Politica
«Nessun perdono»: Maduro arresta 2.000 manifestanti venezuelani e promette «la massima punizione»

Le manifestazioni post-elettorali in Venezuela continuano mentre aumenta la pressione contro il contestato presidente Nicolas Maduro, che ha mantenuto fermamente la sua posizione tra le continue richieste di pubblicare i dettagli del voto delle elezioni generali del 28 luglio. Nelle strade, gli scontri tra le forze di sicurezza venezuelane e i manifestanti hanno causato almeno 20 morti, secondo Human Rights Watch.
Il 3 agosto, Maduro ha annunciato che sono stati effettuati 2.000 arresti di civili e ha denunciato coloro che contestano la sua amministrazione.
«Questa volta non ci sarà perdono», ha detto Maduro durante un raduno di sabato dei suoi sostenitori a Caracas. «Abbiamo catturato 2.000 prigionieri e da lì andranno a Tocoron e Tocuyito [due prigioni venezuelane, ndr], massima punizione, giustizia».
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Durante quella che i sostenitori di Maduro hanno definito una «grande marcia nazionale per la difesa della pace», gli alleati del contestato capo di Stato si sono radunati fuori dal palazzo presidenziale di Miraflores mentre Maduro pronunciava un discorso infuocato che condannava le proteste guidate dall’opposizione.
Maduro ha chiesto l’arresto della leader dell’opposizione Maria Corina Machado e del candidato presidenziale Edmundo Gonzalez per «frode elettorale» e ha chiesto una condanna penale da 15 a 30 anni di carcere. Le autorità giudiziarie di Caracas avrebbero emesso un mandato di arresto per Machado il 31 luglio per aver contestato l’accuratezza dei risultati elettorali e aver incoraggiato i manifestanti.
In ogni caso, i dimostranti mantengono la loro posizione dopo una settimana di proteste, affermando di credere che ci siano prove che dimostrino che Gonzalez ha vinto le elezioni generali del 28 luglio.
In piedi su un camion circondato da altri membri della più grande coalizione anti-Chavez del Paese, la Piattaforma Democratica Unitaria, Machado è comparso sabato davanti a una folla di sostenitori dell’opposizione per incoraggiare i venezuelani a lottare per l’integrità delle elezioni nel Paese.
Después de 6 días de brutal represión, creyeron que nos iban a callar, a parar o atemorizar… miren la respuesta.
Hoy, la presencia de que cada ciudadano en las calles de Venezuela demuestra la magnitud de la fuerza cívica que tenemos y la determinación de llegar hasta el… pic.twitter.com/O8u4EDcsSR
— María Corina Machado (@MariaCorinaYA) August 3, 2024
«Dopo 6 giorni di brutale repressione, pensavano di zittirci, fermarci o intimidirci… guarda la risposta», ha pubblicato Machado insieme a un video della manifestazione dell’opposizione sulla piattaforma di social media X.
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«Oggi, la presenza di ogni cittadino nelle strade del Venezuela dimostra la grandezza della forza civica che abbiamo e la determinazione ad arrivare fino in fondo», ha detto Machado.
Anche il candidato alla presidenza Gonzalez si è rivolto ai social media per mostrare il suo sostegno ai manifestanti e alle richieste di risultati elettorali trasparenti.
«Oggi, il Venezuela unito è uscito, senza paura, in pace e con la famiglia, per chiedere rispetto per la sua decisione alle urne. Faremo in modo che la vostra decisione venga rispettata e inizieremo la re-istituzionalizzazione del Venezuela», ha affermato Gonzalez sul suo account X.
Los venezolanos expresaron claramente su voluntad el 28 de julio con nuestro triunfo electoral.
Hoy Venezuela unida salió, sin miedo, en paz y en familia, a exigir se respete su decisión en las urnas.
Lograremos que su decisión sea respetada e iniciaremos la… pic.twitter.com/li1b24rtT7
— Edmundo González (@EdmundoGU) August 3, 2024
Le manifestazioni post-elettorali del Venezuela giungono in un momento in cui la difesa del «chavismo», dal nome dell’ex presidente socialista Hugo Chavez, ha toccato il minimo storico. Nei mesi che hanno preceduto le elezioni presidenziali, Maduro ha perso un sostegno fondamentale tra gli elettori che sono stati storicamente fedeli al radicato partito socialista del Paese, scrive la testata statunitense Epoch Times.
Gran parte di ciò è dovuto alla crisi economica senza precedenti che è giunta al culmine da quando Maduro è diventato presidente nel 2013. Il PIL del Venezuela si è contratto di oltre il 75% tra il 2013 e il 2021, secondo il Fondo Monetario Internazionale. Rappresenta il più grande crollo economico per una nazione non in guerra in quasi cinque decenni.
Ciò, a sua volta, ha innescato un esodo di oltre 7 milioni di venezuelani dal 2014, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
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Gli Stati Uniti sono tra le sempre più numerose voci internazionali, tra cui figurano Brasile, Messico, Colombia, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito, che stanno facendo pressione su Maduro affinché pubblichi i dettagli del voto elettorale.
«Il desiderio di libertà e democrazia del popolo venezuelano è ammirevole. Il recente processo elettorale, che il narco-dittatore Maduro afferma fraudolentemente di aver vinto, è stata una testimonianza della tenacia dello spirito venezuelano», ha affermato Rubio in un comunicato stampa.
Il giorno seguente, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha chiamato Gonzalez e Machado per congratularsi con il candidato dell’opposizione per aver «ricevuto il maggior numero di voti alle elezioni presidenziali del 28 luglio in Venezuela, come documentato dagli sforzi compiuti dall’opposizione democratica per garantire una contabilità trasparente dei voti».
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Immagine screenshot da Twitter
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Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

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Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.
A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.
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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.
Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.
Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.
Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.
Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.
Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.
Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.
L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.
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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.
Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.
Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.
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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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