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Spirito

Mons. Schneider: la messa tradizionale, anche a costo di un «esilio liturgico»

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In occasione della Conferenza sull’identità cattolica organizzata fatta dalla rivista The Remnant l’1 e 2 ottobre 2022 a Pittsburgh (Stati Uniti), mons. Athanasius Schneider ha rilasciato diverse dichiarazioni. Troveremo qui le parole più significative del Vescovo ausiliare di Astana (Kazakhstan), sulla Messa tradizionale e sulla persecuzione a cui è sottoposta a Roma e nelle diocesi.

 

 

Su LifeSiteNews del 4 ottobre si potevano leggere queste parole tratte dal suo convegno di Pittsburgh: «Il potere attuale odia ciò che è santo, e quindi perseguita la Messa tradizionale».

 

Parole forti integrate da questo saggio appello: «ma la nostra risposta non dev’essere né rabbia né pusillanimità, ma una profonda sicurezza nella verità e pace interiore, gioia e fiducia nella Divina Provvidenza». Il presule ha anche affermato: «dichiarare la Messa riformata di papa Paolo VI espressione unica ed esclusiva della lex orandi del rito romano — come sta facendo Papa Francesco — viola la tradizione bimillenaria di tutti i romani pontefici, che non hanno mai mostrato una così rigida intolleranza».

 

E ha aggiunto: «non si può creare all’improvviso un nuovo rito — come ha fatto Paolo VI — e dichiarandolo voce esclusiva dello Spirito Santo ai nostri tempi, e allo stesso tempo tacciando il precedente rito — rimasto pressoché immutato nell’arco di almeno 1.000 anni — di essere carente e dannoso per la vita spirituale dei fedeli».

 

E precisa questa argomentazione, affermando che ciò «porta inevitabilmente alla conclusione che lo Spirito Santo contraddice Se Stesso».

 

Mons. Schneider va nel merito le critiche mosse, già nel 1969, dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci nel loro Breve esame:

 

«Senza dubbio il Novus Ordo di Paolo VI — ha affermato — indebolisce la chiarezza dottrinale relativa al carattere sacrificale della Messa e indebolisce notevolmente il carattere di sacralità e di mistero del culto stesso». Mentre la Messa tradizionale contiene e irradia «un’eminente integrità dottrinale e sublimità rituale».

 

Ecco spiegata l’ostilità di quanti perseguitano la Messa tradizionale:

 

«Lo splendore della verità, della sacralità e della soprannaturalità del rito tradizionale della Messa preoccupa quei chierici che occupano alte cariche della Chiesa in Vaticano e altri che hanno abbracciato una nuova posizione teologica rivoluzionaria, più vicina alla visione protestante dell’Eucaristia e del culto, caratterizzata dall’antropocentrismo e dal naturalismo».

 

E insiste: Paolo VI è «il primo papa in duemila anni ad aver osato realizzare una rivoluzione dell’Ordo della Messa, un’autentica rivoluzione». Tale dichiarazione, nel periodo in cui mons. Schneider pubblica il suo libro La messa cattolica (Chorabooks), fa desiderare che scelga la celebrazione esclusiva della messa tradizionale, lui che per ora celebra anche la Messa di Paolo VI in determinate circostanze.

 

Tanto più che, nel resto del suo intervento, invita con forza i sacerdoti e i fedeli legati alla Messa tradizionale a non temere una forma di “esilio liturgico”, accolto come una persecuzione sofferta per Dio.

 

Stabilisce poi questo parallelo storico: «l’attuale persecuzione contro un rito che la Chiesa romana ha custodito gelosamente e immutabilmente per almeno un millennio — quindi da molto prima del Concilio di Trento — sembra ora una situazione analoga alla persecuzione dell’integrità della fede cattolica durante la crisi ariana nel IV secolo».

 

«Coloro che all’epoca hanno mantenuto immutabile la fede cattolica sono stati banditi dalle chiese dalla stragrande maggioranza dei vescovi, e sono stati i primi a celebrare una sorta di messe clandestine».

 

E aggiunge al discorso dei persecutori: «possiamo dire agli uomini di chiesa spiritualmente accecati e arroganti dei nostri giorni — che disdegnano il tesoro del rito tradizionale della Messa e che perseguitano i cattolici che vi sono attaccati — “non riuscirete a sconfiggere e a estinguere il rito tradizionale della Messa”».

 

«Santo Padre Papa Francesco, Lei non riuscirà a estinguere il rito tradizionale della Messa. Perché? Perché sta combattendo contro l’opera che lo Spirito Santo ha intessuto così accuratamente e con tanta arte nel corso dei secoli e dei tempi».

 

 

La vera obbedienza nella Chiesa

Rispondendo alle domande di Michael Matt, direttore di The Remnant, il 13 ottobre mons. Schneider ha chiarito la natura della vera obbedienza nella Chiesa, con elementi di spiegazione che ricordano quelli sviluppati da mons. Marcel Lefebvre, più di 40 anni fa:

 

«Dobbiamo continuare anche se in alcuni casi diciamo che non possiamo obbedire al Papa in questo momento perché ha emanato questi comandamenti o ordini che ovviamente minano la fede, o che ci tolgono il tesoro della liturgia; è la liturgia di tutta la Chiesa, non la sua, ma quella dei nostri padri e dei nostri santi, quindi ne abbiamo diritto».

 

«In questi casi, anche se disobbediremo formalmente, obbediremo a tutta la Chiesa di sempre, e anche, con tale disobbedienza formale, apparente, faremo onore alla Santa Sede custodendo i tesori della liturgia, che è un tesoro della Santa Sede, ma che è temporaneamente limitata o discriminata da coloro che attualmente ricoprono alte cariche nella Santa Sede».

 

In un’intervista rilasciata il 28 ottobre al direttore di LifeSiteNews, John-Henry Westen, mons. Schneider torna sulla persecuzione, evocando il tempo delle catacombe:

 

«Un esempio di questo tipo di situazione, sia per i fedeli che per i sacerdoti – di essere in qualche modo perseguitati ed emarginati da chi occupa le alte cariche nella Chiesa, dai vescovi – è quello che abbiamo conosciuto nel 4° secolo, con l’arianesimo».

 

«In quel tempo i vescovi validi, i vescovi leciti, comunque la maggioranza di loro, perseguitavano i veri cattolici che conservavano la tradizione della fede nella divinità di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Era la questione di vita o di morte per la verità, per la tradizione della fede. E così quelli venivano cacciati dalle chiese, costretti ad andare alle “radici”, alle messe all’aperto».

 

«In un certo senso, anche noi possiamo trovarci in situazioni del genere. Ed è già successo, soprattutto dopo Traditionis custodes. Ci sono luoghi dove le persone vengono letteralmente cacciate dalle parrocchie dove avevano avuto, per molti anni, la messa tradizionale in latino approvata da papa Benedetto XVI e dai vescovi locali».

 

«Oggi, nel nuovo contesto di Traditionis custodes, certi vescovi – ripeto – espellono letteralmente dalle chiese, dalle parrocchie, i migliori fedeli, i migliori sacerdoti: li espellono dalla chiesa parrocchiale che si chiama chiesa madre. E questi fedeli sono quindi costretti a cercare nuovi luoghi di culto, palestre, scuole o sale di riunione, etc.»

 

«È una situazione simile a una qualche forma di catacomba. Non sono letteralmente catacombe perché si può ancora celebrare pubblicamente, ma può essere paragonata al tempo delle catacombe perché non si possono utilizzare le strutture e gli edifici ufficiali della Chiesa».

 

E ricorda ancora cosa sia veramente l’obbedienza nella Chiesa:

 

«Dobbiamo chiarire il vero concetto e significato dell’obbedienza. San Tommaso d’Aquino dice che l’obbedienza assoluta, incondizionata, la dobbiamo solo a Dio, ma a nessuna creatura, nemmeno al Papa stesso. L’obbedienza verso il Papa e i vescovi nella Chiesa è dunque un’obbedienza limitata».

 

«Quindi, quando il Papa o i vescovi ordinano qualcosa che mina manifestamente la pienezza della fede cattolica e la pienezza della liturgia cattolica – quel tesoro della Chiesa, la Messa tradizionale latina –, è dannoso perché mina la purezza della fede; minando la purezza della santità della liturgia, miniamo tutta la Chiesa».

 

«Riduciamo il bene della Chiesa, il bene spirituale della Chiesa. Riduciamo il bene delle nostre anime. E a questo, non possiamo collaborare. Come potremmo collaborare a sminuire la purezza della fede, come potremmo collaborare a sminuire il carattere sacro, sublime della liturgia della Santa Messa, la millenaria Messa tradizionale di tutti i santi?»

 

In una situazione del genere, abbiamo l’obbligo (non si tratta solo di dire che «possiamo» in certe occasioni) di dire al Santo Padre, ai vescovi, «con tutto il rispetto e l’amore che vi dobbiamo, non possiamo eseguire questi ordini che date perché nuocciono al bene della nostra santa Madre Chiesa».

 

«Quindi dobbiamo cercare altri luoghi, essendo anche in qualche modo formalmente disobbedienti. Ma in realtà saremo obbedienti alla nostra santa Madre Chiesa, che è più grande di ogni papa particolare. La Santa Madre Chiesa è più grande di un papa particolare! E così, obbediamo alla nostra santa Madre Chiesa».

 

«Obbediamo ai papi di tutti i tempi che hanno promosso, difeso, protetto la purezza della fede cattolica, incondizionatamente, senza compromessi, e che hanno anche difeso la santità e l’immutabile liturgia della Santa Messa nel corso dei secoli».

 

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

 

 

Immagine di Lawrence OP via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

 

 

 

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Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato

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Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.

 

Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.

 

Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».

 

E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.

 

Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.

 

Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.

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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.

 

Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».

 

Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.

 

Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.

 

Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.

 

Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Spirito

Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»

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Papa Leone XIV ha dichiarato che «nessuno possiede la verità assoluta» e che «nessuno è escluso» dalla Chiesa, durante la sua omelia domenicale del 26 ottobre, pronunciata in occasione della messa giubilare per i gruppi sinodali e gli organismi partecipativi.   Le sue parole, che potrebbero essere interpretate come relativistiche rispetto alla proclamazione della fede unica della Chiesa cattolica, hanno sconvolto moltissimi.   L’amore è la «regola suprema della Chiesa». «Nessuno è chiamato a comandare», ma «tutti sono chiamati a servire»; nessuno deve «imporre le proprie idee», tutti sono invitati all’ascolto reciproco; e «nessuno è escluso» poiché «tutti siamo chiamati a partecipare».   «Nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme»: un’affermazione scioccante per chi è il vicario di colui che è la Via, la Verità e la Vita..   Essere Chiesa sinodale significa riconoscere che la verità non si possiede, ma si cerca insieme, lasciandosi guidare da un cuore inquieto e innamorato dell’Amore.   Leone ha enfatizzato il concetto di Chiesa «sinodale», termine spesso usato dal suo predecessore, Papa Francesco, pur rimanendo vago nel significato. «Le équipe sinodali e gli organi di partecipazione sono immagine di questa Chiesa che vive nella comunione», ha aggiunto oscuramente il romano pontefice.

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«Dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso modo ascoltare tutti».   «Impegniamoci a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo» ha esortato il sommo pontefice con linguaggio sempre più tecnico e cervellotico.   Sebbene nessun individuo possegga la pienezza della verità, la Chiesa cattolica, in quanto Corpo mistico di Cristo guidato dallo Spirito Santo, ha sempre sostenuto di essere la custode del deposito della fede, ossia la verità rivelata da Dio.   I commenti di papa Leone appaiono ambigui e potenzialmente relativistici, poiché non ha chiarito la distinzione tra i membri fallibili della Chiesa, che possono errare nella comprensione della verità, e la Chiesa stessa, che custodisce e proclama l’unica vera fede.   Le parole di Prevost sembrano andare contro il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell’autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione» (CCC, I dogmi della fede, 88).   La Sacra Scrittura parla della «casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità» (1Tim 3,15).  

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Immagine di Edgar Beltrán via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 
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Pensiero

Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale

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Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.

 

Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.

 

Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.

 

Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.

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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.

 

Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.

 

La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.

 

Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.

 

Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.

 

D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.

 

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.

 

Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.

 

L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.

 

 

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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.

 

Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.

 

Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Cielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia.

 

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.

 

Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.

 

Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.

 

Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.

 

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.

 

Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…

 

L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» (Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» (Tao Te King, II).

 

Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.

 

Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.

 

Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.

 

Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.

 

E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.

 

Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.

 

Roberto Dal Bosco

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