Connettiti con Renovato 21

Politica

«Nel continente nero» Kagame rieletto con il 99,18% dei voti. Le battute nascondono una realtà oscura, che riguarda anche l’Italia

Pubblicato

il

Il presidente Paul Kagame, del partito al governo Fronte Patriottico Ruandese (RPF), è stato rieletto con il 99,18% dei voti, ha annunciato giovedì la Commissione Elettorale Nazionale (NEC).

 

Il presidente 66enne di etnia vatussa estenderà il suo governo nel paese dell’Africa orientale, ottenendo un margine di vittoria ancora più ampio rispetto alle precedenti elezioni presidenziali di sette anni fa, in cui ottenne il 98,79% dei voti.

 

Secondo quanto riportato dalla NEC, Frank Habineza, leader del Partito Verde Democratico, ha ottenuto solo lo 0,5% dei voti, mentre il candidato indipendente Philippe Mpayimana ne ha ricevuti lo 0,32%.

Iscriviti al canale Telegram

Entrambi gli avversari si sono presentati nel 2017, quando hanno ottenuto meno dell’1% dei voti tra loro. Altri otto candidati, tra cui alcuni dei più accaniti critici di Kagame, sono stati squalificati dalle elezioni per vari motivi, come precedenti condanne penali e documenti di registrazione mancanti o incompleti.

 

Oltre 9 milioni di persone, tra cui 2 milioni di elettori alle prime armi, si sono registrate per le elezioni. Dopo aver ottenuto 8,82 milioni di voti, il vatusso estenderà il suo governo per altri cinque anni, dopo che un emendamento costituzionale del 2015 ha ridotto il mandato presidenziale da sette anni. Durante una conferenza stampa, Oda Gasinzigwa, presidente del NEC, ha annunciato che l’affluenza alle urne è stata del 98,20%.

 

Kagame è il capo ufficiale dello Stato dal 2000, dopo aver ricoperto il ruolo di leader de facto dal 1994. Nelle ultime tre elezioni (2003, 2010 e 2017) ha ottenuto oltre il 90% dei voti. Per la prima volta, la corsa presidenziale si è tenuta contemporaneamente alle elezioni legislative. Il RPF è in testa alle elezioni parlamentari del 15 luglio, raccogliendo oltre il 68% dei voti, ha annunciato Gasinzigwa.

 

Il Partito Liberale ha ricevuto l’8,66% dei voti, il Partito Socialdemocratico l’8,62%, il Partito Verde Democratico del Ruanda il 4,56%, il Partito Democratico Ideale il 4,61% e il PS-Imberakuri il 4,51%. I risultati finali delle elezioni dovrebbero essere annunciati entro il 27 luglio. Secondo il NEC, più di 1.100 osservatori locali e internazionali sono stati autorizzati a osservare le elezioni.

 

Il voto ha avuto luogo in un momento di crescente tensione con la Repubblica Democratica del Congo, che ha accusato il Ruanda di sostenere il gruppo ribelle M23, un’accusa che il Ruanda nega.

 

Le elezioni seguono anche il fallimento dell’accordo con il Regno Unito sull’espulsione dei richiedenti asilo, abbandonato dal neo-nominato primo ministro Keir Starmer dopo la vittoria del partito laburista del 4 luglio.

 

La notizia della rielezione nello sparuto Paese africano aveva avuto eco anche in Italia, soprattutto per un titolo pubblicato dall’agenzia ANSA: «Kagame in testa col 99,15% dei voti alle presidenziali», poi cambiato probabilmente dopo lo scherno che correva sul social.

 

 

Sostieni Renovatio 21

Il nome, di fatto si presta bene ad essere scherzato. Questo articolo, ad esempio, presenta una foto che può intitolarsi «Kagame al World Economic Forum» o «Kagame a Davos». Ci rendiamo conto nondimeno che tali titoli non hanno la forza di «Kagame in testa», che rimane un capolavoro immutabile, scolpito nel tempo.

 

Altre questioni linguistiche si fanno qui avanti.

 

Kagame è un tutsi, ma per paura della possibile subitanea associazione con «gli altissimi negri» della immortale canzone del 1963 cantata da Edoardo Vianello – allora il termine di etimo latino poteva utilizzarsi, oggidì, per qualche ragione, no – la stampa italiana rifiuta di chiamarlo con la parola specifica che la nostra lingua ha per quella etnia, cioè vatusso.

 

 

Kagame è a tutti gli effetti un vatusso, e di fatto misura 188 centimetri. Nessuno ha pensato quindi di fare una battuta che comprendesse il titolo ANSA «Kagame in testa» e l’altezza dell’eterno presidente ruandese.

 

Tuttavia, oltre agli scherzi, c’è una realtà più oscura da tenere presente.

 

Il Ruanda, sotto il governo del vatusso Kagame, è Paese che ancora oggi affronta grandi controversie, come il fatto di essere divenuta meta per l’espulsione degli immigrati in Gran Bretagna.

 

In un anno fa si sono registrati nel Paese agghiaccianti episodi di vaccinazione forzata nei villaggi con violenze perpetrate dalle autorità a chi si opponeva alle iniezioni COVID-19, gentilmente offerte agli africani dalle organizzazioni internazionali finanziate da Gates.

 

L’uomo forte di Kigali è coinvolto anche in una strana, incredibile storia di eco internazionale: il rapimento del dissidente ruandese, internazionalmente noto per il film hollywoodiano Hotel Rwanda, che raccontava il suo ruolo nel salvare molti dal genocidio hutu del 1994. I servizi di Kagame lo avrebbero attirato fuori dagli USA, doveva viveva in esilio, fingendo di essere emissari di un movimento di un altro Paese africano, per farlo poi atterrare in Ruanda dove sarebbe stato arrestato. Sul caso ci fu un pesante reportage del New York Times,

 

Lo stesso Kagame è stato accusato dal missionario comboniano padre Filippo Ivardi Ganapini di essere implicato nel barbaro assassinio dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio. Secondo il sacerdote, il presidente ruandese Kagame avrebbe interessi in Congo proprio riguardo le risorse minerarie. «La sua ipotesi risulterebbe “corroborata da tante testimonianze” aggiungendo che un’operazione come quella dell’uccisione di Attanasio sarebbe stata “autorizzata” dall’alto», aveva scritto il quotidiano La Verità.

 

«In tal senso – questa la tesi del missionario – ad agire sarebbero stati i servizi segreti ruandesi, su ordinde dello stesso Kagame».

 

Kagame, nonostante tutta questa massa oscura finita pure sui giornali occidentali, rimane il cocco della comunità internazionale a guida USA. Fino a quando, non sappiamo: tuttavia abbiamo idea di cosa cominceranno a dire quando non servirà più o si farà amico di Mosca come stanno facendo gli Stati del Sahel: il materiale è già tanto che pure esce da sotto il tappeto.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic

 

 

 

 

 

Continua a leggere

Politica

La nuova presidente irlandese è NATO-scettica e contraria alla militarizzazione dell’UE

Pubblicato

il

Da

Catherine Connolly, candidata indipendente e storica sostenitrice della neutralità militare irlandese, nota per le sue critiche all’espansione della NATO e alla militarizzazione dell’UE, ha trionfato nelle elezioni presidenziali irlandesi con una vittoria schiacciante.   Mentre lo spoglio dei voti era ancora in corso, la principale avversaria, Heather Humphreys, ha riconosciuto la sconfitta, vedendosi superata con un ampio margine. I risultati preliminari indicavano Connolly al 63% dei voti contro il 29% di Humphreys. «Catherine sarà una presidente per tutti e sarà anche la mia presidente», ha dichiarato Humphreys ai media.   Il primo ministro irlandese Micheal Martin ha formalmente congratulato Connolly, definendo la sua vittoria «molto netta».

Iscriviti al canale Telegram

Pur essendo indipendente, Connolly, 68 anni ed ex sindaco di Galway, ha ricevuto il sostegno dei principali partiti di sinistra, tra cui Sinn Féin e Labour. Il suo successo è stato attribuito in gran parte alla capacità di attrarre il voto dei giovani, grazie a un’efficace campagna sui social media e a una forte risonanza in un contesto di crescente malcontento per la crisi abitativa e il costo della vita in Irlanda.   Durante la campagna, Connolly ha ribadito l’importanza della neutralità irlandese, criticando l’UE per il suo orientamento verso la militarizzazione a discapito del welfare. Pur esprimendo critiche alla Russia per il conflitto ucraino, ha sostenuto che il ruolo «bellicoso» della NATO abbia contribuito alla crisi.   Il mese scorso, durante un dibattito all’University College di Dublino, Connolly ha paragonato l’attuale impegno della Germania nel rilanciare la propria economia attraverso il «complesso militare-industriale» al riarmo degli anni Trenta sotto il nazismo, affermando: «Vedo alcuni parallelismi con gli anni Trenta».   Sebbene il ruolo del presidente in Irlanda, una democrazia parlamentare, sia principalmente simbolico, esso comporta poteri significativi, come la possibilità di deferire leggi alla Corte Suprema per verificarne la costituzionalità e di sciogliere la Camera Bassa del Parlamento, convocando nuove elezioni in caso di perdita della fiducia da parte di un primo ministro.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine diHouses of the Oireachtas via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Continua a leggere

Politica

Il presidente romeno fischiato per il sostegno all’Ucraina

Pubblicato

il

Da

Il presidente rumeno Nicusor Dan è stato contestato per il suo sostegno all’Ucraina durante un evento commemorativo tenutosi venerdì.

 

Decine di manifestanti hanno espresso il loro dissenso quando Dan è giunto al Teatro Nazionale di Iasi per partecipare a una celebrazione storica, come riportato dall’emittente locale Digi24.

 

Un video mostra Dan scendere dall’auto e salutare i manifestanti, che gridavano «Vergogna!» e «Vai in Ucraina!».

 


Aiuta Renovatio 21

Secondo il quanto riportato, le proteste sono continuate anche dopo l’evento, al momento dell’uscita del presidente dal teatro.

 

Come riportato da Renovatio 21i, Dan, politico favorevole all’UE, è salito al potere quest’anno dopo una controversa ripetizione delle elezioni, in seguito all’annullamento della vittoria iniziale del candidato conservatore Calin Georgescu, critico esplicito della NATO e delle forniture di armi occidentali all’Ucraina. Georgescu è stato successivamente escluso dalla competizione elettorale e affronta accuse di aver pianificato un colpo di Stato, tanto da essere arrestato.

 

Georgescu, che ha sempre avuto il favore di migliaia e migliaia di manifestanti pronti a scendere in piazza, ha definito la UE «una dittatura». Di contro, Bruxelles ha rifiutato di commentare l’esclusione del candidato dalle elezioni rumene. A inizio anno Georgescu aveva chiesto aiuto al presidente americano Donaldo Trump.

 

Georgescu aveva definito Zelens’kyj come un «semi-dittatore», accusando quindi la NATO di voler utilizzare la Romania come «porta della guerra».

 

Il CEO di Telegram Pavel Durov aveva parlato di pressioni su di lui da parte della Francia per influenzare le elezioni presidenziali in Romania.

 

Il Dan ha ribadito il suo impegno a sostenere l’Ucraina. La Romania ha già destinato 487 milioni di euro a Kiev, principalmente in aiuti militari, dall’intensificarsi del conflitto nel 2022, secondo i dati del Kiel Institute tedesco.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia riprodotta secondo indicazioni.

Continua a leggere

Politica

I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi

Pubblicato

il

Da

Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.   Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.   Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.   «Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».  

Iscriviti al canale Telegram

Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.   «L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.   Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.   L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.   A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.   Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.   Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.     Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da YouTube
 
Continua a leggere

Più popolari