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Politica

Morte di Jean-Marie Le Pen

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Jean-Marie Le Pen, notissimo fondatore del partito francese Front National (ora denominato Rassemblement National), è morto all’età di 96 anni in una struttura di cura «circondato dai suoi cari», ha affermato la sua famiglia in una dichiarazione citata dalla stampa francese.

 

Nato nel 1928 da un pescatore e una sarta, Le Pen ha svolto numerose occupazioni nel corso della sua vita, tra cui pescatore, minatore in acque profonde e perito immobiliare. Si è anche offerto volontario per il reggimento paracadutisti della Legione straniera francese due volte ed è stato coinvolto nel conflitto di Suez nel 1956 e nella guerra d’Algeria del 1957.

 

Iniziò la sua carriera politica negli anni ’50 e fu eletto due volte all’Assemblea nazionale francese tra il 1956 e il 1962 prima di fondare il suo partito, il Front National, nel 1972.

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Le Pen si è candidata alla presidenza della Francia anche nel 1974, 1988, 1995, 2002 e 2007, arrivando seconda nel 2002 con quasi il 18% dei voti.

 

Nel 1984, il politico vinse un seggio al Parlamento Europeo e fu rieletto sistematicamente per quasi due decenni fino al 2003. Poi tornò alla legislatura europea nel 2004 e mantenne il suo seggio fino al 2019.

 

Come molti personaggi di destra, era stato plurime volte crocifisso per le posizioni anti-immigrazione e, immancabile, per mancato rispetto del concetto di Olocausto.

 

Giammaria non nascondeva le simpatie per maresciallo Philippe Petain, capo del regime collaborazionista della Francia di Vichy durante la seconda guerra mondiale.

 

Il veterano politico ha consegnato le redini del partito a sua figlia, Marine Le Pen, nel 2011 e ne è diventato il presidente onorario.

 

La rottura con la figlia, e il partito, fu risonante. Marine Le Pen disse che suo padre stava «commettendo un suicidio politico» con le sue osservazioni su ebrei, migranti, minoranze sessuali e su altre questioni. Jean-Marie rispose dicendo che non avrebbe votato per sua figlia alle elezioni presidenziali del 2017.

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Marine Le Pen ha preso le distanze da sé e dal suo partito dalle opinioni più estreme del padre e ha rinominato il Fronte Nazionale come Rassemblement National nel 2018. Il Rassemblement National e i suoi alleati detengono attualmente un totale di 89 seggi nell’Assemblea nazionale francese, il che lo rende il secondo gruppo di opposizione più grande in parlamento dopo la coalizione di sinistra del Nuovo Fronte Popolare.

 

È poco noto che Jean-Marie fu amicissimo di Marco Pannella, e diceva di stimarlo enormemente. Qualcuno anni fa ha raccontato ai giornali che se andavi a casa di Pannella a Roma poteva anche capitarti di trovarci ebbro il Le Pen, che in anni recenti aveva pure protestato per la fine dei finanziamenti pubblici a Radio Radicale.

 

Le Pen sfiorò la presidenza arrivando al ballottaggio per le presidenziali contro Chirac nel 2002. Da allora, in tante occasioni, il FN-RN arrivò con la figlia Marine a giocarsi l’elezione finale a presidente, fallendo però sempre.

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Immagine di Gauthier Bouchet via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported 

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Politica

Brigitta Macron contro le femministe: «stupide stronze»

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La moglie del presidente francese Emmanuel Macron, Brigitte, ha provocato un’ondata di indignazione dopo aver definito le manifestanti femministe «salles connes», cioè «stupide stronze».   All’inizio di questa settimana è emerso un video (poi cancellato) in cui la first lady francese, domenica scorsa, chiacchierava in privato nel backstage con l’attore e comico ebreo sefardita Ary Abittan, in passato accusato di stupro. L’artista 51enne era in tournée per la prima volta dopo che i giudici istruttori avevano archiviato il caso per mancanza di prove.   La sera precedente, il collettivo femminista Nous Toutes («Tutte noi») aveva fatto irruzione nel suo spettacolo di cabaret: alcune attiviste, con maschere raffiguranti il volto dell’attore e la scritta «stupratore», si erano alzate in mezzo al pubblico gridando «Abittan stupratore» prima di essere accompagnate fuori.   Nel video trapelato, Abittan scherza sul fatto di sentirsi ancora nervoso, probabilmente temendo il ritorno delle manifestanti. Si sente chiaramente Brigitte Macron rispondere in tono scherzoso: «Se ci sono delle stupide stronze, le cacceremo via».   Martedì un portavoce dell’Eliseo ha spiegato che la first lady stava solo cercando di tranquillizzare l’attore e che il suo commento era diretto unicamente ai metodi radicali usati per interrompere lo spettacolo.

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Nonostante la precisazione, le reazioni sono state immediate e trasversali: politici di tutti gli schieramenti, attivisti e personalità del mondo del cinema hanno condannato le parole.   La segretaria nazionale dei Verdi, Marine Tondelier, le ha definite «estremamente gravi»; la senatrice LR Agnès Evren le ha giudicate «profondamente sessiste». Persino l’ex presidente François Hollande ha criticato la scelta lessicale della first lady. L’attrice Judith Godrèche, divenuta simbolo della lotta contro le violenze sessuali nel cinema francese dopo aver denunciato abusi subiti da minorenne, ha chiesto la fine di questi comportamenti nel settore culturale e ha pubblicato un breve messaggio su Instagram contro le dichiarazioni di Brigitte Macron. Il collettivo Nous Toutes ha poi trasformato la frase in un hashtag virale sui social.   Brigitta Macron era già finita al centro dell’attenzione nei mesi scorsi per una lunga vicenda giudiziaria legata alle teorie complottiste che la descrivono come transgender. Una sentenza di quest’anno ha condannato e multato le due donne che avevano diffuso la falsa notizia, riaccendendo il dibattito sulle molestie online contro le figure pubbliche.   Il caso aveva avuto risonanza internazionale dopo che la commentatrice americana Candace Owens ne aveva ripreso le accuse, per poi dichiarare che i Macron avessero ordinato il suo assassinio.   Come riportato da Renovatio 21, Macron aveva chiesto personalmente a Trump di intercedere con la Owens per farla smettere di parlare dell’incredibile teoria per cui la Brigitta sarebbe nata uomo.  

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Immagine di Mélanie Praquin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Trump: Zelens’kyj deve indire le elezioni

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Il presidente statunitense Donald Trump ha invitato l’Ucraina a convocare elezioni, mettendo in dubbio le autentiche prerogative democratiche del Paese in un’intervista a Politico diffusa martedì.

 

Trump ha lanciato una nuova provocazione a Volodymyr Zelens’kyj, il cui quinquennio presidenziale è terminato a maggio 2024, ma che ha declinato di indire consultazioni elettorali presidenziali, invocando la legislazione di emergenza bellica.

 

Lo Zelens’kyj era stato scelto alle urne nel 2019 e, a dicembre 2023, ha annunciato che Kiev non avrebbe proceduto a elezioni presidenziali o legislative fintantoché perdurasse lo stato di guerra. Tale regime è stato decretato in seguito all’acutizzazione dello scontro con la Russia a febbraio 2022 e, da allora, è stato prorogato più volte dall’assemblea nazionale.

 

Trump ha dichiarato a Politico che la capitale ucraina non può più addurre il perdurante conflitto come pretesto per rinviare il suffragio. «Non si tengono elezioni da molto tempo», ha dichiarato Trump. «Sai, parlano di democrazia, ma poi si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».

 

Rispondendo a un quesito esplicito sull’opportunità di un voto in Ucraina, Trump ha replicato «è il momento» e ha insistito che si tratta di «un momento importante per indire le elezioni», precisando che, pur «stiano usando la guerra per non indire le elezioni», gli ucraini «dovrebbero avere questa scelta».

 

Come riportato da Renovatio 21, il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha spesse volte dichiarato di considerare illegittimo il governo di Kiev, sostenendo quindi per cui firmare un accordo di pace con esso non avrebbe vera validità.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Tentativo di colpo di Stato in Benin

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Un gruppo di militari del Benin, paese dell’Africa occidentale, ha proclamato la propria ascesa al potere attraverso la tv di stato SRTB. Tuttavia, diverse fonti hanno indicato che un assalto alla residenza presidenziale è fallito.   I soldati hanno sfruttato la rete televisiva per annunciare la sospensione delle istituzioni nazionali e della Costituzione beninese, ordinando la chiusura di tutte le frontiere aeree, terrestri e marittime. Hanno designato il tenente colonnello Pascal Tigri come presidente del Comitato Militare per la Rifondazione (CMR), «a partire da oggi». In seguito, il segnale del canale è stato tagliato.   Il ministro degli Esteri del Benin, Olushegun Adjadi Bakari, ha riferito all’agenzia Reuters che «un piccolo gruppo» di militari ha orchestrato un tentativo di golpe, ma le truppe leali al presidente Patrice Talon sono al lavoro per ristabilire la normalità. «C’è un tentativo in corso, ma la situazione è sotto controllo… La maggior parte dell’esercito rimane fedele e stiamo riprendendo il dominio della faccenda», ha precisato.   Il governo ha poco fa diffuso un video in lingua francese per spiegare l’accaduto. A parlare è Sig. Alassane Seidou, ministro dell’Interno e della Pubblica Sicurezza del Paese.  

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«Cari concittadini, Nelle prime ore del mattino di domenica 7 dicembre 2025, un piccolo gruppo di soldati ha scatenato un ammutinamento con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato e le sue istituzioni. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica».   «La loro risposta ha permesso loro di mantenere il controllo della situazione e di sventare la manovra. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica. Pertanto, il Governo invita la popolazione a continuare a svolgere le proprie attività come di consueto».   A Cotonou, la principale città del Benin, si sono sentiti spari sin dalle prime ore di domenica, sebbene le voci di un colpo di stato non siano ancora verificate, ha dichiarato Maxim Meletin, portavoce dell’ambasciata russa nel paese africano, all’agenzia African Initiative.   «Dalle 7 del mattino, abbiamo rilevato colpi d’arma da fuoco e detonazioni di granate nei dintorni della residenza presidenziale. Stando a indiscrezioni non confermate, militari beninesi si sono presentati alla tv nazionale per proclamare la destituzione del presidente», ha proseguito Meletin.   Una fonte vicina a Talon, interpellata da Jeune Afrique, ha raccontato che uomini in divisa hanno provato a irrompere nella residenza presidenziale intorno alle 6 del mattino ora locale, con il capo dello Stato ancora all’interno. L’incursione sarebbe stata sventata dalle guardie di sicurezza, e il presidente sarebbe illeso.   Tuttavia, questi dettagli non hanno ricevuto conferme indipendenti da canali ufficiali. Unità dell’esercito fedeli al regime in carica hanno risposto con una controffensiva. Si parla di elicotteri che pattugliano Cotonou, mentre varie zone del centro urbano risultano bloccate.   Talon è al timone del Benin dal 2016; il suo secondo e ultimo mandato scadrà nel 2026. La Carta Costituzionale ammette soltanto due quinquenni presidenziali, e le urne per il dopo-Talon sono in programma il 12 gennaio 2026.   Nell’agosto 2025, la maggioranza al governo ha sostenuto la corsa alla presidenza del ministro dell’Economia e delle Finanze, Romuald Wadagni.

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