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Geopolitica

Netanyahu snobba il piano di pace di Trump per l’Iran e attaccato ostacolando la diplomazia di Washington

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Il primo ministro dello Stato d’Israele Beniamino Netanyahu sta dando la priorità alla propria agenda geopolitica nei confronti dell’Iran – basata su un’offensiva militare non provocata – a scapito dell’agenda geopolitica del presidente USA Donald Trump nei confronti dell’Iran, fondata invece su negoziati diplomatici. Lo scrive il Washington Post.

 

Nonostante il fatto che attaccare l’Iran avrebbe ostacolato i negoziati in corso di Washington con Teheran, Israele ha comunque lanciato la sua offensiva.

 

Secondo quanto è possibile concludere, l’agenda di Trump in Medio Oriente non prevede specificamente una guerra pesante con l’Iran, concentrandosi invece in numerosi incontri diplomatici tra funzionari di Washington e Teheran per ottenere un nuovo accordo sul nucleare iraniano.

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Al contrario, Netanyahu stava cercando la guerra, secondo quanto riportato dal WaPo. «A partire dalla fine dell’anno scorso, le agenzie di intelligence statunitensi hanno iniziato a monitorare i preparativi israeliani per un attacco e hanno avvisato i politici di Washington che Israele avrebbe probabilmente colpito nei primi sei mesi del 2025» scrive il quotidiano della capitale americana.

 

Tuttavia «il piano di Netanyahu è stato inaspettatamente ritardato quando è stato convocato a Washington per incontrare Trump e informato che gli Stati Uniti avrebbero avviato negoziati diretti con l’Iran per risolvere diplomaticamente la questione. La forte propensione del primo ministro a colpire, tuttavia, è rimasta invariata, ha affermato una persona che conosce il pensiero dei massimi funzionari israeliani».

 

«All’inizio della primavera, c’era anche preoccupazione tra i funzionari israeliani che un eventuale accordo tra l’inviato di Trump Steve Witkoff e l’Iran avrebbe comunque permesso a quest’ultimo di possedere una bomba» ha dichiarato al Washington Post un funzionario israeliano, mentre un ex alto funzionario israeliano ha affermato che «gli israeliani avevano anticipato il previsto pensionamento del generale Michael E. Kurilla, il capo del Comando Centrale degli Stati Uniti che aveva contribuito a elaborare piani di guerra con Israele per tutta la primavera».

 

Nonostante gli sforzi di Trump per risolvere pacificamente la questione iraniana, Netanyahu aveva già preso la sua decisione.

 

«In autunno, molto prima che il presidente Donald Trump intraprendesse uno sforzo per risolvere le preoccupazioni sul programma nucleare iraniano attraverso i negoziati, il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva già avviato Israele sulla strada della guerra, secondo funzionari israeliani attuali ed ex funzionari», ha affermato il Washington Post.

 

L’articolo rivela che molte delle operazioni militari condotte da Israele contro Libano, Siria e Iraq nell’ultimo anno erano probabilmente in preparazione della grande offensiva iraniana.

 

«Dopo che Israele ha decimato le difese aeree dell’Iran in una scaramuccia missilistica e paralizzato il suo principale alleato, Hezbollah, a ottobre, Netanyahu ha emesso un ordine generale di preparazione a un attacco, hanno dichiarato funzionari attuali ed ex funzionari. I funzionari dell’intelligence israeliana hanno iniziato a riunirsi per compilare liste di decine di scienziati nucleari e leader militari iraniani che potrebbero essere presi di mira per l’assassinio. L’aeronautica militare israeliana ha iniziato a distruggere sistematicamente le difese aeree in Libano, Siria e Iraq per liberare i cieli in vista di futuri bombardamenti contro l’Iran», ha scritto il Washington Post lunedì.

 

 

Tuttavia, il regime di Netanyahu non ha cercato di combattere da solo l’Iran e potenzialmente il resto del mondo islamico. Il giornale statunitense racconta in dettaglio come sarebbero in corso piani per trascinare gli Stati Uniti in guerra a fianco di Israele.

 

Nel frattempo, i funzionari israeliani stavano seguendo un’altra strada nei loro preparativi: influenzare Washington. I funzionari israeliani credono da tempo che un’azione militare con la partecipazione degli Stati Uniti per colpire il programma nucleare iraniano sarebbe più efficace di un’azione condotta da Israele da sola, spiega l’exposé. «In conversazioni private, tuttavia, alti funzionari del governo israeliano hanno affermato di aver già deciso a marzo, settimane prima dell’incontro di Netanyahu con Trump nello Studio Ovale il 7 aprile, di colpire l’Iran con o senza la partecipazione degli Stati Uniti entro giugno al più tardi, hanno affermato due persone a conoscenza della questione».

 

Il WaPo sostiene che Israele non ha effettivamente basato il suo attacco all’Iran su prove del fatto che Teheran fosse insolitamente vicina al possesso di un’arma nucleare, bensì su un piano di primo attacco preconcetto che gli israeliani avevano già formulato.

 

«Se Netanyahu avesse o meno prove sufficienti dei progressi iraniani verso l’arma nucleare per giustificare un attacco è stato oggetto di un intenso dibattito a livello mondiale e solleva interrogativi sull’ammissibilità degli attacchi secondo il diritto internazionale».

 

Molti hanno messo in dubbio i 33 anni di avvertimenti di Netanyahu, secondo cui l’Iran sarebbe stato «a poche settimane» dal possedere armi nucleari. Con ogni evidenza, per alcuni la favola di Pierino e il lupo non ha effetto.

 

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«In definitiva, quando Netanyahu ha finalmente lanciato il suo attacco a sorpresa contro l’Iran nelle prime ore del 13 giugno, mentre i negoziati con Trump erano ancora in corso, la decisione non è stata tanto motivata da nuove informazioni di intelligence che indicavano una corsa iraniana verso un’arma nucleare o una minaccia imminente per Israele».

 

«Piuttosto, Israele ha colto quella che considerava un’opportunità unica per mettere in atto piani, accuratamente elaborati mesi e anni prima, per danneggiare gravemente un Iran indebolito che da tempo conduceva un sanguinoso conflitto per procura con Israele e per ostacolare i programmi nucleari e missilistici iraniani, affermano funzionari e consiglieri israeliani e statunitensi di entrambi i governi», scrive ancora l’articolo.

 

«Richard Nephew, uno dei principali negoziatori degli Stati Uniti con l’Iran durante l’amministrazione Obama, ha affermato che la vera divisione sembra non essere stata tra gli analisti dell’intelligence statunitense e israeliana, ma tra le spie e i politici, che hanno interpretato le informazioni in modo più allarmante», si legge nel pezzo rivelatore del WaPo.

 

«Forse i servizi segreti statunitensi e israeliani erano sulla stessa lunghezza d’onda, ma non lo erano i loro leader politici», ha affermato Nephew, ora al Washington Institute for Near East Policy.

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Immagine di Israel Ministry of Foreign Affairs via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

 

 

 

 

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Geopolitica

Lavrov all’ONU parla di rinazificazione tedesca: «hanno lo stesso obiettivo di Hitler»

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I leader tedeschi stanno adottando politiche che richiamano gli obiettivi di Adolf Hitler di dominare l’Europa e infliggere una sconfitta strategica alla Russia, ha dichiarato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.   Durante una conferenza stampa dopo il suo intervento all’80ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sabato, Lavrov ha affermato che le ambizioni militari della Germania vanno oltre la semplice difesa.   «Non si tratta solo di militarizzazione, ci sono chiari segnali di rinazificazione», ha detto ai giornalisti. «E perché si sta facendo questo? Beh, probabilmente con lo stesso obiettivo di Hitler: dominare tutta l’Europa. E cercare di infliggere una sconfitta strategica all’Unione Sovietica, nel caso di Hitler, e nel caso della Germania moderna e del coro dei principali solisti dell’Unione Europea e della NATO: alla Federazione Russa».   Il ministro degli Esteri ha criticato il cancelliere Friedrich Merz, accusandolo di voler trasformare la Germania nella «principale macchina militare d’Europa», citando la sua retorica sempre più bellicosa. Merz ha promesso di rendere la Bundeswehr il «più forte esercito convenzionale d’Europa» in un discorso tenuto meno di una settimana dopo l’80° anniversario della caduta del Terzo Reich, celebrato a maggio.   «Quando una persona in un Paese che ha commesso i crimini del nazismo, del fascismo, dell’Olocausto, del genocidio afferma che la Germania deve tornare a essere una grande potenza militare, allora ovviamente sta subendo un’atrofia della memoria storica, e questo è molto, molto pericoloso», ha detto Lavrov.

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Questa settimana, Merz ha dichiarato che «non siamo in guerra, ma non viviamo più in pace», chiedendo la confisca dei beni russi congelati per sostenere Kiev. A Bruxelles, questo piano di «prestiti di riparazione» è stato appoggiato dall’ex ministro della Difesa tedesco, ora presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.   Berlino intende quasi raddoppiare il proprio bilancio militare entro il 2029, indicato dai funzionari tedeschi come scadenza per essere «pronto alla guerra». Il ministro della Difesa Boris Pistorius ha dichiarato che la Bundeswehr deve prepararsi a combattere soldati russi se la «deterrenza» fallisce. Il presidente Frank-Walter Steinmeier ha chiesto il ripristino della coscrizione universale in caso di carenza di volontari.   Dal 2022, con l’escalation del conflitto in Ucraina, la Germania è diventata il secondo maggior fornitore di armi a Kiev dopo gli Stati Uniti, inviando carri armati Leopard, utilizzati e persi da Kiev nell’incursione nella regione russa di Kursk, teatro della più grande battaglia di carri armati della Seconda guerra mondiale.   In precedenza, Lavrov aveva sostenuto che le politiche di Berlino dimostrano il suo «coinvolgimento diretto» nella guerra per procura contro la Russia, avvertendo che l’Unione Europea nel suo complesso sta scivolando verso quello che ha definito un «Quarto Reich».   Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa la Russia ha annullato l’accordo di distensione con la Germania. Sei mesi fa, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, truppe tedesche sono state schierate sul fronte orientale per combattere la Russia.

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Geopolitica

Falliscono i colloqui Siria-Israele

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I negoziati tra Israele e Siria hanno subito un «ostacolo dell’ultimo minuto» a causa della richiesta israeliana di stabilire un corridoio sicuro in territorio siriano. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti.

 

Israele aveva proposto l’apertura di un «corridoio umanitario» verso la provincia di Sweida per fornire aiuti, ma Damasco ha rifiutato, considerandola una violazione della sovranità nazionale, ha riportato Reuters venerdì. Le forze israeliane hanno occupato la Siria meridionale dopo la caduta del governo di Bashar Assad a dicembre.

 

Fonti siriane e statunitensi hanno indicato che la richiesta di Gerusalemme Ovest ha fatto naufragare l’accordo.

 

Venerdì mattina, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato l’avvio dei colloqui tra i due Paesi. «Le vittorie di Israele sull’asse terroristico iraniano hanno aperto possibilità di pace impensabili due anni fa. Prendiamo la Siria: oggi abbiamo avviato seri negoziati con il nuovo governo siriano», ha dichiarato il premier dello Stato Giudaico.

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Nelle ultime settimane, Damasco e Gerusalemme Ovest erano vicine a un’intesa sui punti principali di un accordo, dopo mesi di trattative mediate dagli Stati Uniti. L’inviato speciale USA per la Siria, Tom Barrack, aveva dichiarato martedì che le parti erano prossime a un accordo di «de-escalation».

 

Secondo i termini proposti, Israele avrebbe interrotto i suoi attacchi, mentre la Siria si sarebbe impegnata a non dispiegare macchinari o equipaggiamenti pesanti vicino al confine israeliano. Una zona demilitarizzata avrebbe incluso la provincia di Sweida, dove centinaia di drusi sono stati uccisi negli ultimi mesi.

 

I negoziati si svolgono mentre il presidente ad interim siriano, Ahmed al-Sharaa (precedentemente noto come il terrorista jihaddista al-Jolani, che ha guidato la rimozione di Assad, ha compiuto una visita storica a New York per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Al-Jolani ha espresso la speranza di raggiungere un accordo di sicurezza, sottolineando che Damasco non sta «creando problemi a Israele». «Siamo noi ad avere paura di Israele, non il contrario», ha affermato.

 

Sharaa-Jolani ha anche ridimensionato le possibilità di un accordo storico che preveda il riconoscimento di Israele da parte della Siria.

 

Lo Stato Ebraico, che ospita una minoranza drusa di 120.000 persone i cui uomini servono nell’esercito israeliano, ha dichiarato di voler proteggere i drusi in Siria, giustificando i suoi attacchi militari con la necessità di difenderli.

 

Come riportato da Renovatio 21, Israele arma e finanziai combattenti drusi nella Siria meridionale.

 

Come riportato da Renovatio 21, ad agosto era stato riportato che Siria ed Israele stavano tenendo colloqui inediti a Parigi, mediati dagli Stati Uniti. Due mesi fa al-Jolani aveva lasciato capire che potrebbe rinunciare alla rivendicazione di sovranità del Paese sulle alture del Golan occupate da Israele in cambio della normalizzazione dei rapporti con lo Stato Ebraico.

 

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Immagine di Israel Defense Forces via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

 

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Geopolitica

La Cina testerà la rotta rapida artica verso l’Europa

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La Cina si appresta a inaugurare una nuova rotta marittima lungo la costa settentrionale russa, attraverso l’Artico, diretta verso l’Europa. Lo riporta Politico.   La Rotta del Mare del Nord (NSR), che si snoda per migliaia di chilometri nelle acque artiche lungo la costa settentrionale della Russia, è diventata più praticabile grazie allo scioglimento dei ghiacci marini ed è stata accolta a Mosca come un’opportunità per nuovi progetti internazionali.   Il 20 settembre, la Cina invierà la nave portacontainer Istanbul Bridge, accompagnata da rompighiaccio, per un viaggio di 18 giorni dal porto di Ningbo-Zhoushan a Felixstowe, nel Regno Unito. Questa rotta è notevolmente più veloce rispetto alle tratte tradizionali, che richiedono circa 40 giorni attraverso il Canale di Suez, 50 giorni passando per il Capo di Buona Speranza, all’estremità meridionale dell’Africa, e circa 25 giorni tramite le ferrovie eurasiatiche.   «L’Artico è la prima regione in cui il cambiamento climatico sta ridefinendo la mappa geopolitica», ha dichiarato a Politico Malte Humpert dell’Arctic Institute, sottolineando che la regione sta «modificando le dinamiche geopolitiche grazie alle risorse e all’accesso alle rotte di navigazione».   Humpert ha osservato che, nonostante la maggior parte del commercio globale passi ancora attraverso il Canale di Suez, il Mediterraneo e Singapore, l’Artico potrebbe presto diventare un’alternativa, con un percorso più breve di circa il 40% e «molta meno incertezza geopolitica».

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Queste osservazioni arrivano in un contesto in cui rotte tradizionali come il Canale di Suez affrontano problemi come l’aumento della pirateria vicino al Corno d’Africa e attacchi con missili e droni nel Mar Rosso, spingendo alcune navi a deviare verso l’Africa.   La Russia ha più volte sollecitato una cooperazione internazionale per lo sviluppo dell’Artico. All’inizio di quest’anno, il presidente russo Vladimir Putin ha illustrato gli obiettivi per la regione, tra cui rendere la Rotta del Mare del Nord un elemento chiave del Corridoio di Trasporto Transartico e incrementare i volumi di carico a 70-100 milioni di tonnellate entro la fine del decennio.   Putin ha anche annunciato piani per garantire la navigazione tutto l’anno, supportata dall’esclusiva flotta di rompighiaccio nucleari russi, oltre a espandere i porti esistenti, come Murmansk, e costruirne di nuovi lungo la rotta, sottolineando le enormi opportunità di estrazione di petrolio, gas, metalli e terre rare nell’Artico, promuovendo joint venture con partner stranieri come Cina, India, Emirati Arabi Uniti e altri. Putin si è anche impegnato a sviluppare le città artiche e a incentivare il turismo nella regione.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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