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Open, le fake news, Cato e l’ispettore Clouseau

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Lo screenshot con i due articoli accostati sta facendo il giro delle chat, tra sghignazzi e cachinni.

 

Open, il sito dei punitori di fake news, ha fatto un fact checking su un suo stesso articolo. Il risultato è al contempo imbarazzante ed enigmatico, perfino grottesco.

 

«Scene apocalittiche al confine tra Russia e Finlandia, l’unica frontiera ancora aperta ai civili russi in possesso di un visto Shengen. La coda di macchine in fila per lasciare la Russia avrebbe raggiunto i 35 km e continua ad allungarsi ora dopo ora» scriveva il sito dei ragazzi di Mentana lo scorso 21 settembre.

 

(Preghiamo il lettore di sorvolare sul fatto che suddetti ragazzi scrivano ripetutamente «Shengen» invece che Schengen. In effetti non sono tenuti a saperlo, controllano le opinioni altrui, mica la loro stessa ortografia).

 

Era la notizia rimbalzata ovunque: i giovani russi sono in fuga dopo la mobilizatsija annunciata dal presidente Putin.

 

L’articolo, firmato dalla Redazione, era accompagnato da immagini.

 

Poi, all’altezza del pomeriggio del giorno dopo, avviene l’indicibile: ecco pubblicato un articolo di fact checking dell’ex dipendente della Casaleggio Associati David Alejandro Puente Anzil, sbufalatore di punta dell’ineffabile sito mentaniano.

 

«Le code chilometriche dopo l’annuncio di Putin al confine russo-finlandese erano una fake news» è il titolo.

 

L’articolo è di fatto lo sbufalamento di quanto pubblicato dalla stessa testata, anche se, a leggerlo, pare invece concentrarsi sul presunto untore della fake via Twitter, tale «Sotiri Dimpinoudis, già noto a Open Fact-checking per un video falso, il quale condivide una clip per provare quanto afferma».

 

Solo in fondo, nelle conclusioni sepolte da code chilometriche di screenshot più o meno ridondanti e inutili, una lieve ammissione, e pure tra parentesi: «Il video pubblicato da Sotiri, ripreso da diversi media (incluso Open), non ha nulla a che vedere con l’annuncio della mobilitazione militare di Vladimir Putin. Le riprese risultano pubblicate giorni prima».

 

SCB. Sono cose belle. Considerate che questi, a quanto e dato di capire, lavorano con Facebook come fact-checker: proprio quel Facebook che poi, magari, vi toglie l’account per quello che scrivete.

 

Tuttavia, ci permettiamo anche di osservare che nell’immagine principale del sito, dove si mette una bella X rossa sul tweet del tizio (non sull’articolo di Open, che, sapendo la sua autorevolezza, probabilmente ha contribuito corposamente a diffondere la fake nel web di lingua italiana), potrebbe recare la scritta sbagliata: dice «contesto falso», ma a noi sembra una fake news vera e propria: qualcuno che prende un filmato che non c’entra niente e ci confeziona sopra la notizia falsa, falsa notizia che va magari, coincidenza, va proprio nella direzione del mainstream – ricordiamo, brevemente, che Mentana è quello per cui il battaglione Azov non è neonazista.

 

Tuttavia non volevamo tediarvi con questa storiella giornalistica, pur gustosa, di figure da cioccolatai web.

 

A noi preme scrivere un’altra cosa, se possibile ancora più prosaica. Volevamo parlare di un ricordo artistico.

 

Un sito che viene fact-checkato da un suo stesso collaboratore non può non ricordarci la storia di Cato Fong, il maggiordomo di origine orientale dell’ispettore Clouseau.

 

Speriamo che il lettori abbia visto almeno qualcuna delle pellicole della Pantera Rosa con Peter Sellers.

 

Ebbene, Cato, oltre che a sbrigare le faccende domestiche nell’appartamento di Clouseau, era stato da lui istruito ad attaccare chiunque entrasse in casa, compreso se stesso.

 

Il risultato erano scontri altamente distruttivi al momento in cui, con somma circospezione, l’ispettore rincasava, sempre certo che il Cato gli avrebbe teso un agguato, e lo avrebbe combattuto in maniera spietata.

 

 

Ecco, il fact-checker che fact-checka la sua stessa testata, ci ha ricordato quelle scene stupende di Cato che sferra calci volanti al suo stesso padrone di casa.

 

Ecco tutto qua: volevamo solo dirvi quanto bello è ricordare come ci facesse ridere, da bambini, la serie di film di Blake Edwards.

 

In realtà, a pensare che magari per merito di fact-checker uno ha dovuto trascinare Facebook in tribunale per farsi ridare l’account, non viene da ridere.

 

Ma a guardare questo screenshot stile Cato dei due articoli affiancati, l’allegria riparte subito alla grande.

 

Non sappiamo bene chi ringraziare di tutto questo: Putin, Zuckerberg, Casaleggio, Mentana, Bettino Craxi. Ma ringraziamo lo stesso.

 

 

 

 

Immagine screenshot da Telegram

 

 

 

 

 

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Adolf Hitler vince ma cambia nome

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Adolf Hitler Uunona, 59 anni, consigliere regionale namibiano da venti anni in carica, ha annunciato che rinuncerà ufficialmente al secondo nome «Hitler» dopo essere stato rieletto per il quinto mandato consecutivo nel distretto di Ompundja (regione di Oshana).

 

Membro del partito al potere Swapo, Uunona ha sempre goduto di un largo consenso locale nonostante il nome che, a livello internazionale, genera inevitabilmente sconcerto. Gli elettori della sua circoscrizione lo hanno costantemente premiato per il suo impegno nella lotta anti-apartheid e per i risultati concreti ottenuti sul territorio.

 

«Ho già provveduto a cancellare “Hitler” dai miei documenti ufficiali», ha dichiarato ai media namibiani. «D’ora in poi voglio essere chiamato semplicemente Adolf Uunona».

 

Il lettore di Renovatio 21 sa che la faccenda dell’Hitler negro è risalente.

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L’ex Hitler ha spiegato che ilpadre gli impose quel nome decenni fa senza conoscerne il peso storico né i crimini associati al dittatore nazista; per lui, all’epoca, era semplicemente un nome tedesco abbastanza diffuso nell’ex colonia dell’Africa sud-occidentale tedesca (1884-1915). Solo crescendo il consigliere prese coscienza del macabro retaggio e cominciò a dissociarsene pubblicamente.

 

«Ho sempre chiarito di non condividere in alcun modo l’ideologia nazista», ha ribadito il già Hitler. «Il mio impegno politico è radicato nella liberazione della Namibia e nello sviluppo delle nostre comunità rurali». In privato, familiari e collaboratori lo chiamano da tempo soltanto «Adolf», un’abitudine che ora desidera estendere a ogni contesto ufficiale.

 

Il caso richiama la complessa eredità coloniale tedesca in Namibia, dove nomi di origine teutonica restano relativamente comuni. Proprio in quel periodo (1904-1908) le truppe tedesche perpetrarono il genocidio degli Herero e dei Nama, un capitolo storico ancora poco noto a livello globale. Tuttavia, il fatto che esistano nel Paese africani bambini chiamati come il famigerato dittatore nazionalsocialista prova che forse la storia degli orrori coloniali non è esattamente conosciuta, o sentita, dalle popolazioni indigine.

 

Nonostante l’attenzione mediatica internazionale, lo Hitler namibiano continua a dominare le urne: nelle recenti elezioni locali ha nuovamente stravinto a Ompundja con un margine schiacciante. Per i suoi elettori, il curriculum di vent’anni di servizio concreto – strade, acqua, scuole e sostegno alle famiglie – pesa infinitamente più di un nome che il consigliere ha deciso di lasciarsi definitivamente alle spalle.

 

Renovatio 21 ritiene che si tratti di un caso in cui qualcuno potrebbe gridare alla frode elettorale: uno vota Hitler, e poi si trova uno qualsiasi, anzi un Uunona. È giusto?

 

Il cittadino sincero-democratico deve porsi a questo punto la domanda: se la democrazia vuole Hitler, perché toglierlo? Cioè, non è che lo si toglie, semplicemente, gli si cambia nome…

 

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Immagine dell’Oshana Regional Country

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L’enigma dell’italofonia delle bici giapponesi

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Non ricordo esattamente come e quando, ma un bel giorno mi sono accorto che qui in Giappone hanno nomi italiani.   Non intendo dire che siano biciclette italiane, benché si vedano qua e là delle Bianchi in giro per Tokyo: sto parlando di biciclette giapponesi a cui sono stati appioppati nomi italiani a casaccio.   A mano a mano la cosa è diventata un passatempo un po’ maniacale: ogni tanto sento mia moglie che sbuffa e sbotta: «ancora a guardare ste bici!?». Le da meno fastidio quando mi casca l’occhio su qualche signorina.   Il fatto è che nomi in questione sono nella maggior parte dei casi sono follie completamente fuori contesto: perché mai una bicicletta è finita a chiamarsi «Gelatina»?! C’è anche la «Bizarria», che è quasi la categoria (una zeta in meno) di questo articolo sui Renovatio 21, una parola desueta e bellissima apprezzata forse più dai ciclisti giapponesi che dal popolo parlante la lingua di Dante.   Questa abitudine a guardare le bici e fotografarle desta qualche sospetto, le biciclette sono tra le poche cose che vengono rubate con una certa frequenza qui a Tokyo.   Con l’aiuto di un amico, nel corso degli anni abbiamo steso un elenco non esaustivo dei velocipedi italofoni visti per le strade del Giappone. Purtroppo manca un’adeguata documentazione fotografica, le poche foto qui sotto valgano per ora come prima testimonianza.   Proseguirò nella raccolta di materiale e mi impegno a tenere aggiornato il pubblico di Renovatio 21 riguardo a questo inspiegabile fenomeno.     Accento Agenda Agilità Alcuna Alfiore bike Al fonto Al vecchio Alito Alla moda Allegro Al tetto Amadeus prima Ami amoretto Amico   Amore Amoroso Anelli Anemone Angelicus Angelino Angelino Petite Angelino Posh Angelo Animato Anna Aquila Arietta Aroma Arpeggio Ars nova Artista Assista Astroia Augusta Avanzare AveCuore Avellino Azzurrare Barletta Basso Bella Bellina Bellino Belluno Bel Ragazzo Beone Bionda Bizarria Bonaparte Broccoli Bruno Cadalora Calamita argento Calamita ciao Calamita due Calcite Campione Canale Canoro Cappuccino Capriccio Cardi Cargo Caro Carolina Carota Carpaccio Caterina Cavallo Cecilia Celare Celestano Chianti Ciーvada Clara Claudio Claudio Hearts Clichè Coccolo Coda Colono Colore Colossi Commando Continente Coroner Corsia Cortese Creare Crescente Crescita Crestina Croissant Crono Cuculo Culotte De Angelis De Petrucci Del sole Deserto Desto Diana Dia resto Diario Diretta Discus Ecciti Elena Elfi Elevato Emilia Erica Espresso Et ce’tera Eterno Eternotown Fanfare Farina Fascino Faville Felice Fermata Fermo Fertile Festival Fico Fides Figlia Carina Fini Fiona Fiorentina Fortina Fortissimo Fratello Fresco Frescool Fretta Fuerza Gelatina   Gelato Gibernau liscio Giuliano Gladiolo Gran mare Imbatto city Innominato La famiglia Lapis Las’efica Larghetto Latte Leggiero Lesto Levolte Lontano Loris Colgo Lucca Luciole Luculia Luna Macchiato Maglietta Maldini Marchiano Margarita Mattia Mega trans Mercato Merletto Merlot Metro Mezzo piano Mirano Moglie Montana Montebello Moscio sportivo Motomatto Mozione Mugello Mule Napori Neoclassico Nerone Novara Nutria Obbligato Ordina Osso Paola Panino Paprika Parlino Partenza Partire   Passione Passo Pasture Patrizia Persista Piccolo PiAce Pista Pittores Pizzicato Poggiali Polacco Portato Porto Posto Possibile portato Possible Pratico Precede Pretoria Prestezza Presto Progresso Proーvocatio canere Proーvocatio esse Proーvocatio mamma Proーvocatio mos Pro melior Pronto Raclette Radure Raffinate Ragazza Rapito Ravanello Ravenna Reale Realta Regalo Rene Retro Revigorando Riace Risoluto Romana Rondino Rosa Rosario Salute Sambista Scalare Sciolto Scorto Sentire Sereno Sicurezza Silvia Socio Soffitto Sorella Spago Stella Strida Tacchino Taranto Tavullia Tenerezza Terra cotta Testa Timbro Timore Tour de Totti Town del Sole Tramonto Tremolo Trento Triangolo Turbolenza Turn to Unisono Vacanze Valeriano Varietas delectat Veltro Verde Vicolo Ville Villetta Virgo Vispa Vita Vitrine Vittoria Vivace Vive Hodie Vivi Volante Zio   Taro Negishi Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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Immagine di Marie-Sophie Mejan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
     
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Bibita col DNA di Ozzy Osbourne disponibile con pagamento a rate

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Una nuova partnership kitsch tra John «Ozzy» Osbourne e Liquid Death, il marchio di acqua in lattina, ha lanciato sul mercato una serie limitata di lattine di tè freddo infuso con il DNA del «reverendo rock».

 

Ovviamente il prodotto è andato subito a ruba ed è esaurito. Le lattine sono state tutte tracannate e schiacciate da Osbourne in persona, lasciando «tracce di DNA della sua saliva che ora potete possedere», secondo il sito web di Liquid Death.

 

Ma diciamoci la verità, non si compra lo scarto salivare di una rockstar per dissetarsi: lo si compra per fare necro-collezionismo probabilmente. Le leggende attorno al personaggio sono molteplici: si diceva che Ozzy fosse un mutante genetico, capace di resistere a secchiate di droga, alla rabbia per aver morso un pipistrello vivo e a un incidente quasi mortale in quad.

 

«Ozzy Osbourne è 1 su 1», recita il testo pubblicitario del sito, «ma stiamo vendendo il suo vero DNA così potrete riciclarlo per sempre».

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Ogni lattina viene consegnata in un «barattolo per campioni sigillato in laboratorio», etichettato con il nome del donatore, il numero del campione (su dieci) e la data del prelievo. Ozzy ha persino firmato il contenitore, apparentemente dando un assegno in bianco per qualsiasi futura clonazione.

 

«Ora, quando la tecnologia e la legge federale lo consentiranno, potrete replicare Ozzy Osbourne e godervi la sua musica per centinaia di anni nel futuro», si legge sul sito web. I pezzi disponibili sono solo 10 e sono stati venduti a 450 dollari ciascuno, anche in comode rate. 

 

Vista la rarità del prodotto, il «bagarinaggio online» non poteva mancare: su eBay ce ne sono state due in vendita, ciascuna a migliaia di dollari.

 

Sui social media, i fan erano entusiasti della partnership di Ozzy con il suo brand, anche se il prezzo ha fatto storcere il naso a qualcuno. «Accidenti, avrei dovuto salvare il tuo DNA quando mi hai sputato addosso nell’84 durante un concerto alla LB Arena», ha scritto un fan su X.

 

Ozzy Osbourne, che da giovane sul palco aveva pure mangiato un pipistrello, è perito quattro mesi fa. Il fatto che fosse stato iniettato col vaccino COVID, che ci dicono venire da un chirottero di Wuhano, lo rende in qualche modo un personaggio simbolico della pandemica, e non solo di quella: alcuni hanno ipotizzato che la morte, avvenuta dopo una «lunga battaglia» (in genere dicono per qualche ragione così) contro il morbo di Parkinson, potrebbe costituire un caso di eutanasia.

 

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Carlos Varela via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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