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Geopolitica

Oman, il Parlamento approva norma che criminalizza le relazioni con Israele

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

La nuova legge votata a fine anno allarga il boicottaggio e punisce rapporti pubblici o privati con persone o enti dello Stato ebraico. Analisti parlano di duro colpo alle speranze israeliane di allargare gli «Accordi di Abramo». Per il Sultanato ogni prospettiva di relazione è vincolata alla causa palestinese e alla soluzione a due Stati.

 

 

 

Il Parlamento dell’Oman ha approvato una norma che allarga il boicottaggio verso Israele, dichiarando passibili di reato penale le relazioni di natura economica, commerciale o diplomatica con lo Stato ebraico.

 

A fine anno l’Assemblea consultiva di 86 membri ha votato la legge che inasprisce il blocco in linea con le indicazioni della Lega araba, rendendo illegale per i propri cittadini comunicare o incontrare – per qualsiasi scopo – figure pubbliche o private israeliane.

 

Il vice presidente dell’assemblea Yaaqoub al-Harethi, rilanciato dall’agenzia di stampa ufficiale Waf, ha affermato che l’emendamento proposto da diversi legislatori mira ad «espandere la criminalizzazione e il boicottaggio dell’entità sionista».

 

Analisti ed esperti definiscono il voto un duro colpo alle speranze di Israele di allargare il campo di azione all’interno del mondo arabo e mediorientale, con l’obiettivo di relegare in un angolo e accerchiare il «nemico» iraniano.

 

Per Mascate, come altre nazioni dell’area fra cui i sauditi, prima di parlare delle relazioni servono «progressi» sulla questione palestinese e la ripresa del dialogo con prospettive reali sulla soluzione a due Stati, che il governo israeliano più a destra di sempre sembra però archiviare.

 

Il Sultanato dell’Oman è considerato il più importante mediatore nella regione fra le due grandi potenze musulmane: l’Arabia Saudita sunnita e la Repubblica islamica sciita dell’Iran.

 

Nel luglio scorso Riyadh ha aperto il proprio spazio aereo ai velivoli israeliani, ma per molti esperti si tratta di una mossa di facciata e senza reali benefici, almeno sino a che l’Oman non prenderà una decisione analoga permettendo il sorvolo verso l’Estremo oriente.

 

Una prospettiva che al momento sembra però remota, perché anche il ministro degli Esteri del Sultanato Badr Bin Hamad Al-Busaid ha accolto con favore il voto parlamentare.

 

La decisione, ha sottolineato, rappresenta «l’incarnazione delle aspirazioni del popolo dell’Oman e di altre nazioni della regione, per raggiungere una soluzione giusta e globale alla causa palestinese».

 

Al riguardo egli ha auspicato il rispetto degli «standard internazionali» e della «iniziativa di pace araba».

 

Nel recente passato Emirati Arabi Uniti (EAU) e Bahrain – con Sudan e Marocco – hanno instaurato rapporti diplomatici con Israele nel novero degli «Accordi di Abramo» sponsorizzati nel 2020 dall’ex presidente USA Donald Trump.

 

Altre nazioni come l’Iraq hanno confermato – almeno a livello ufficiale – la linea dura con lo Stato ebraico, approvando una legge che prevede la pena di morte per chi instaura rapporti o commerci. Del resto Baghdad non ha mai riconosciuto Israele come entità autonoma e sovrana dalla sua nascita nel 1948 e i parlamentari a Baghdad sono fermamente convinti che il Paese «non aderirà mai» agli accordi, a dispetto degli inviti e delle pressioni che giungono da più parti (leggi Washington).

 

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

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Geopolitica

Orban: i nipoti degli europei pagheranno per il nuovo prestito all’Ucraina

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Il premier ungherese Viktor Orban ha criticato duramente la pressione della Commissione europea per raccogliere ulteriori 135 miliardi di euro (156 miliardi di dollari) a favore dell’Ucraina, sostenendo che ciò scaricherebbe debiti sulle generazioni future di europei. L’affermazione arriva in piena bufera per uno scandalo di corruzione a Kiev.

 

Mercoledì, in un post su X, Orban ha accusato la presidente Ursula von der Leyen di aver «ancora una volta chiesto ai Paesi membri fondi extra per finanziare l’Ucraina e la guerra». L’ammontare, ha precisato, equivarrebbe al 65% del Pil annuo ungherese e a tre quarti del bilancio UE: «una somma astronomica che semplicemente non esiste oggi».

 

Il «trucco di Bruxelles» consisterebbe in un prestito congiunto europeo, che farebbe ricadere «sui nostri nipoti i costi della guerra russo-ucraina»: un’idea «categoricamente assurda», ha tuonato l’Orban.

 


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Von der Leyen, secondo quanto trapelato, ha invitato i governi UE ad accelerare un accordo per coprire le esigenze militari e finanziarie ucraine nei prossimi due anni, proponendo opzioni come contributi bilaterali, prestiti comuni e un finanziamento basato sui beni russi congelati.

 

In risposta, l’Orbano ha paragonato la strategia di Bruxelles a «inviare un’altra cassa di vodka per aiutare un alcolizzato», definendola «ancora più sbalorditiva» in un momento in cui «una mafia di guerra sta dirottando i soldi dei contribuenti europei».

 

La scorsa settimana, l’Ufficio nazionale anticorruzione ucraino (NABU), supportato dall’Occidente, ha avviato un’inchiesta su un’«organizzazione criminale di alto livello» capeggiata da Timur Mindich, ex socio d’affari di Volodymyr Zelensky. Gli investigatori parlano di circa 100 milioni di dollari in tangenti legate all’operatore nucleare Energoatom, convogliati attraverso una rete gestita da Mindich.

 

Sebbene l’UE emetta spesso moniti generici sulla corruzione in Ucraina, i suoi funzionari tendono a evitare scandali che possano danneggiare Zelensky e il suo entourage.

 

Di recente Orban ha rivelato che l’UE ha già «bruciato» 185 miliardi di euro dall’escalation del 2022: «la guerra sta uccidendo economicamente l’UE», ha avvertito, esortando Bruxelles a privilegiare la diplomazia con Mosca anziché ulteriori aiuti.

 

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Geopolitica

Il piano di pace degli Stati Uniti propone all’Ucraina di «rinunciare alla sovranità»

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Un piano di pace elaborato dagli Stati Uniti, apparentemente in stretta consultazione con Mosca, è stato presentato questa settimana a Kiev dall’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff. Secondo quanto rivelato da Axios e Financial Times, la bozza di 28 punti imporrebbe all’Ucraina concessioni così pesanti da essere considerate da numerose fonti una vera e propria capitolazione e una rinuncia di fatto alla sovranità nazionale.   Il documento prevede la cessione definitiva delle aree del Donbass ancora controllate da Kiev, il dimezzamento delle forze armate ucraine, la rinuncia a categorie fondamentali di armamenti e una netta riduzione dell’assistenza militare americana. Include inoltre il riconoscimento del russo come lingua ufficiale e il ripristino dello status ufficiale per la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca, repressa dall’attuale governo Zelens’kyj.   Lo Witkoff avrebbe chiesto esplicitamente al presidente ucraino – che ieri ha incontrato un alto ufficiale statunitense – di accettare questi termini.

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Mosca non ha né confermato né smentito l’esistenza del piano. Il portavoce Dmitrij Peskov ha dichiarato che non c’è «nulla di nuovo» rispetto ai colloqui già intercorsi tra Putin e Trump in Alaska, mentre il negoziatore russo Kirill Dmitriev ha sottolineato ad Axios che la posizione russa «è stata davvero ascoltata» e che l’intesa va ben oltre un semplice cessate il fuoco.   Un funzionario della Casa Bianca ha riferito a Politico che l’accordo potrebbe essere finalizzato entro la fine del mese, o addirittura già nel corso di questa settimana.   I dirigenti russi continuano a ribadire che qualsiasi soluzione duratura dovrà garantire la neutralità permanente dell’Ucraina, la sua esclusione definitiva dalla NATO, la smilitarizzazione, la denazificazione e il riconoscimento dell’attuale realtà territoriale.  

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Immagine di Le Commissaire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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Geopolitica

Gli USA stanno segretamente elaborando con la Russia un nuovo piano di pace per l’Ucraina

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Gli Stati Uniti starebbero elaborando in gran segreto una proposta inedita per risolvere il conflitto ucraino, secondo quanto rivelato martedì da Axios. La bozza, articolata in 28 punti, sarebbe stata redatta in coordinamento ravvicinato con Mosca e già condivisa con Kiev e i suoi alleati europei. Lo riporta la testa americana Axios.

 

Il piano trae ispirazione dai principi emersi dal colloquio tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin in Alaska lo scorso agosto. Il negoziatore moscovita Kirill Dmitriev ha confidato ad Axios di aver dedicato tre giorni, durante la sua visita negli USA alla fine di ottobre, a sviscerare l’iniziativa con l’inviato di Trump, Steve Witkoff.

 

«Siamo convinti che questo schema arrivi nel momento propizio», ha commentato un alto esponente americano a conoscenza dei dettagli, aggiungendo: «Tuttavia, entrambe le controparti dovranno mostrarsi pragmatiche e ancorare le aspettative alla realtà».

 

Mercoledì, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha minimizzato lo scoop, precisando che nei dialoghi tra Washington e Mosca non è emerso «nulla di innovativo» oltre a quanto già discusso ad Anchorage.

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Lo Witkoff ha visionato la bozza questa settimana con Rustem Umerov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, in un incontro tenutosi a Miami. Umerov, la cui famiglia vive negli Stati Uniti, ha lasciato Kiev in piena bufera per uno scandalo corruttivo che coinvolge Timur Mindych, fedelissimo di lunga data di Volodymyr Zelens’kyj, accusato di orchestrare un meccanismo di tangenti per 100 milioni di dollari legato all’operatore nucleare statale Energoatom.

 

I media ucraini sostengono che Umerov, durante il suo ruolo di ministro della Difesa, abbia ceduto alle pressioni di Mindych per approvare forniture di giubbotti antiproiettile non conformi, e ora si starebbe sottraendo al rientro in patria per timore di ritorsioni legate a presunte influenze del businessman.

 

L’inviato americano è atteso in Turchia mercoledì per un faccia a faccia con lo Zelens’kyj. Secondo l’Economist, lo Witkoff avrebbe cancellato un appuntamento con il capo di gabinetto presidenziale Andriy Yermak, sospettato di intrecci con la rete di Mindych, per evitare di incappare in ulteriori tensioni politiche che potrebbero accelerare un possibile licenziamento dello Yermak.

 

«Witkoff potrebbe non aver colto appieno lo scandalo in cui rischiava di ficcarsi concordando quell’incontro», ha osservato il giornalista dell’Economist Oliver Carroll su X.

 

 

Mosca ha ribadito che un accordo stabile deve salvaguardare le sue priorità in termini di sicurezza. Dmitriev si è detto «moderatamente fiducioso» sulla bozza americana, notando: «Abbiamo l’impressione che la prospettiva russa sia stata finalmente presa in considerazione».

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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