Terrorismo
Nuovo attentato contro un intellettuale russo: è iniziato il terrorismo globale contro i dissidenti?

L’auto dell’autore, giornalista e politico russo Zakhar Prilepin è stata fatta saltare in aria su un’autostrada nella regione di Nizhny Novgorod a circa 450 chilometri a Est di Mosca. L’autista è stato ucciso e Prilepin è rimasto ferito. Lo riporta Sputnik citando fonti delle forze dell’ordine.
«L’esplosione è avvenuta sull’autostrada nel distretto di Bor. I servizi di emergenza, la polizia e il comitato investigativo si stanno dirigendo sul luogo della tragedia», ha detto la fonte alla testata russa.
Il ministero dell’Interno ha confermato la distruzione di un veicolo nella regione di Nizhny Novgorod, affermando che una persona è stata uccisa e che Prilepin è rimasto ferito. Secondo le ultime notizie, le sue condizioni sarebbero gravi. Vi sarebbero lesioni ai polmoni e fratture multiple, che richiederebbero interventi chirurgici ai quali lo scrittore si sta sottoponendo ora.
Nel corso della giornata, la polizia ha annunciato di aver arrestato un individuo sospettato di possibile coinvolgimento nell’incidente.
Prilepin, 47 anni, è uno dei più noti autori di narrativa nella Russia contemporanea, ed è anche un noto giornalista e aspirante politico. Dal 2014 si era impegnato attivamente nel riferire e commentare la crisi nel Donbass. Lo scrittore fa anche politica attiva, dove mescola il sostegno alla Russia contro l’Occidente con le critiche ad alcune delle politiche interne del governo.
Prilepin ha fondato il partito Za Pravdu («Per la verità»), un partito nazionale patriottico, socialmente conservatore, economicamente di sinistra e antiliberale nel 2020. Il partito nel 2021 si è fuso con Spravedlivaja Rossja («Russia giusta»), un importante partito russo pure di tendenze conservatrici a livello sociale e socialdemocratiche a livello economico. Il partito risultante è chiamato con l’acronimo SRZP.
Prilepin ha prestato servizio come corrispondente militare nel Donbass a partire dal 2014, con il suo lavoro apparso nelle principali pubblicazioni russe. Si è anche impegnato in campagne di raccolta fondi, raccogliendo milioni di rubli per l’acquisto di aiuti umanitari per la popolazione civile, nonché denaro per munizioni per le milizie del Donbass.
In Nizhny Novgorod, an Audi Q7 car with Zakhar Prilepin was blown up. Prilepin was seriously wounded and taken to the nearest hospital. Local media report that the deceased driver of Prilepin was a citizen of Ukraine. The explosion of Prilepin's car was so strong that it tore… pic.twitter.com/1DKteAhAvk
— Victor vicktop55 (@vicktop55) May 6, 2023
Lo scrittore era stato reclutato per servire come vice comandante di un battaglione delle forze speciali del Donbass tra il 2016 e il 2018. Il servizio di sicurezza ucraino ha aperto un procedimento penale contro di lui, accusandolo di «partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica» e di «finanziamento del terrorismo».
Prilepin si era ritirato dal Donbass nel 2018, ma ha continuato a parlare e scrivere ampiamente del conflitto.
La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha reagito parlando di sospetti su una pista straniera nell’incidente di sabato.
«Washington e la NATO hanno allevato un’altra cellula terroristica internazionale: il regime di Kiev. Bin Laden, ISIS (Daesh), ora Zelensky e i suoi teppisti. Questa è la responsabilità diretta degli Stati Uniti e della Gran Bretagna», ha scritto la portavoce sul suo canale Telegram. «Stiamo pregando per Zachar», ha aggiunto la portavoce degli Esteri.
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto ai giornalisti di essere a conoscenza dei rapporti riguardanti la distruzione dell’auto di Prilepin, ma ha riservato un giudizio nell’attribuire la colpa fino a quando non saranno disponibili ulteriori informazioni.
Il linguaggio pare essere oramai chiaro bombe ed autobombe per intellettuali e figure non di vertice (Darja Dugina, Vladen Tatarskij, più lo sventato assassinio di Konstantin Malofeev), droni assassini per Putin e il Cremlino, come abbiamo visto in queste ore e come aveva detto qualche giorno fa la testata tedesca Bild, dicendo che vi era un piano per uccidere il presidente russo con un drone kamikaze mentre si sarebbe trovato in visita fuori Mosca.
Come scritto da Renovatio 21, gli assassinii di intellettuali e politici di medio livello servono ad un disegno di «ri-cecenizzare la Russia», riportando la popolazione al senso di caos degli anni Novanta che Putin seppe risolvere.
In pratica, vogliono far regredire – a suon di bombe, di attentati, di terrorismo – la Russia a prima del ritorno dello Zar, quando gli oligarchi senza alcun freno si arricchivano facendo depredare le ricchezze della Russia dagli squali occidentali.
È incredibile come nessuno stia usando l’espressione: «terrorismo di Stato». Perché a questo punto non si tratta più di assassinii isolati, ma di una vera strategia di terrore. Il mandante a pensarci bene può essere sì uno Stato, ma con dietro la pressione di sanguinari enti sovranazionali.
È il terrore globale. Che inizia con uccidere in Russia le persone che usano le parole, ma passerà presto di qua. Niente ci impedisce di pensare che sarà così.
Terrorismo
Hamas afferma che la sua leadership è sopravvissuta all’attacco israeliano al Qatar

Il gruppo militante palestinese Hamas ha affermato che l’attacco israeliano al suo complesso nella capitale del Qatar Doha avvenuto martedì è stato in gran parte infruttuoso e che i suoi membri più importanti sono sopravvissuti.
Tuttavia, l’attacco ha ucciso il figlio di Khalil al-Hayya, capo dell’ufficio politico del gruppo, e un suo collaboratore di alto rango, secondo Suhail al-Hindi, un membro di spicco di Hamas. Tre guardie del corpo del leader del gruppo risultano ancora disperse dopo gli attacchi, ha dichiarato ad Al Jazeera.
«Il sangue dei leader del movimento è come il sangue di qualsiasi bambino palestinese», ha affermato al-Hindi.
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L’«atroce» attacco israeliano è stato un «tentativo di uccidere coloro che stavano discutendo di porre fine alla guerra a Gaza», ha aggiunto, corroborando precedenti resoconti secondo cui la leadership del gruppo era stata colpita mentre si riuniva per discutere le ultime proposte degli Stati Uniti sulla risoluzione del conflitto con Israele.
Secondo quanto riportato dai media israeliani, nell’attacco sono stati coinvolti circa 15 aerei, che hanno sparato più di dieci proiettili ad alta precisione contro il complesso di Hamas. Israele ha insistito sul fatto che l’attacco è stato un’azione unilaterale e che nessun’altra parte è stata coinvolta nell’attacco «ai vertici dell’organizzazione terroristica di Hamas». Il Qatar ha parlato invece di «terrorismo di Stato» da parte israeliana.
Diversi resoconti dei media israeliani, tuttavia, hanno suggerito che lo Stato Giudaico avesse informato Washington dell’imminente azione prima dell’attacco. Inoltre, il canale israeliano Channel 12 ha riferito, citando un funzionario anonimo, che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dato il via libera all’attacco.
La Casa Bianca ha descritto l’attacco israeliano come un incidente «sfortunato», con la portavoce Karoline Leavitt che ha affermato che l’attacco al cuore del Qatar, uno «stretto alleato» degli Stati Uniti, «non promuove gli obiettivi di Israele o dell’America».
Il Qatar, che è stato definito un «importante alleato non NATO» degli Stati Uniti, ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas». Il Ministero degli Esteri del Paese ha negato di essere stato a conoscenza dell’attacco in precedenza, affermando di non aver ricevuto alcuna notifica né da Israele né dagli Stati Uniti.
Più tardi, nel corso della giornata, il ministero degli Interni del Qatar ha dichiarato che almeno un agente di sicurezza è stato ucciso e altri sono rimasti feriti mentre intervenivano sul luogo dell’attacco.
Il Qatar aveva avviato rapporti commerciali non ufficiali con Israele nel 1996, diventando il secondo paese della penisola arabica a farlo dopo l’Oman, in concomitanza con il trattato di pace tra Israele e Giordania. Questi rapporti commerciali sono proseguiti fino al 2009, quando il Qatar ha sospeso i legami economici con Israele a seguito dell’operazione Piombo Fuso.
A seguito del conflitto tra Israele e Gaza del 2008-2009, il Qatar AVEVA organizzato una riunione d’emergenza con stati arabi e Iran per affrontare la crisi. Hamas, che controllava Gaza, rappresentava i palestinesi, a differenza dell’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Fatah in Cisgiordania, indebolendo il presidente Mahmoud Abbas. I leader di Hamas, Khaled Meshaal, il presidente siriano Bashar al-Assad e quello iraniano Ahmadinejad avevano allora chiesto agli Stati arabi di interrompere ogni rapporto con Israele.
Nel 2013, secondo un giornale libanese, il Qatar avrebbe agevolato un’operazione israeliana per trasferire 60 ebrei yemeniti in Israele, permettendo loro di transitare da Doha. Il 30 aprile 2013, il primo ministro qatariota, sceicco Hamad bin Jassim al-Thani, ha proposto che gli accordi di pace con i palestinesi potessero includere scambi territoriali invece di rispettare i confini del 1967, un’idea accolta positivamente dal ministro della giustizia israeliano Tzipi Livni, che l’ha definita una mossa strategica per favorire compromessi e rafforzare il sostegno pubblico alla pace.
Tuttavia, dopo l’Operazione Margine Protettivo (cioè il conflitto a Gaza nel 2014), Israele ha criticato il Qatar per il suo supporto diplomatico e finanziario ad Hamas, accusandolo di sponsorizzare il terrorismo. Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman aveva chiesto l’espulsione dei giornalisti di Al Jazeera, di proprietà qatariota.
Nel 2015, l’ambasciatore del Qatar a Gaza ha cercato l’approvazione di Israele per importare materiali da costruzione a Gaza, dopo il rifiuto dell’Egitto di aprire il valico di Rafah, suscitando le critiche dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Fatah, che temevano un’usurpazione del ruolo di mediatori da parte del Qatar.
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Nel giugno 2015, il Qatar aveva ospitato colloqui a Doha tra Israele e Hamas per discutere un possibile cessate il fuoco di cinque anni. Durante la crisi diplomatica del Qatar del 2017, Israele ha sostenuto il blocco guidato dall’Arabia Saudita contro il Qatar e ha espulso Al Jazeera da Israele. Durante la guerra di Gaza del 2023, il Qatar ha mediato tra Hamas e Israele, ottenendo un cessate il fuoco e uno scambio di oltre 100 ostaggi israeliani con 240 prigionieri palestinesi
Nell’aprile 2024, Essa Al-Nassr, generale qatariota e membro dell’Assemblea consultiva, ha dichiarato che non ci sarebbe stata pace con Israele, accusandolo di tradimenti e omicidi, definendo gli attacchi del 7 ottobre 2023 un «preludio» alla distruzione di Israele.
Le frizioni tra Israele e Qatar sono pienamente visibile con il continuo assassinio di giornalista di Al Jazeera negli ultimi mesi.
Voci in rete, prive di verifica possibile, sostengono che il vertice di Hamas sarebbe stato salvato grazie ad una soffiata proveniente dal MIT, il servizio segreto turco.
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Terrorismo
I ribelli congolesi usano minorenni

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Terrorismo
Infermiera tedesca prigioniera in Somalia da 7 anni

Sonja Nientiet, infermiera tedesca in forza al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e rapita ad inizio maggio 2018 a Mogadiscio da un gruppo armato forse legato all’organizzazione islamista al-Shabaab sarebbe ancora in vita.
Un video apparso in rete nel marzo 2025 mostra l’operatrice umanitaria coperta da velo islamico con un volto stanco e provato mentre descrive la sua vicenda e chiede al governo tedesco di fare il possibile per liberarla.
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Me la ricordo Sonja. Devo ammettere che era un ricordo semi sepolto dei miei anni passati in ICRC e riportato alla luce qualche giorno fa da un post apparsomi su Instagram.
Mi viene in mente una donna robusta, con scarso senso dell’ironia e tifosissima del Borussia Dortmund ai limiti del fanatismo, tanto da appendere in ufficio sciarpe, bandiere e gadget della squadra del cuore, nella perplessità dello staff locale.
Non eravamo amici per la pelle anche se non credo di aver mai avuto discussioni con lei in un ambiente, quello dell’emergenza umanitaria, in cui la tensione, anche tra colleghi, si tagliava a fette.
Erano gli anni a cavallo del 2015 in cui l’ISIS impazzava e sembrava avere sostenitori pure in Giordania paese da cui ci occupavamo del conflitto siriano e dei molti rifugiati che si riversavano nel territorio della monarchia hascemita. Notizie di tentati sequestri di occidentali e di operatori umanitari circolavano periodicamente e la vita in una città beduina di confine, piena di sabbia, di mosche, torrida in estate e gelata d’inverno, non era esattamente entusiasmante.
Ricordo i black out dovuti al freddo, io mentre cucinavo spaghetti alla carbonara al buio mentre un collega inglese mi faceva luce con una torcia, l’assurda birra Petra addizionata di alcool che poteva arrivare fino a 30 gradi, la noia, gli incubi notturni dopo giornate passate ad occuparmi di disgrazie umane, a volte strazianti. Ad un certo punto non ne potevo davvero più, come molti colleghi che nel tempo hanno mollato o hanno visto il loro contratto interrompersi per non aver accettato una missione troppo rischiosa per la sicurezza e per la salute.
Perché il Comitato Internazionale della Croce Rossa è come un piccolo esercito umanitario dalle molte contraddizioni, che specificheremo in altri articoli. È un’organizzazione che spesso chiede il massimo ai suoi delegati (questo è il nome dei suoi operatori espatriati) ed opera per mandato in zone di conflitti militari e relative crisi umanitarie. Burn-outs e ricadute a livello psicologico come le temute sindromi da stress post traumatico sono pertanto all’ordine del giorno.
Più missioni si accettano e in posti pericolosi, più aumentano i rischi di essere rapiti o peggio ammazzati da qualche gruppo armato o semplicemente di fuorilegge, senza parlare delle malattie infettive e di altri poco simpatici “contrattempi” in cui si può incappare.
I sette anni dell’infermiera Sonja in una terra come la Somalia sono davvero tanti. È difficile pensare come si possa tenere duro in una situazione di questo tipo, oltretutto prigionieri di un gruppo armato.
Non passiamo fare altro che pregare per lei e augurarle di poter tornare un giorno allo stadio a seguire il suo Borussia Dortmund.
Victor Garcia
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