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Mons. Strickland: i commenti di Papa Francesco secondo cui tutte le religioni sono vie per raggiungere Dio sono «eresia»

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Renovatio 21 pubblica la traduzione di uno scritto di monsignor Joseph Strickland apparso su LifeSiteNews.

 

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

 

«Ti adoriamo, o Cristo, e ti lodiamo, perché con la tua Santa Croce hai redento il mondo». Questa preghiera familiare offerta come parte delle Stazioni della Croce è familiare ai cattolici, e a ragione. Esprime in modo succinto la nostra fede e l’unica realtà di Gesù Cristo, il Divino Figlio di Dio, come unico Salvatore di tutta l’umanità.

 

Siamo obbligati ad adorare e lodare Gesù Cristo perché è il Figlio di Dio e perché ha portato la salvezza al nostro stato decaduto. Dobbiamo aggrapparci tenacemente alla verità che solo Gesù Cristo è il Salvatore e che ha vissuto, sofferto, è morto ed è risorto per tutta l’umanità per sempre. Il suo amorevole sacrificio della Sua stessa vita per redimerci è il più grande dono che l’umanità abbia mai ricevuto.

 

Questa semplice preghiera esprime il nocciolo della nostra fede che siamo obbligati a proclamare al mondo se desideriamo vivere come suoi discepoli. La Chiesa esiste per proclamare questa Verità al fine di indicare alla famiglia umana, da ogni nazione e razza, i mezzi della nostra salvezza. Non c’è altro nome con cui possiamo essere salvati, e nessun altro movimento, religione o sforzo umano ci salverà. Solo Cristo è il nostro Salvatore. Possiamo davvero guadagnare il mondo intero e ritrovarci comunque perduti se non abbracciamo Gesù Cristo e la sua Croce.

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Mentre leggete questo, posso immaginare che la vostra reazione potrebbe essere che io stia semplicemente affermando l’ovvio esprimendo il kerygma di base della nostra gloriosa fede in Gesù Cristo, il nostro amorevole Signore e Redentore, e avete ragione. Ma dobbiamo aprire gli occhi alla realtà che troppi all’interno della Chiesa, il Corpo Mistico di Cristo, stanno rifiutando questa espressione più basilare della nostra fede e, di fatto, stanno rifiutando Gesù Cristo stesso.

 

Dobbiamo anche riconoscere che i leader della Chiesa di rango più elevato stanno conducendo il mondo non verso Gesù Cristo, ma lontano da lui.

 

Papa Francesco, parlando di recente a un gruppo di giovani a Singapore, ha rilasciato questa affermazione:

 

«Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso. E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “La mia religione è più importante della tua…”, “La mia è quella vera, la tua non è vera…”. Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: “La distruzione”]. È così. Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini».

 

Questa affermazione è un’eresia teologica, chiamata indifferentismo. L’indifferentismo sostiene che tutte le religioni hanno lo stesso valore e tutte conducono alla stessa verità divina. Ciò contraddice direttamente la dottrina della Chiesa secondo cui esiste una sola vera fede e che la Chiesa cattolica è l’unica via per la salvezza.

 

Sebbene la tolleranza e la libertà religiosa siano importanti, noi nella Chiesa dobbiamo difendere la nostra fede con convinzione e condividere la verità con certezza. Come disse Gesù, «Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me». (Gv 14,6)

 

Nel 1928, papa Pio XI discusse l’indifferentismo nella sua enciclica papale Mortalium Animos. Ha dichiarato:

 

«Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio».

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Papa Gregorio XVI nella sua enciclica papale Mirari Vos (1832) condannò l’idea che si potesse raggiungere la salvezza in qualsiasi religione. Papa Pio IX nel Sillabo degli errori (1864) condannò la proposizione che «è libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera».

 

Ho spesso, in varie occasioni, espresso la mia profonda preoccupazione per il verificarsi di eresie e l’atmosfera di apostasia che emana dal Vaticano a Roma, ma ora devo porre questa domanda: «Dov’è il grido dei pastori? Dove sono il coraggio e la convinzione per difendere la nostra fede?»

 

Quando papa Pio X era preoccupato che il Modernismo avrebbe unito la Chiesa al mondo con la sua enfasi sull’umanesimo, ordinò che ogni vescovo desse la caccia a questa eresia e la schiacciasse, e richiese un giuramento come prerequisito per ricevere gli Ordini Sacri, che rimase in vigore fino al 1978.

 

Una volta, quando a papa Pio X fu chiesto se avrebbe dovuto adottare un tono più conciliatorio e forse cercare più dialogo, affermò: «Vogliono essere trattati con olio, sapone e carezze, ma devono essere battuti con i pugni! In un duello non conti o misuri i colpi, colpisci come puoi! La guerra non è fatta con la carità, è una lotta, un duello».

 

Papa Pio X vide l’estremo pericolo nel permettere all’eresia di rimanere incontrastata e non corretta, poiché l’eresia incontrollata porterà sicuramente molte anime lontano da Cristo e lontano dalla pienezza della fede vera e autentica, che si trova e si salvaguarda nella sua interezza solo nella Chiesa cattolica. E quindi, chiedo di nuovo: «Dov’è il grido dei pastori?»

 

Ritengo inoltre di fondamentale importanza in questo momento richiamare l’attenzione su importanti fonti di eresia e apostasia oltre a quelle provenienti dal Vaticano. Stiamo davvero vedendo cardinali opporsi a cardinali e vescovi opporsi a vescovi, ma per quanto questo sia devastante, dobbiamo notare che stiamo anche vedendo francescani contro francescani, domenicani contro domenicani e gesuiti contro gesuiti.

 

La dura realtà è che il rifiuto assoluto di Gesù Cristo non è un’esclusiva delle aule di Roma. Questo cancro dell’apostasia ha colpito anche coloro che sono nella vita consacrata. In alcuni casi, i leader delle comunità religiose sono stati in prima linea, allontanando questa carica precipitosa da Cristo e dalla Chiesa da Lui fondata.

 

I fondatori di ordini religiosi, come Sant’Ignazio di Loyola e San Francesco d’Assisi, troverebbero la leadership delle loro comunità in questo XXI secolo irriconoscibile e distante dalle comunità da loro fondate. Questi grandi santi non hanno ispirato i loro seguaci a essere assistenti sociali militanti, ma a essere evangelisti che spesso hanno dato la vita a imitazione di Cristo stesso. La grandezza di questi ordini religiosi è sempre stata misurata dalla grandezza della loro devozione a Gesù Cristo e alla Sua missione.

 

Quando fu fondata da Sant’Ignazio nel 1540, la Compagnia di Gesù chiese ai gesuiti di essere missionari e di evangelizzare in tutto il mondo, e lo fecero, fondando scuole e insegnando il Vangelo. Erano educatori e monopolizzarono l’istruzione in Europa per oltre 200 anni. I gesuiti furono fondati appena prima del Concilio di Trento e aiutarono a contrastare lo scisma protestante in tutta l’Europa cattolica. I gesuiti spesso si frapponevano tra gli indigeni e la schiavitù. Gli studiosi gesuiti studiavano le lingue native e producevano grammatiche e dizionari.

 

I gesuiti erano organizzati come un esercito, con una struttura di autorità dall’alto verso il basso, forse perché fin da quando era giovane, Sant’Ignazio voleva essere un soldato. Tuttavia, dopo essere stato ferito e aver avuto il tempo di meditare sulla sua vita, si rese conto che non era una compagnia militare quella che era stato chiamato a reclutare e addestrare, ma piuttosto una compagnia spirituale.

 

Quando Sant’Ignazio fondò la Compagnia, vide chiaramente che il nemico era Lucifero e che le armi del suo esercito avrebbero dovuto essere soprannaturali/spirituali. E bisogna dire che l’organizzazione della Compagnia era esattamente ciò di cui aveva bisogno per combattere la guerra spirituale in corso, poiché nessun altro gruppo si è avvicinato a realizzare ciò che i gesuiti hanno fatto nell’evangelizzazione e nell’istruzione.

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Tutto questo cambiò, tuttavia, negli anni Sessanta, dopo il Concilio Vaticano II. Lasciatemi fermarmi qui per menzionare un’altra cosa che accadde (o meglio, doveva accadere ma non accadde) negli anni Sessanta perché aiuta a chiarire il clima nella Chiesa in quel periodo. La Madonna disse a Suor Lucia Dos Santos, una delle tre veggenti della Madonna di Fatima, che il Terzo Segreto di Fatima sarebbe stato reso pubblico nel 1960, ma non lo fu, e questo, unito al fatto che la Russia non era ancora stata consacrata nel modo richiesto dalla Madonna, dà un’idea della mentalità del Vaticano durante quel periodo.

 

Papa Pio XII si era fortemente opposto al marxismo sovietico, ma con papa Giovanni XXIII, ci fu un approccio «finestre aperte, campi aperti» all’URSS e, di fatto, arrivò al punto di garantire all’URSS l’immunità dagli attacchi della Chiesa. Fu durante il suo papato, naturalmente, che il Terzo Segreto avrebbe dovuto essere rivelato, ma non lo fu, perché sembra che offendere la Russia fosse più preoccupante che eseguire le istruzioni della Nostra Beata Madre. Poi con papa Paolo VI, la politica di placare la Russia continuò, persino al punto di tradire il Primate d’Ungheria.

 

Fu anche in questo periodo che ci fu uno sforzo concertato per spostare la Chiesa da una Chiesa verticale che «guardava a Dio» a una chiesa orizzontale che «guardava al popolo». Sebbene il documento del Concilio Vaticano II sulla liturgia non dicesse nulla sulle posizioni liturgiche, le cose cambiarono comunque anche a questo riguardo, poiché la messa celebrata con il sacerdote rivolto verso il popolo (versus populum) non era comune prima del Vaticano II e, solo pochi anni dopo il Concilio, versus populum era il modo ordinario in cui veniva offerta la messa nella maggior parte del mondo. Sebbene ad orientem non scomparve, rimase quasi invisibile per diversi decenni.

 

E insieme a questo, le cose stavano cambiando nella Compagnia di Gesù. Infatti, con l’elezione del Padre Generale dei Gesuiti Pedro Arrupe nel 1968, ci fu un completo capovolgimento. Divenne presto evidente che i Gesuiti stavano anche immaginando un «nuovo tipo di Chiesa», una Chiesa non con un’autorità centrale, ma con l’autorità nelle mani del «popolo di Dio».

 

La storia della Compagnia dopo quel periodo rivela che molti Gesuiti iniziarono a muovere guerra, non contro Lucifero, ma contro «nemici» in carne e ossa, coloro che vedevano come responsabili di ingiustizia sociale, economica e politica, e sembravano perdere il loro obiettivo di salvare le anime.

 

Anche in questo periodo e in effetti avvolta nei cambiamenti, la teologia della liberazione trovò la sua strada nella Compagnia di Gesù. La teologia della liberazione condivide la fede modernista nell’umanesimo. La teologia della liberazione è una fede che l’oppressione economica, sociale e politica sono peccati e che possono essere sradicati solo quando gli oppressi prendono il controllo. Ai poveri viene detto che devono prendere in mano il proprio destino e che a volte è necessaria la «buona violenza». La salvezza è interpretata in termini di liberazione socio-politica e i suoi sostenitori credono che i poveri siano la fonte per comprendere la verità e la pratica cristiana.

 

Sebbene non tutti i gesuiti abbracciassero questa teologia, l’ordine la favorì nel suo complesso e i gesuiti non solo cessarono di essere «gli uomini del papa», ma divennero in molti modi il nemico del papato. Papa Giovanni Paolo II cercò ripetutamente di frenarli durante il suo papato. Aveva sperimentato la Polonia marxista ed era veementemente contrario a ciò che si stava svolgendo nella Compagnia. Ciò che divenne evidente durante questo periodo, negli scritti e nelle attività dei gesuiti, fu che il loro obiettivo era raggiungere una fratellanza e una sorellanza che fossero un sistema sociopolitico in cui l’autorità non era più vista come basata sul papato ma piuttosto sul «popolo di Dio».

 

L’espressione «teologia della liberazione» fu usata dal Padre Generale Pedro Arrupe nel 1968, e fu resa popolare dal sacerdote peruviano Gustavo Gutierrez, un domenicano e uno dei principali fondatori della teoria della liberazione. Nel 1979, papa Giovanni Paolo II criticò la teologia della liberazione radicale, affermando che «l’idea di Cristo come figura politica, come rivoluzionario, come sovversivo di Nazareth, non coincide con la catechesi della Chiesa».

 

Mentre i governi latinoamericani reagivano con la violenza per reprimere questo movimento, alcuni preti non solo iniziarono a sostenere le rivoluzioni di sinistra, ma alcuni si unirono persino a gruppi ribelli e si impegnarono in una guerriglia. Il movimento si diffuse a El Salvador, Nicaragua, Colombia, etc. Non entrerò nei dettagli di tutto ciò che questo movimento causò o portò avanti in questa lettera. Tuttavia, le regole di obbedienza che Sant’Ignazio scrisse per la Compagnia e che furono scritte con la massima sollecitudine affinché la Chiesa sostenesse il papato sembrarono cambiare radicalmente con la teologia della liberazione, poiché questo sistema era un movimento «dal basso verso l’alto».

 

Nel marzo 1983, il cardinale Joseph Ratzinger (in seguito papa Benedetto XVI), capo della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) del Vaticano, accusò padre Gutierrez di interpretare politicamente la Bibbia sostenendo il messianismo temporale, affermando che la predominanza dell’ortoprassi sull’ortodossia dimostrava un’influenza marxista. Riguardo alla teologia della liberazione, dichiarò: «il “popolo” è l’antitesi della gerarchia, l’antitesi di tutte le istituzioni, che sono viste come poteri oppressivi. In definitiva, chiunque partecipi alla lotta di classe è un membro del “popolo”; la “Chiesa del popolo” diventa l’antagonista della Chiesa gerarchica».

 

Da quando, al secondo Concilio Vaticano, venne avanzata l’idea della Chiesa come Popolo di Dio, molti trincerati nella teologia della liberazione se ne aggrapparono. papa Giovanni Paolo II si sforzò di tenere a bada i gesuiti, ma erano diventati, per la maggior parte, un’organizzazione che non viveva più nell’obbedienza all’ufficio papale e che non rispettava più la gerarchia della Chiesa.

 

Facciamo un salto ai giorni nostri e al movimento verso una «Chiesa sinodale». Ancora una volta, vediamo emergere il concetto di una «Chiesa del popolo». L’11 settembre 2013, papa Francesco ha ospitato Gutierrez nella sua residenza e ha concelebrato la messa con lui.

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Il 18 gennaio 2014, papa Francesco ha incontrato Arturo Paoli, un prete italiano che il papa conosceva dall’Argentina e che è un sostenitore della teologia della liberazione. Miguel d’Escoto, un prete del Nicaragua che era stato sanzionato con una sospensione divinis dalle funzioni pubbliche nel 1984 da papa Giovanni Paolo II a causa della sua attività politica nel governo sandinista di sinistra, ha visto la sua sospensione revocata da papa Francesco nell’agosto 2014.

 

Nel gennaio 2019, durante la Giornata mondiale della gioventù a Panama, papa Francesco ha discusso con un gruppo di gesuiti dell’America centrale di possibili cambiamenti di atteggiamento nei confronti della teologia della liberazione.

 

In sintesi, devo affermare che ormai ci troviamo di fronte quasi quotidianamente a eresia e apostasia anche all’interno delle più alte cariche della Chiesa. Ci sono delle pene, o dovrebbero esserci delle pene, per chi commette questi crimini canonici. Il canone 1364, sezione 1, afferma che «un apostata dalla fede, un eretico o uno scismatico incorre in una scomunica latae sententiae».

 

Commettendo apostasia, una persona porta su di sé la sentenza di scomunica. Ciò differisce da una scomunica «ferendae sententiae», in cui la scomunica è imposta dall’autorità ecclesiastica competente. Tuttavia, viviamo in un’epoca in cui difficilmente si sente una parola dai pastori della Chiesa quando qualcuno fa affermazioni eretiche o che rappresentano apostasia dalla fede. Invece, sono coloro che sottolineano l’eresia o l’apostasia che spesso incontrano delle pene.

 

Imploro tutti i miei confratelli vescovi a sollevarsi e a proteggere il Deposito della Fede! E imploro tutti i fedeli a prendere a cuore queste parole dell’arcivescovo Fulton Sheen:

«Chi salverà la nostra Chiesa? Non i nostri vescovi, non i nostri preti e religiosi: tocca a voi, al popolo. Avete la mente, gli occhi e le orecchie per salvare la Chiesa. La vostra missione è di fare in modo che i vostri preti agiscano come preti, i vostri vescovi agiscano come vescovi e i vostri religiosi agiscano come religiosi».

 

«Ti adoriamo, o Cristo, e ti lodiamo, perché con la tua Santa Croce hai redento il mondo».

 

Che Dio Onnipotente continui a benedirvi e che la nostra Santa e Immacolata Madre vi conduca nella Verità al Suo Divin Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo.

 

Joseph Strickland

vescovo emerito

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Mons. Schneider incontra Leone e condivide proposte per il «bene spirituale della Chiesa»

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Il vescovo Athanasius Schneider ha espresso gratitudine apapa Leone XIV per avergli concesso un’udienza giovedì, affermando di essere rimasto colpito dall’«attenzione e dalla comprensione» del Santo Padre. Lo riporta LifeSite.   Desiderando che i dettagli dell’incontro rimanessero riservati, il vescovo ausiliare del Kazakistan ha rilasciato un commento alla vaticanista Diane Montagna.   «Sono profondamente grato a papa Leone XIV per avermi concesso un’udienza privata, durante la quale ho potuto condividere alcune proposte volte al bene spirituale della Chiesa», ha condiviso il tradizionale presule. «Sono rimasto colpito dall’attenzione e dalla comprensione del Santo Padre. Preghiamo per papa Leone XIV, affinché rafforzi la fede e promuova la giustizia e la pace nella vita liturgica della Chiesa», ha concluso il prelato.   Sebbene il contenuto della conversazione tra Schneider e il pontefice rimanga riservato, durante un’intervista rilasciata a maggio, appena quattro giorni dopo l’elezione papale, il giornalista Matt Gaspers chiese al vescovo quale consiglio avrebbe dato al Santo Padre se glielo avesse chiesto.

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«Innanzitutto, gli chiederei di svolgere il suo primo compito: confermare, rafforzare tutti i fedeli nella fede, come Gesù l’ha data a Pietro, e anche a lui (come successore di Pietro)», ha risposto Schneider. «Questo è il suo primo compito» ( Lc 22,32 ).   Monsignore è inoltre concentrato su tre argomenti che hanno creato confusione nella vita della Chiesa. Tra questi:   1) «La verità sull’unicità di Gesù Cristo come unica via di salvezza e sul fatto che le altre religioni non sono mezzi di grazia o vie di salvezza. Deve essere affermata con chiarezza cristallina».   2) «L’ordine divino della sessualità umana deve essere affrontato con una formula estremamente chiara. I temi principali che riguardano questo tema, che ai nostri giorni sta evidentemente causando tanta confusione nella Chiesa, riguardano l’immoralità intrinseca e la malvagità degli atti e dello stile di vita omosessuali e poi il divorzio. Questo va sottolineato. E l’indissolubilità del matrimonio».   3) «Per fare una solenne e definitiva precisazione circa il sacramento dell’ordinazione, stabilendo che il sacramento dell’ordine – essendo in un unico sacramento nei tre gradi dell’episcopato, preletterato e diaconato – è per diritto divinamente stabilito riservato ai fedeli di sesso maschile».   Per quanto riguarda la liturgia, Schneider ha ampliato la sua precedente condanna della restrizione della Messa tradizionale imposta da papa Francesco, come contenuto nella Traditionis Custodes, chiedendo che il documento venga revocato.   «Si tratta davvero di un’umiliazione, di una persecuzione di una parte dei fedeli e anche di un rifiuto dell’intera tradizione della liturgia della Chiesa. Quindi questo deve essere sanato. Deve essere ripristinata la completa libertà di uso della liturgia in tutte le epoche».   Infine, monsignor Schneider ha suggerito che il nuovo papa «deve nominare i vescovi con molta attenzione, perché i vescovi dovrebbero essere veramente uomini di Dio, di fede cattolica. A questo dovrebbe prestare molta attenzione».   La Montagna ha riferito che l’udienza di Schneider con il papa è durata poco più di 30 minuti ed è stato il primo incontro tra questi due uomini che, pur provenendo da aree geografiche molto diverse, condividono una spiritualità agostiniana e un background comune nel servizio ai poveri del Sud America.   Mentre il papa è cresciuto in un sobborgo a sud di Chicago, Schneider è cresciuto nell’Unione Sovietica.   Il primo papa americano proveniva dall’Ordine di Sant’Agostino, ricoprendo l’incarico di Superiore Generale per due mandati e svolgendo un lungo ministero a Puru.   Schneider è membro dei Canonici Regolari della Santa Croce di Coimbra, una comunità che segue la Regola di Sant’Agostino. Ha inoltre conseguito il dottorato in Patristica presso il Pontificio Istituto Patristico Augustinianum di Roma.   Il prelato kazako diversi anni in Brasile in missione, dove ha ricevuto la formazione sacerdotale, è stato ordinato sacerdote e si dedicò al servizio dei poveri.

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Papa Leone denuncia «l’antisemitismo» in una telefonata con il presidente israeliano dopo il massacro di ebrei in Australia

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Papa Leone XIV ha condannato l’antisemitismo nel corso di una telefonata con il presidente israeliano Isaac Herzog, in seguito all’attentato di Sydney.

 

Il 15 dicembre 2025, Papa Leone ha ricevuto in Vaticano una chiamata dal presidente di Israele, Isaac Herzog, in vista delle prossime festività natalizie e della celebrazione ebraica di Hanukkah. Durante il colloquio, il Pontefice ha affrontato il tema dell’antisemitismo alla luce dell’attacco terroristico avvenuto domenica a Bondi Beach, a Sydney.

 

«Durante il colloquio, alla luce del recente attentato terroristico a Sydney, il Santo Padre ha ribadito la ferma condanna della Chiesa Cattolica verso ogni forma di antisemitismo, che in tutto il mondo continua a seminare paura nelle comunità ebraiche e nell’intera società», riporta il comunicato emesso dalla Sala Stampa della Santa Sede.

 

Secondo quanto riferito dal Vaticano, la conversazione telefonica si è svolta in un’atmosfera cordiale. Papa Leone XIV ha incoraggiato la continuazione dei processi di pace in corso in Medio Oriente e ha sottolineato la necessità di intensificare e perseverare negli sforzi umanitari, specialmente considerando la situazione nella Striscia di Gaza, dove, a seguito del conflitto, persistono gravi problemi legati alla fame, al freddo e alle condizioni meteorologiche avverse.

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La telefonata segue le dichiarazioni pubbliche già espresse dal Pontefice immediatamente dopo l’attentato di Sydney. Durante l’udienza di lunedì 15 dicembre, il Papa ha manifestato vicinanza alla comunità ebraica e dolore per le vittime e i feriti, affermando: «Basta con queste forme di violenza antisemita! Dobbiamo eliminare l’odio dai nostri cuori».

 

Lo stesso giorno, in un telegramma inviato all’arcivescovo di Sydney, Anthony Fisher, il Papa ha definito l’attacco un «atto di violenza insensato» e ha invitato coloro che sono tentati dalla violenza a «convertirsi e cercare la via della pace e della solidarietà».

 

Rapporti diretti tra Papa Leone XIV e il presidente Isaacco Herzog erano già stati instaurati nei mesi precedenti. Il 4 settembre, Herzog è stato ricevuto in udienza privata dal Papa: un incontro che, secondo le parole dello stesso presidente israeliano al termine della visita, ha costituito «un segnale molto importante» del valore delle relazioni tra la Santa Sede, lo Stato di Israele e il popolo ebraico.

 

Nel corso dei colloqui con il papa, il Segretario di Stato vaticano e il Segretario per i Rapporti con gli Stati, Herzog ha riferito di aver prioritariamente discusso la necessità di liberare gli ostaggi ancora trattenuti a Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre.

 

Le discussioni hanno riguardato anche gli aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza, gli sforzi israeliani per favorirne la distribuzione, la lotta comune contro l’antisemitismo, gli sviluppi generali in Medio Oriente e l’esigenza di un dialogo interreligioso più profondo.

 

Durante l’incontro, il presidente israeliano ha infine evidenziato l’importanza delle comunità cristiane in Israele e nella regione, ha ribadito l’impegno dello Stato ebraico a garantire la libertà di religione e di culto e la protezione delle comunità cristiane in Terra Santa, e ha rivolto un invito ufficiale al Pontefice a visitare Israele.

 

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

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Diocesi di Roma, Leone XIV riforma una decisione di Francesco

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Con un motu proprio firmato l’11 novembre 2025 e pubblicato poco dopo su L’Osservatore Romano, il Papa ha deciso di ripristinare l’unità del Settore Centro della Diocesi di Roma, annullando una controversa decisione presa sotto il suo predecessore, Papa Francesco.   Questo dovrebbe essere visto come la «fine dell’isteria» del controverso vice-governatore della Diocesi di Roma? Quel che è certo è che mons. Renato Tarantelli, prelato che deve molto al precedente pontificato, non deve essere stato molto soddisfatto del motu proprio Immota manet, firmato dal Romano Pontefice l’11 novembre, che ripristina l’unità del Settore Centrale della Diocesi di Roma.   Questo settore, composto dalle cinque prefetture numerate da I a V, era stato smantellato nell’ottobre 2024 dal pontefice argentino con un decreto intitolato La vera bellezza: una riforma presentata come «sinodale» ma criticata per la mancanza di consultazione. Secondo il sito web Silere Non Possumus, questa decisione si basava sulle idee di mons. Tarantelli, ex avvocato divenuto vescovo, accusato di aver influenzato Papa Francesco con una visione «ideologica» e «burocratica».   La vera bellezza, ricca di riferimenti alla misericordia, alla bellezza e persino alla letteratura russa, fu percepita dal clero romano come un esercizio stilistico slegato dalla realtà pastorale. Diluiva le cinque prefetture secondo i quattro punti cardinali, con il pretesto di rompere l’isolamento del centro storico di Roma. La realtà era meno in linea con la teoria: confusione amministrativa, catene di comando opache e difficoltà quotidiane per sacerdoti e fedeli.   Era urgente per il nuovo pontefice romano tornare alla realtà: «Stabilisco e decreto che le cinque Prefetture, dalla Prima alla Quinta, tornino a far parte di un unico settore, il Centro, che viene così nuovamente aggiunto agli altri quattro settori della Diocesi di Roma», ha scritto Leone XIV nel suo motu proprio, entrato immediatamente in vigore e registrato negli Acta Apostolicae Sedis. Questo provvedimento è stato accolto con un sospiro di sollievo dai sacerdoti della Città Eterna, secondo la stampa romana.   In breve, queste iniziative di Leone XIV mirano a stabilizzare la Chiesa post-Giubileo, unificando le strutture locali e centrali per una missione più efficace. Di fronte ai limiti imposti dalla tradizione, come nota Yahoo News, egli sta seguendo le orme di Francesco, correggendo gli eccessi e costruendo sul fondamento cristiano. Il tempo dirà se questa centralizzazione rafforzerà l’unità o creerà nuove tensioni, ma per ora Roma respira un’aria di rinnovamento amministrativo.   Immota manet fa parte di una serie di riforme amministrative più ampie intraprese dal nuovo papa per consolidare la governance vaticana e portare maggiore trasparenza, in particolare in ambito finanziario.   Questo dovrebbe essere visto come un tentativo di frenare le riforme sregolate avviate sotto il precedente pontificato?   In ogni caso, i primi sei mesi del pontificato di Leone XIV non hanno rassicurato i progressisti, che prevedono un freno alla sinodalità e all’inclusività a loro care. Né hanno confortato i fedeli legati alla Chiesa e alla sua Tradizione, che a volte si sentono esiliati nel proprio Paese.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine: San Giovanni Laterano, interni. Immagine di Antoine Taveneaux via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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