

Difficile non credere che tale sicumera dei balordi derivi direttamente dalla percezione che essi hanno dello Stato e delle sue punizioni. Se le forze dell’ordine non intervengono, se mi prendo e mi rilasciano subito, forse vuol dire che posso farlo, specie nella zona dove lo faccio sempre: se interessasse loro fermarmi, saprebbero anche dove trovarmi. No?

 

Era la drammatica visione che uscì qualche mese fa da un agghiacciante servizio sempre di Striscia la notizia sulle borseggiatrici degli autobus milanesi: fermata dall’inviato, la ragazza diceva: lasciami in pace, cosa ti interessa se rubo, non interessa nemmeno alla polizia…

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La spudoratezza del criminale, crediamo, è un ingrediente necessario della configurazione sociopolitica in caricamento, che su queste pagine abbiamo chiamato «anarco-tirannia». Il concetto fu al volgere del millennio dall’americano Samuel Todd Francis (1947-2005), che descrisse la crescente condizione dello Stato moderno che regola tirannicamente o oppressivamente la vita dei cittadini – tasse, multe, burocrazia – tuttavia non può, o meglio non vuole, proteggere gli stessi rispettando le leggi fondamentali.

 

Facciamo spesso l’esempio della rivolta etnica delle banlieue francesi della scorsa estate come l’esempio più evidente (con più di un miliardo di euro di danni, ma nessuna vera repressione dei perpetratori). Parimenti, vediamo tutta la cifra dell’anarco-tirannide nel pazzesco, tragico video in cui il poliziotto a Mannheim attacca il connazionale che stava tentando di fermare un immigrato armato di coltello. Il poliziotto viene quindi pugnalato e ucciso.

 

Abbiamo visto l’anarco-tirannia anche nella tragedia di Udine di pochi giorni fa, con la morte del giapponese (ma cresciuto in Italia, tifosissimo dell’Udinese) Shinpei Tominaga, ucciso gratuitamente mentre si trovava fuori con gli amici.

 

Da notare che l’anarco-tirannia non prevede per l’onesto cittadino la medesima libertà: se il criminale è lasciato libero di devastare una zona della città con ogni sorta di crimine anche violento e rimanere più o meno impunito, il contribuente continua ad essere inseguito dal fisco, dalle multe, da imposizioni di ogni sorta (ricordate le mascherine? Il green pass?), pena punizioni dure.

 

Impossibile non capire che è questa la realtà che l’oligarcato ha in mente per la società, dove gli individui pensanti devono essere tenuti impegnati a tentare di sopravvivere per unirsi e reclamare maggiore distribuzione della ricchezza.

 

Impossibile non comprendere che l’immissione di milioni di immigrati in ogni Paese occidentale sia parte del piano di caricamento della società anarco-tirannica, quella dove, come scritto dal conte Coudenove-Kalergi, la massa meticcia sarà resa docile e manipolabile. Il tabù piazzato sopra ogni discorso della sostituzione etnica – che epperò è dinanzi ai nostri occhi – è tutto qui.

 

Infine, visto che pare che in questo episodio si parla di gang non meglio specificata di latinos, vogliamo fare un appunto riguardo a parole che recentemente ci hanno colpito.

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Vogliamo ricordare, en passant, la scioccante dichiarazione – che citava anche l’Italia – fatta dal presidente del Salvador Nayib Bukele a Tucker Carlson appena dopo la cerimonia di giuramento come presidente del Paese.

 

Bukele ha parlato della cifra satanica di gang sudamericane, dove sarebbero attivi rituali di sacrificio umano, con tanto di uccisione cerimoniale di bambini.

 

Nel suo discorso il presidente salvadoriano ha ricordato che in particolare di MS-13, tra gli altri Paesi, ha una presenza anche in Italia. Di fatto, è noto il caso lombardo del 2015 del capotreno il cui braccio fu praticamente mozzato a colpi di machete.

 

«Ma man mano che l’organizzazione cresceva, sono diventati satanici. Hanno iniziato a fare rituali satanici» afferma il presidente Bukele. «Non so esattamente quando sia iniziato, ma era ben documentato. «Sono diventati un’organizzazione satanica. Ricordo il giornale che lo ha raccontato, è un giornale molto noto che ha fatto questa intervista con un membro di una gang in persona. (…) E il ragazzo a cui gli hanno chiesto quante persone aveva ucciso, aveva risposto “non ricordo. Non ricordano quanti. Probabilmente 10, 20”. Non se lo ricordava».

 

«Poi gli hanno chiesto e tu, qual è la tua posizione nella banda? Ha spiegato come è salito di posizione. “Ma ho lasciato la banda”, ha detto. Perché ha lasciato la banda? “beh, perché ero abituato a uccidere, ero abituato a uccidere le persone. Ma ho ucciso per il territorio. Ho ucciso per raccogliere soldi. Ho ucciso per estorsione. Ma poi sono arrivato in questa casa, e stavano per uccidere un bambino».

 

Lascia fare il gangster, e ti ritrovi davanti alla possibilità che dietro casa si consumino omicidi rituali demoniaci. Per la mafia nigeriana forse è già così, anche in Italia.

 

E quindi, c’è da fare un pensiero: l‘anarco-tirannia porta inevitabilmente alla satanizzazione della società.

 

Uno Stato che tollera al suo interno no-go zone di qualsiasi tipo finisce giocoforza ad ingenerare l’inversione della società, cioè la fine della civiltà cristiana, ciò l’avvento di un ordine sociale di matrice differente – di matrice, nei casi che vediamo, sempre più apertamente demoniaca.

 

Chi è in grado di comprendere la posta in gioco?

 

Chi è in grado di guardare i propri figli e non sentire timore e rabbia dinanzi alla prospettiva del Regno Sociale di Satana sempre più manifesto?

 

Roberto Dal Bosco

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Civiltà

L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra

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È morto Shinpei Tominaga, l’imprenditore giapponese – ma italiano d’adozione – colpito da un pugno a Udine mentre tentava di sedare una rissa.   L’uomo è mancato in ospedale dove era tenuto in vita dalle macchine. Il giapponese, che tentava di mettere fine ad un pestaggio che si stava consumando davanti ai suoi occhi, sarebbe stato colpito da un pugno sferrato da un 19enne veneto. Secondo quanto riportato, il ragazzo avrebbe confessato.   Il giovane veneto si sarebbe accompagnato da due amici, uno con un nome apparentemente nordafricano, un altro con un cognome che pare ghanese. Si tratta, secondo una TV locale, di una «banda ben nota», che «all’inizio era una baby gang che ora non è più così baby, anzi, ed è di una grande pericolosità per tutti i cittadini». Il trio si sarebbe scontrato «con due ucraini residenti a Pescara, in città per lavoro in un cantiere edile».

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Secondo RaiNews, il GIP «ha convalidato l’arresto per rissa aggravata di tutti e cinque i partecipanti».   La dinamica dei fatti sarebbe stata ricostruita dalla Questura «grazie ai testimoni e alle telecamere, pubbliche e private», scrive il sito della radiotelevisione pubblica italiana.   «Poco dopo le 3, due dei ragazzi veneti fumano per strada, conversando tranquillamente con i due ucraini. Sopraggiunge il terzo amico e cerca subito uno scontro fisico. Seguono degli spintoni». Uno degli ucraini «viene colpito con un pugno, rovina a terra, dove viene picchiato con pugni, calci e con la sedia di un bar».   «Uno dei tre corre a prendere un coltello da cucina nel bed and breakfast in cui alloggiavano, poco distante».   «Interviene una donna di passaggio, termina la prima fase dell’aggressione. I due ucraini si rifugiano nel vicino ristorante kebab. Vengono inseguiti dai tre ventenni».   È qui che avviene l’incontro fatale con l’imprenditore giapponese.   «Tominaga chiede loro di stare tranquilli, lasciar perdere. Un pugno al volto, e il 56enne cade per terra e sbatte violentemente la testa, finendo in arresto cardiaco». Non basta: sarebbero stati «aggrediti – anche con uno sgabello – i due amici che erano con Tominaga».   «I tre avevano già precedenti, a vario titolo, per rapina, lesioni e minacce».   Per quanto riguarda invece gli ucraini, «niente misura cautelare in carcere. Per uno di loro disposto il divieto di dimora in Friuli Venezia Giulia».   A parte il ragazzo che avrebbe sferrato il cazzotto fatale, parrebbe quindi una rissa tra immigrati. Una delle tante che si consumano, finendo al massimo in un trafiletto di cronaca locale (ma spesso neanche quello), in aree urbane oramai divenute preda della prepotenza dei «migranti» – le zone, in cui, generalmente, abbondano di kebabbari.   Stavolta però la notizia sta avendo eco nazionale, perché c’è scappato il morto, sul quale vogliamo dire due parole.

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Con Shinpei – che i giornali chiamano Shimpei, con la «m»: nella lingua giapponese il suono «mp» non esiste, ma non è escluso che se lo fosse italianizzato lui stesso – il nostro Paese non perde poco.   Innanzitutto, ricordiamo il suo lavoro: export di mobili verso il Giappone. Il mobile, in particolare la sedia, trova in Friuli un distretto di eccellenza, distrutto negli ultimi due decenni dalla concorrenza cinese. Tuttavia chi cerca la qualità della manifattura non si può far incantare dalla merce a buon mercato dei mandarini: il popolo del Sol Levante è noto per la sua appassionata pignoleria, da cui proviene il suo rispetto per l’Italia.   Shinpei, quindi, per l’Italia faceva un lavoro inestimabile: teneva in vita l’economia del prodotto di qualità, di per sé una vera resistenza alla globalizzazione, cioè alla cinesizzazione, che ha devastato la piccola e media impresa dell”Alta Italia consegnandoci all’incubo di disintegrazione della classe media e di deindustrializzante che stiamo vivendo.   Di più: Shinpei, che aveva la famiglia in Giappone, in realtà l’Italia la conosceva bene, e con probabilità l’amava davvero. Era cresciuto a Roma, dove il padre Kenichi Tominaga commercializzava i cartoni giapponesi divenuti centrali per l’infanzia di tanti italiani: con Orlando Corradi aveva fondato una casa di distribuzione chiamata Doro TV Merchandising, la cui sigla con il cagnolino è nei ricordi di moltissimi, che vendeva gli anime ai network televisivi pubblici e privati italiani. Goldrake e Conan li ha portati da noi il babbo di Shinpei.   Pezzi di storia, pezzi di relazioni vere, e profonde, tra due Paesi sviluppati, l’Italia e il Giappone, terminati dalla barbarie presente, che ora tocca senza problemi anche le città di provincia.   No, non si è al sicuro anche nella tranquilla cittadina a statuto speciale, nemmeno se sei con tre amici per strada, nemmeno se ti offri di aiutare un ragazzo insanguinato. Quello che ti aspetta, uscito di casa nell’Italia contemporanea, è la morte – un sacrificio gratuito sorto dalla fine della civiltà in Europa.   Su Renovatio 21 abbiamo adottato il concetto, introdotto nei primi anni Duemila dallo scrittore statunitense Samuel Todd Francis (1947-2005), chiamato «anarco-tirannia», cioè quella sorta di sintesi hegeliana in cui lo Stato moderno regola tirannicamente o oppressivamente la vita dei cittadini – tasse, multe, burocrazia – ma non è in grado, o non è disposto, a far rispettare le leggi fondamentali a protezione degli stessi. La rivolta etnica delle banlieue francesi della scorsa estate ne sono l’esempio lampante, lo è anche, se vogliamo, il grottesco e drammatico video in cui il poliziotto tedesco attacca il connazionale che stava tentando di contrastare un immigrato armato di coltello, il quale per ringraziamento pugnala e uccide lo stesso poliziotto.   C’èst à dire: nella condizione anarco-tirannica, il fisco ti insegue ovunque, la giustizia ti trascina in tribunale perché non portavi la mascherina o perché hai espresso idee dissonanti, ma se si tratta di fermare il ladro, il rapinatore, etc., non sembra che nessuno, viste le percentuali di reati rimasti impuniti, faccia davvero qualcosa. E qualora prenda il criminale, ben poco viene fatto perché il crimine non sia ripetuto. Nel caso presente, i tre fermati, ribadiamo, «avevano già precedenti, a vario titolo, per rapina, lesioni e minacce».   La legge, le forze dell’ordine, lo Stato non sembrano aver fatto moltissimo per fermare il crimine, e convertire il criminale, che prosegue ad agire come in assenza di un potere superiore a lui – appunto, l’anarchia. Anarchia per i criminali, tirannide per i cittadini comuni, incensurati, onesti, contribuenti. Va così.   Al di là dell’amarezza, è il caso di comprendere cosa significa materialmente – cioè, biologicamente – l’avvio dell’anarco-tirannia per le vostre vite. L’anarco-tirannide produce giocoforza la vostra insicurezza, perché minaccia direttamente i vostri corpi. Lo stato di anarchia è quello in cui, non valendo alcuna autorità, la violenza non può essere fermata.   Se ci fate caso, in tanti teorici dell’anarchia spunta ad un certo punto quest’idea del mondo che va portato verso il baccanale dionisiaco, con l’orgia e la violenza come grottesco strumento per testimoniare la supposta libertà dell’essere umano, slegato da ogni legge anche morale. Non è il caso che gli scritti di uno massimi teorici dell’anarchismo odierno, siano stati accusati di essere pedofili.

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E quindi, uscire di casa, per un bicchiere con gli amici, è di per sé un’azione pericolosa. La strada, la vita quotidiana stessa, diventa una minaccia. È già così in tante aree cittadini: circolarvi di notte è qualcosa di pericoloso. Ecco la formazione delle no-go zones, che sono – se mai ce n’era ulteriore bisogno – la dimostrazione fisica della possibilità di lasciare che si neghi la Costituzione, la nel suo articolo 16 prevede la libera circolazione dei cittadini su tutto il suolo nazionale.   Qui, nel contesto di aggressioni continue e randomatiche, non vi è solo la vostra incolumità fisica, in gioco: c’è la vostra natura morale ad essere pervertita, perché – come nella tragedia di Udine – le virtù cristiane, come tentare di terminare un conflitto o aiutare qualcuno in difficoltà, viene punita con il sangue.   È la fine dello stato di diritto, e al contempo della legge naturale, della fibra morale che unisce la società. È l’instaurazione del regime del più forte, trionfo ideale del nazismo, dove il debole deve accettare di essere sacrificato dall’aggressore vittorioso. È un’espressione che forse avete sentito dire a qualche bullo delle medie quando, oltre che l’obbiettivo, finiva per picchiare qualcun altro: «si è messo in mezzo».   Nel mondo nuovo, decristianizzato dall’immigrazione, dallo Stato e dal papato stesso, chi fa da paciere può finire ucciso. Quindi, meglio farsi gli affari propri, non intromettersi…   «Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinunzino all’azione», è un aforisma falsamente attribuito al filosofo settecentesco Edmund Burke, che tuttavia contiene una verità incontrovertibile. In una situazione di rischio fatale, chi mai ha voglia di fare la cosa giusta, e aiutare il prossimo?   Ecco raggiunto il vero scopo del processo dell’anarco-tirannide. Una società atomizzata, dove la paura costante del prossimo, dove l’ansia primaria per la sopravvivenza previene la possibilità della coesione sociale, così da lasciar liberi i padroni del vapore di far quel che vogliono senza timore di resistenza popolare.   Una società divenuta preda del malvagio è una società che può essere manipolata a piacimento. Nessun gruppo umano si oppone ai comandi del vertice, per quanto soverchianti e contraddittori: e lo abbiamo visto in pandemia. Quindi l’anarco-tirannia è, diciamo, una fase del Regno Sociale di Satana.   E quindi, cosa dobbiamo fare?   Quale politica per prevenire che le nostre vite divengano incubi?   Facciamo qualche semplice proposta.   Innanzitutto, si deve andare oltre al rifiuto più assoluto l’immigrazione: si deve chiedere, secondo una parola sempre più usata nel mondo germanofono, la remigrazione. Milioni e milioni di migranti, portati qui per infliggerci questa ingegneria sociale del male, vanno espulsi dal Paese, e questo a costo di svuotare interni quartieri.   Secondo: si deve istituire una forma di punizione dura al punto da essere considerata un vero deterrente: la galera, al momento, non lo è. Ricordiamo che, per quanto possano aver detto preti e papi postconciliari, la pena di morte non è contraria alla dottrina cattolica. E ricordiamo che i lavori forzati, che aiuterebbero economicamente il Paese, darebbero finalmente un senso all’esistenza dei carcerati: in passato si è detto che non è possibile farli lavorare davvero perché nella Costituzione, segnata dalla mentalità sovietica dei padri costituenti PCI permessa dai padri costituenti DC – c’è scritto che il lavoro va retribuito. Noi qui rammentiamo che anche quel tabù lo abbiamo perso: la Costituzione, negli ultimi anni, è stata violata in ogni modo.   Terzo: è necessario che qualcuno si intesti davvero il discorso politico sul porto d’armi inteso come nel concetto americano di carry: vi sono stati americani in cui si ha l’open carry, ossia la possibilità di circolare per strada visibilmente armati, in altri si ha il concealed carry, dove l’arma può essere portata seco quando nascosta. È inutile evitare il pensiero, nella giungla anarco-tirannica, l’unica deterrenza, e oltre l’unica forma di difesa, potrebbe divenire l’essere armati sempre ed ovunque – cosa triste ed orrenda, forse, ma anche qui, va così.   Purtroppo, causa di recenti incresciosi episodi consumatisi nel capodanno di parlamentari di Fratelli d’Italia, è difficile che il governo Meloni voglia avventurarsi in questa direzione, che pure dovrebbe essere la sua. C’è da ringraziare chi, secondo quanto ricostruito, avrebbe avuto l’idea geniale di tirare fuori una pistola in pubblico…   Quanto ai tempi che ci aspettano, abbiamo iniziato a scriverne un paio di anni fa. Quando terminerà la guerra ucraina, una quantità di veterani di Kiev, tra cui i molti tatuati neonazisti, potrebbero finire da noi. Forse esiliati, forse solo in tour a trovare la mamma, la zia, la sorella badante. Difficile che, a questo punto, quei ragazzi non si raggrupperanno in bande amalgamate da lingua, storia, esperienza (chi ha fatto la guerra insieme, non si molla mai) e credenza fanatico-religiosa nell’ideale ucronazista.

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C’è da dire che forse arriveranno anche armati, perché la quantità di armi inviate da USA e Paesi NATO – già finite a mafie in Finlandia, in Spagna, ai narcos in Messico, ai terroristi in Siria – è talmente vasta che qualcosa resterà con loro. A differenza del tranquillo contribuente italiano, la futura banda post-bellica – fenomeno cui abbiamo assistito negli anni Novanta con i gruppi di veterani della guerra di Bosnia che assaltavano le ville – sarà armata fino ai denti.   La situazione che si ingenererà per la giungla fuori da casa vostra ha un nome: gli strateghi dell’ISIS, nel loro mirabile manuale, la chiamavano Idarat at-Tawahhus, cioè «gestione della barbarie», o «gestione della ferocia».   I jihadisti teorici dello Stato Islamico concepivano il crollo di uno Stato come l’apertura di possibilità immani: dopo una prima fase che definivano «vessazione e potenziamento» – dove si estenua la popolazione di un territorio con estrema violenza e paura – si fa partire una seconda fase, dove, sulla scia del crollo dell’ordine dello Stato e l’instaurazione di una «legge della giungla» sempre più belluina, prevale tra i sopravvissuti pronti ad «accettare qualsiasi organizzazione, indipendentemente dal fatto che sia composta da persone buone o cattive».   Appunto: «fatti gli affari tuoi». «Non ti immischiare».   Siamo davvero disposti ad accettare la trasformazione della società in un incubo satanico?   Davvero vogliamo assistere alla fine della civiltà guardando inani dalla finestra, e pregando che il caos non arrivi a trucidare anche noi ed i nostri cari?   Quali gruppi umani possono davvero opporsi a questo processo di morte e distruzione?   Domande a cui bisogna rispondere quanto prima. Nel frattempo, le brave persone, gli innocenti, i virtuosi, vengono ammazzati, sacrificati all’altare dell’anarco-tirannide progettata per sottomettervi.   Roberto Dal Bosco

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